I dubbi che pone la miniserie tv britannica 'Adolescence' e i film che l'hanno preceduta
Cosa succede quando la disumanizzazione delle donne diventa guida comportamentale per giovani maschi fragili e instabili? Dov’è il mondo adulto, che abbandona i ragazzi e le ragazze alla solitudine digitale? Si può ricostruire una relazione famigliare, educativa, sociale con le generazioni che ignorano il mondo analogico, e quindi vivono il digitale come alternativa alla realtà dei corpi e delle relazioni? Se il sadismo e la sopraffazione sono gli unici strumenti a disposizione quando si arriva a 13 anni è già troppo tardi per tornare indietro?
Queste sono alcune delle domande che pone la miniserie tv britannica Adolescence, ideata da Jack Thorne, Stephen Graham e diretta da Philip Barantini, che nel tempo ha avuto illustri precedenti: per esempio il film Prima e dopo (Before and After) uscito nel 1996, diretto da Barbet Schroeder e tratto dall’omonimo romanzo di Rosellen Brown, o la più recente serie tv Tredici (13 ReasonsWhy), quattro stagioni proposte nel 2017 da Brian Yorkey. Adattamento del bestseller di Jay Asher, Tredici racconta di un timido liceale che riceve una scatola con 13 nastri registrati da Hannah Baker, la ragazza per cui aveva una cotta e che si è tolta la vita. Hannah spiega in ciascuno dei nastri i motivi per cui si è tolta la vita. Buoni ultimi due film sulla raggelante incapacità della famiglia di affrontare i rischi dell’adolescenza in una società sempre più atomizzatae spietata: Mia ed Educazione fisica, entrambi del 2023 per la regia di Ivano De Matteo il primo e di Stefano Cipani il secondo; sempre da De Matteo aspettiamo a breve l’uscita di Una figlia, che dovrebbe raccontare una storia simile a quella di Mia.
Torniamo ad Adolescence: è una serie formalmente perfetta, come accade sovente nelle produzioni britanniche, perchè la sua forza narrativa sta nell’essere più vicina al documentario che alla fiction, quindi molto aderente alla realtà. Non ti distrae la notorietà degli attori e delle attrici, per nulla o quasi conosciuti in Italia, e non c’è azione: le quattro puntate sono dei lunghi, talvolta estenuanti, piani sequenza, molti girati in interno, il che rende ancora più claustrofobico il racconto.
La storia: una ragazzina viene trovata uccisa con diverse coltellate, e il video della telecamera a circuito chiuso nei pressi del luogo del delitto inchioda Jamie, suo compagno di scuola. Età della vittima e dell’assassinio: 13 anni. Non ci sono particolari criticità nella famiglia del killer, se non qualcosa che accomuna la maggior parte delle persone adulte intorno al dramma in corso: come risulterà chiaro nell’evolvere del racconto la comunità dei padri, madri, docenti è completamente allo scuro di quello che accade nella vita dei ragazzini. La solitudine relazionale degli adolescenti è totale. L’unico punto di riferimento è la comunità tecnologica tossica dei gruppi incel e Mra, che incendia le vite dei giovanissimi maschi e propaganda l’odio misogino. La teoria dominante è quella dell’80/20 propugnata dalla manosfera, secondo la quale l’80% delle donne ricerca esclusivamente il rapporto con il 20% degli uomini, (i belli e i ricchi) privando la maggioranza dei maschi di ciò che spetta loro di diritto, ovvero la disponibilità dei corpi delle donne. A 13 anni Jamie, ragazzino ancora minuto e privo dei segni della virilità alla quale aspira è una bomba di odio contro le donne e i presunti soprusi che lui e il suo sesso starebbe subendo per colpa loro. I quattro episodi della serie sono privi di orpelli che rendano meno crudo l’impatto della verità su una violenza che sembra inarrestabile: forse la chiave di volta è nella terza e penultima puntata, un lungo piano sequenza nella stanza dei colloqui della struttura dove il ragazzo è rinchiuso prima del processo. Qui si assiste alla scioccante montagna russa emotiva di Jamie che, alla presenza della psicologa, pencola e sbanda tra attacchi rabbiosi e aggressivi contro di lei e altrettante disperate richieste di aiuto e riconoscimento. La domanda è: quanti giovanissimi fragili stiamo abbandonando nelle mani della cultura dell’odio misogino dei gruppi incell che proliferano on line? Magari non tutti diventeranno assassini, ma è evidente che chi cova rancore oltre a essere infelice diventa inevitabilmente produttore di dolore e infelicità nelle relazioni.
