I temi divisivi su cui la sinistra rinuncia al confronto, lasciando spazi alla destra per strumentalizzazioni. Qualche riflessione
Intitolando Avanti, Sorelle e informando che dieci femministe lo avevano firmato, Donatella Borghesi ha presentato sul Foglio Quotidiano subito dopo Ferragosto, il libro collettaneo “Vietato a sinistra”. La giornalista si interrogava sul femminismo, storicamente sempre di sinistra che, sui temi non condivisi,“si sta suicidando”.
Le contestatrici sostengono infatti che la sinistra rinuncia al confronto, lascia che la destra strumentalizzi le problematiche ed esprime diktat ultimativi: i due sessi, l’identità di genere, la gravidanza per altri, il sex working, i farmaci per bloccare la pubertà, l'affido condiviso nelle separazioni, le ripercussioni della logica paritaria, l’occupazione degli spazi delle donne da parte dei trans, ecc. sono diventati “oggetti contundenti da lanciarsi l’una contro l’altra”, peggio che ai tempi dell’aborto. Ci mancava la boxeuse algerina. Colpa del mercato neoliberista anche sui diritti? della proclamata inclusione universale? dell’esclusione delle donne che non rinunciano alla potenzialità del corpo sessuato? il reddito delle donne resta inferiore a quello degli uomini, le carriere non vengono incoraggiate, la parità può rivoltarsi contro perché “Il soggetto legittimante è sempre lui, l’uomo” e la crescita di protagonismo femminile dovuta all’uguaglianza formale non consente politiche affermative femminili.
Sono una femminista degli anni Settanta, mezzo secolo fa; e non posso che domandare alle autrici - che sono tutte più giovani, ma che non mancano di esperienza nella sinistra - se hanno dimenticato che la sinistra è sempre stata patriarcale e dogmatica. Le donne erano e sono il 52% dell’elettorato, ma neppure per opportunismo i partiti progressisti si sono mai affidati al magistero delle donne. Vero è che neppure dai gruppi del movimento sono venute proposte. Le donne hanno continuato a votare per razionalità politica, ma sono sempre più stanche.
Il vetero femminismo deprecava l’emancipazionismo a favore della liberazione e sapeva che il potere che governava il sistema era assolutamente maschile e le donne affidavano le loro proposte alle parti politiche, destra e sinistra patriarcali prima ancora che capitaliste. Oggi in Italia due donne - una a capo del governo, l’altra dell’opposizione - in nome della parità convalidano il patriarcato.
Ma i problemi non sono nati oggi. Nessun paese vive senza leggi, ma l’aborto fu definito da una norma positiva perché parlava di maternità libera e responsabile. Chi ha votato quella legge sa bene che l’impegno era proseguire il dibattito sul merito della libertà femminile, cosa che non ha avuto seguito e nessuna sinistra ha mai richiesto l’abolizione dell’obiezione di coscienza.
Né si sono mai superati, nemmeno dentro le organizzazioni progressiste, i ruoli ancora obbligati “per natura”, una natura a sinistra diversamente dogmatica rispetto a quella religiosa. I diritti dei “diversi” trovarono accoglienza anche perché ci si accorse che erano un grande bacino elettorale. Il femminismo della differenza riconosceva che i “generi“ sono due solo grammaticalmente, ma che i corpi sono altro, capaci di virtù relazionale; che la riproduzione è il potere più grande di tutti, ma che le donne vogliono cambiare “questo” potere; che prima di essere madri volevano nidi, asili e posti di lavoro. Aveva valorizzato il corpo, che è individuale e non ha statuti se non il rispetto dei suoi diritti, femminili non solo maschili. La sessualità non è solo biologia e presenta bisogni nuovi, non solo fisiologici: oggi, quando uomini desiderano generare figli - dimostrando che non le donne invidiano il pene , ma i maschi l’utero - si cercano formule di giustizia compatibili con situazioni non previste ma non meno umane. Non è un problema specificamente “di sinistra”. Forse c’entra l’amore, parola forse poco usata in questo libro: ha a che vedere con l’intimità, ma riguarda in primis la solidarietà sociale. Le discussioni che accompagnarono il divorzio e l’aborto, partivano dalla consapevolezza che non diventava obbligatorio divorziare o abortire. La “normalità” di coppia è stata un pregiudizio che ha indotto al suicidio o al matrimonio riproduttivo persone che si sapevano “diverse”. Se i giovani non hanno così chiaro il “destino” deciso alla nascita e noi “vetero” non ci avevamo pensato, i problemi si affrontano sul piano medico e psicologico, non confliggendo tra transfemministe e intersezionali, anche se noi facevamo altrettanto.
Solo che non me la prenderei con i dogmi della sinistra: se non è mai stata divisa come ora, cerchiamo di darle la solita mano perché non siamo masochiste. Ma tocca al femminismo continuare l’impegno liberatorio e portare la discussione pubblica - non solo di sinistra - ai problemi veri di un “sé” molto scomposto: nel patriarcato anche l’uomo (la sinistra?) ha tutto da perdere.
Vietato a sinistra. Dieci interventi femministi su temi scomodi a cura di Daniela Dioguardi, edito da Castelvecchio. Introduzione di Francesca Izzo e saggi di Silvia Baratella, Marcella De Carli Ferrari, Lorenza De Micco e Anna Merlino, Daniela Dioguardi, Caterina Gatti, Cristina Gramolini e Roberta Vannucci, Doranna Lupi, Laura Minguzzi, Laura Piretti, Stella Zaltieri Pirola.
Lascia un Commento