Le esperienze in alcune carceri romane delle associazioni Ponte Donna e Il Cortile in un convegno alla Casa Internazionale delle Donne
Mercoledi, 30/01/2019 - Il 24 gennaio scorso alla Casa Internazionale delle Donne a Roma si è tenuto un incontro sul lavoro svolto nel Carcere di Regina Coeli e di Rebibbia con uomini autori di violenza sulle donne.
“Non soltanto un evento di restituzione - ha spiegato Carla Centioni, presidente di Ponte Donna che insie-me all’associazione Il Cortile ha promosso e svolto il progetto UOMINI LIBERI DALLA VIOLENZA - ma una giornata di lavoro dove pensiero e pratica si sono incontrati. Il nostro obiettivo infatti non è quello di chiu-dere il progetto ma di proseguirlo, mettendoci tutte e tutti insieme. Soltanto utilizzando i saperi che si articolano alle pratiche possiamo far emergere le competenze e aprire un dialogo con gli e le invitati/e delle diverse Istituzioni. L’esperienza ci ha restituito la necessità di un lavoro multidisciplinare da svolgere in funzione di contrasto della recidiva nel reato di maltrattamento e violenza che è altissimo”.
Tra le numerose presenze all’incontro, si segnalano: il Procuratore aggiunto del Tribunale di Roma M. Monteleone, il Garante dei detenuti di Lazio e Umbria S. Anastasia, la Direttrice di Regina Coeli S. Sergi, l’Educatrice I. Rinaldi Tufi di Regina Coeli, alcune colleghe che prestano il proprio lavoro nelle carceri e le assistenti sociali dell’UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterno). Non ultimo le rappresentanti della politica della Regione Lazio, l’Assessora alle Pari Opportunità, C. Bonaccorsi, la Presidente della Commissione Pari Opportunità E. Mattia, la Consigliera M. Bonafoni, con loro anche Cecilia D’Elia e Mariagrazia Passuello, e-sperte di discriminazione e violenza di genere. Un mix di donne competenti e appassionate che ha fatto sì che la mattinata sia trascorsa velocemente e abbia rappresentato un momento di approfondimento e di scambio. Laura Storti, presidente dell’Associazione Il Cortile, ha affrontato un altro aspetto. “Perché la psicanalisi nelle attività di contrasto alla violenza maschile sulle donne? La storia è iniziata nel 2005, quando Il Cortile con Ponte Donna e altre associazioni della Casa Internazionale delle Donne, ha vinto il bando per la gestione del Centro per donne e minori in difficoltà La Ginestra. Per noi psicoanaliste del Cortile (nove + uno), si è trattato di un lavoro in presa diretta con il ‘disagio della civiltà’, inserito in un Programma Internazionale di Psicoanalisi a Orientamento Lacaniano (PIPOL) che in quegli anni si sviluppava nel mondo. Abbiamo creduto che potesse essere utile introdurre gli strumenti che la psicoanalisi ci fornisce nella lettura del fenomeno della violenza maschile sulle donne, fenomeno strutturale, trasversale e multifattoriale. Abbiamo chiesto e ottenuto la costituzione di un’équipe stabile di operatrici per permettere loro di usufruire di una ‘formazione e autoformazione permanente’ in un appuntamento settimanale. La riunione avveniva alla presenza di uno psicoanalista ex-stime e rappresentava un momento di riflessione e di scambio dove affrontare le impasse che il lavoro quotidiano poneva. Inoltre, abbiamo inaugurato un lavoro con i/le minori ospiti o inviate/i dai Servizi territoriali, attraverso l’istituzione di Laboratori. Abbiamo aperto uno spazio di parola, considerandoli soggetti separati dalle loro madri e quindi, portatori di loro traumi e di loro esigenze. Ed è proprio attraverso le parole delle/dei bambine/i che ci siamo avvicinati ai padri e abbiamo nel 2010 aperto presso Il Cortine all’interno della Casa Internazionale di Roma, uno Spazio di Ascolto per uomini maltrattanti.