Quando, nel 2018, chiesi in un questionario (i cui risultati furono pubblicati nel libro Crescere uomini) a 1500 ragazzi tra i 15 e i 17 anni: “Cosa è per te la sessualità”? una delle risposte fu: ”Boh, forse trovare in discoteca una tipa e sfondarla fino a che i genitori non la riconoscono”. Risposta scioccante, ma non inaspettata.
Quel verbo che, nel 1988, risuonò in Sotto accusa, primo film molto esplicito sullo stupro, non è casuale che abbia percorso 30 anni e sia arrivato sulla punta della penna di un adolescente. E’una delle espressioni più diffuse e normalizzate nel porno online contemporaneo per indicare i rapporti sessuali: porno che oggi è la fonte prioritaria di ‘informazione’ sul sesso per le giovani generazioni.
Adolescence non tratta in modo diretto il tema della sessualità violenta dei giovani, ma piuttosto picchia duro sull’assenza, l’inadeguatezzae il silenzio del mondo adulto di fronte all’estraneità dei figli, creature aliene che non si sa come maneggiare. Da qui la resa che genera il dramma.
“Sono cose sue. Io non ne so nulla”. Nel 2005 il mio figlio più piccolo aveva 10 anni (oggi ne ha 30) e scambiò una figurina dei Pokemon con un coetaneo. La sua mamma mi chiamò al telefono chiedendo se poteva venire a riprendersela: un compratore tedesco, su ebay, la voleva acquistare, mi spiegò, e per sbaglio il bambino l’aveva data a mio figlio. Parliamo di bambini di 10 anni che mettono figurine in vendita su piattaforme digitali, di compratori adulti di figurine. Ma soprattutto del fatto che la madre del bambino, al mio trasecolare rispetto a ebay, compratore etc, rispose con quella dichiarazione che avete letto poche righe sopra. Non ne sapeva nulla, pensava che la cosa non la riguardasse, erano cose del suo bambino. La privacy.
Negli anni non è stata l’unica persona adulta a dichiarare candidamente, qualche volta con piglio infastidito se si dubitava della normalità e legittimità di quella ignoranza, che non aveva idea di ciò che accadesse nella vita ai figli e alle figlie ancora molto giovani. Salvo poi le notizie in cronaca.
Nel 2022, durante una formazione, un ragazzo di 18 anni, accalorato sulla necessità della prostituzione, alla mia domanda sul perché un uomo giovane e sano comprasse una donna invece di incontrarne alla pari per avere un rapporto, (e se questo non fosse umiliante per l’uomo stesso) mi rispose: “Perché le donne in generale preferiscono quelli belli e ricchi. Sfogarsi è un diritto, ed è una palla portare una fuori a cena che poi magari non te la dà”. Propaganda incell in piena regola. Forte consenso dalla classe.
Adolescence è un monito doloroso che ci parla, come comunità educante, e ci chiama ad agire: se non entriamo nelle stanze dei nostri figli, se non spegniamo prima noi il telefono e invitiamo loro a fare lo stesso il rischio è consegnarli nelle grinfie di altri adulti pieni di odio che li trasformeranno in odiatori. Una catena senza fine di infelicità, sofferenza, disagio psichico. Se è vero che l’empatia è un sentimento indispensabile per la convivenza e per le relazioni, quindi per la democrazia, sentimento che si impara anche e soprattutto dall’esempio, dall’educazione e dalla trasmissione allora è il caso di prestare attenzione. Molta attenzione: perché, lasciati soli, senza un adeguato accompagnamento emotivo nell’affrontare la loro fragilità, le eventuali sconfitte e i limiti che l’esistenza presenta ai desideri, i giovani uomini fanno presto a diventare pericolosi.
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