Lunedi, 30/10/2017 - Parliamo del libro "A mano libera. Donne tra prigioni e libertà" a cura di Tiziana Bartolini e Paola Ortensi: un'occasione per riflettere sulla carcerazione femminile oggi in Italia. (informazioni) - (altri commenti)
(Prefazione di Agnese Malatesta, Editrice Cooperativa Libera Stampa, Supplemento a Noidonne nr. maggio 2017)
La libertà è il fil rouge degli scritti raccolti da Tiziana Bartolini e Paola Ortensi (rispettivamente direttrice e collaboratrice storica di Noidonne) presso il carcere femminile di Rebibbia di Roma. Un controsenso, a primo avviso, parlare di libertà con donne costrette tra le mura di una prigione, riflessione che tuttavia apre spiragli di scambi tra dentro e fuori, tra ciò che è reclusione per il corpo e ciò che lo è per la mente. È quanto emerge da molti scritti delle donne partecipanti al laboratorio, che le curatrici del volume hanno tenuto per il terzo anno consecutivo presso queste carceri. Costrette a veder limitata la propria libertà per scontare pene per reati commessi contro la società, queste donne si rendono conto che la libertà del corpo, di movimento, non è tutto. Esiste una libertà della mente, dello spirito che è molto più importante ed è sovente a causa della perdita di questa che le donne finiscono per commettere errori e finire recluse.
Riflettere sulla libertà, sul dentro e il fuori concreto e metaforico, non è dunque affatto scontato nell'ambito di un carcere, in particolar modo di un carcere femminile.
"Il carcere, nel suo chiudere e limitare il corpo in confini angusti e obbligati, apre spazi di libertà nell'uso del tempo"
osserva Paola Ortensi. La condizione femminile si esplica in tutta la sua specificità in una situazione di reclusione e presenta caratteristiche assolutamente uniche rispetto alla reclusione maschile. La donna spesso, in varia misura, non è padrona del proprio tempo, sempre suddiviso tra la cura degli altri e le incombenze domestiche; la realtà del carcere, paradossalmente, le permette di riappropriarsi del tempo e del suo impiego per sé, per obiettivi di sviluppo personale. Dalla prefazione di Agnese Malatesta si evincono storie di donne la cui vita fuori dalle mura carcerarie era già una prigione: condizioni disagiate, vite dure, dipendenza economica, storie di violenze.
Alcuni dati
La carcerazione femminile rappresenta una percentuale molto bassa in Italia, meno del 5% del totale. Dall'intervista contenuta nel volume alla direttrice dell'istituto di pena femminile di Rebibbia, dott.ssa Ida Del Grosso, si apprende che delle 350 detenute la metà è straniera, in gran parte di origine rom. Il reato principale che si registra è lo spaccio di droga, altri reati sono connessi a furti, rapine, prostituzione e omicidi. Sottomesse a figure maschili cui sono legate da vincoli familiari, le donne sovente non sono consapevoli di rendersi colpevoli di reati con le loro azioni. Spinte dal desiderio di protezione per i figli o da condizioni estreme di marginalità e povertà, vittime di violenze, finiscono per compiere scelte che le renderanno ree di crimini.
Per una logica all'apparenza assurda il carcere può rappresentare per loro l'allontanamento da situazioni critiche e nocive e restituire loro un'opportunità di riscatto.
Essendo in numero ridotto rispetto ai detenuti maschili, le donne all'interno delle carceri subiscono un'ulteriore discriminazione dovuta alla loro condizione di minoranza. I reparti carcerari femminili spesso risultano marginali, hanno meno strutture a disposizione, minori opportunità di accedere ad attività riabilitative, sportive e di formazione per evitare il contatto con i reparti maschili. La discriminazione di genere tocca anche il tipo di attività loro proposte, relegate a ciò che impongono gli stereotipi femminili che le vedono impegnate in laboratori sartoriali o culinari, riservando ad esempio l'informatica agli uomini.
Uno sguardo all'interno di Rebibbia
Nel carcere femminile di Rebibbia la direttrice parla di una detenzione il cui scopo deve essere la riabilitazione e il reinserimento. Da anni esiste in questo istituto il cosiddetto 'carcere aperto' ovvero le celle durante il giorno restano aperte, grazie ad un sistema di collaborazione tra vigilanza, educatori e volontari, agevolati dalla minore presenza di violenza che caratterizza le carceri femminili in genere. Molte detenute godono del diritto di lavorare durante il giorno all'esterno. Il carcere possiede un orto e un laboratorio caseario i cui prodotti vengono venduti in un punto vendita all'esterno. Il tutto con lo scopo ultimo di "aprire spazi mentali", afferma la dott.ssa Del Grosso.
Caratteristiche della detenzione femminile
La donna ha una maggiore capacità introspettiva, una più forte emotività rispetto all'uomo, oltre ad un diverso sentimento genitoriale. La maternità è vissuta con molta sofferenza dalle detenute, il senso di colpa è una costante della loro vita reclusa, consapevoli che da loro spesso dipende la vita di altre persone, i figli prima di tutto, ma anche di altri familiari. La donna è il fulcro della famiglia e i rapporti si sfaldano in sua assenza. Gli errori commessi pesano dunque non solo sulla libertà personale ma anche su quella dei familiari. Proprio il fatto che la sfera psicologica ed emotiva sia parte specifica del mondo femminile permette alle donne che affrontano un'esperienza di reclusione di attingere a risorse inattese, ancestrali, nuove, di cui esse stesse non erano consapevoli, per raggiungere corde viscerali e stimolare cambiamenti profondi. Nella reclusione le detenute spesso trovano spontaneità, amicizia e una solidarietà difficile da esperire nella vita fuori dalle mura carcerarie.
Le loro voci
I loro brevi scritti sono raccolti nel volume suddivisi per categorie tematiche: il tempo, l'amore, la solitudine, l'incontro con se stesse, prigioni interiori, libertà dalle miserie sono alcuni di questi. Talune raccontano particolari del loro reato, ma sono la minoranza, altre ricordano dettagli della loro vita prima del carcere, dove spesso vivevano una prigionia dell'animo, della mente, a volte anche di movimento. Altre ancora appuntano i propri pensieri, le proprie riflessioni su sensazioni, desideri e speranze concrete che mostrano una consapevolezza amara ma necessaria della propria condizione. Tutte trasmettono coraggio, forza di andare avanti, di migliorarsi, voglia di farcela. A volte con rassegnazione accettano la pena inflitta loro da una società che non difende le donne né ne ascolta le voci imploranti, ma le nota soltanto nel momento in cui, esasperate, commettono l'errore irreparabile. Tuttavia, ad un reato corrisponde sempre anche una vittima e ciò non va dimenticato né può essere ignorato. Assumersi le responsabilità è un atto dovuto, nonostante lo Stato e la società non si siano assunte le proprie in precedenza.
Interessante risulta altresì la "bibliografia minima" inserita in fondo in cui compaiono opere di voci femminili sulla vita in carcere come Goliarda Sapienza (L'università di Rebibbia) e Silvia Baraldini ( Leggere in carcere) che hanno vissuto la detenzione in prima persona; voci autorevoli della letteratura come Maria Rosa Cutrufelli (La donna che visse per un sogno) o il classico Jack London (Il vagabondo delle stelle), oltre a saggi e raccolte di testimonianze.
Un ringraziamento speciale a Tiziana Bartolini e Paola Ortensi e a tutte le persone che svolgono lavoro volontario per migliorare la vita degli altri e di noi stessi.
Il libro è ordinabile scrivendo a: redazione@noidonne.org - informazioni in www.noidonne.org (prezzo suggerito: 10 euro)
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