La mattinata ha visto poi l’intervento delle due équipe di lavoro nelle carceri. L’équipe di Regina Coeli con Monica Vacca e Luisa Di Masso ha presentato un lavoro durato tre anni nella Sezione VII° BraccioI di Regina Coeli, reparto che ospita i sex offenders, detenuti precauzionali, i cosiddetti “mostri”, “i segregati tra i segregati”.
“Il Laboratorio di parola e di scrittura - racconta Monica Vacca - non è pensato come un lavoro di ‘gruppo’in quanto è animato dalla ‘logica dell’uno per uno’. La partecipazione, grazie anche al passaparola tra i detenuti, è stata costante nel tempo perché, a loro dire, ‘qui possiamo parlare senza essere giudicati’ e ‘aspettiamo il laboratorio, il nostro Cortile di libertà’. La logica di fondo è quella di ‘estrarre dal detenuto il soggetto’ affinché emerga quella verità soggettiva che mette in luce il rapporto del soggetto con il proprio atto. Una verità in qualche modo ‘inafferrabile’, altra dalla verità giuridica che sanziona la colpa e nomina il reato. La parola se ascoltata, accolta e sostenuta mostra il suo versante creativo, quello capace di provocare e far emergere il soggetto”.
Monica, che è una psicanalista si é soffermata sulla pulsione, dicendo perché ‘Uno Spazio di Parola’ ai maltrattanti. “La parola estrae dalla detenzione della pulsione che vede gli umani, nessuno escluso, esserne soggiogati. La pulsione è padrona più di quanto la ragione non immagini, induce a fare quello non si sareb-be voluto e spesso capita che sia troppo tardi per porvi rimedio. Essa si manifesta nella ripetizione senza fine. Non a caso, il rischio di recidiva è altissimo se non si interviene per arrestare e trattare la pulsione. Ecco perché, ha spiegato Monica, abbiamo pensato ad uno spazio per dare parola, “perché chi parla sa che ciò che dice non gli servirà a modificare la sua condanna ma, se vorrà, servirà a toccare il suo essere e ad aprire degli interrogativi. Interrogativi che l’operatore dovrà saper maneggiare e ai quali dovrà saper non rispondere per farne piuttosto un buon uso”. L’équipe di Rebibbia (Giovanna Mannarà, Alessio Patacca, Matteo De Lorenzo e Carla Centioni) ha invece presentato il lavoro che si svolge da circa un anno nel reparto G9, Precauzionale. Gli interventi hanno restituito le difficoltà della vita di questi detenuti sia nella direzione dei pregiudizi che abitano dentro il carcere che quelli che abitano fuori. Ha spiegato come si è costituto il “non gruppo”, quali regole si è dato per parlare, per esempio “si può dire tutto quello che si vuole ma le parole hanno un peso dunque, stiamo attenti a ciò che diciamo”, nell’intento cioè di stimolare la responsabilità soggettiva del proprio dire.
Infine Matteo ha presentato una serie di frasi “in presa diretta” per restituire esattamente cosa si dice li dentro le mura, come si lavora e a che punto siamo nel lavoro di elaborazione soggettiva sempre con l’orizzonte di lavorare per contrastare la recidiva, la ripetizione dell’atto violento.
Nel dibattito che è seguito è venuto fuori chiaramente il principio fondamentale delle due équipe e cioè quello di non puntare alla “rieducazione” né alla “riabilitazione” tanto meno al “trattamento terapeutico”. Il Laboratorio pone all’orizzonte una possibile assunzione della responsabilità di ciascuno di fronte al proprio atto e alle conseguenze che ne derivano, spiegano le psicanaliste. La mattinata si è poi aperta ad un dialogo circolare tra Maria Monteleone (Procura di Roma), la direttrice di Regina Coeli Sergi e gli interventi dal pubblico con i contributi delle personalità politiche presenti. Tutte ci hanno ricordato dell’importanza di operare insieme a partire dalla messa in sicurezza della donna che subisce violenza, ribadendo l’importanza della formazione di tutte le figure socio-sanitarie, Forze dell’Ordine e Magistratura coinvolte al contrasto alla violenza, non ultimo il coinvolgimento del UEPE ufficio penale esecuzione esterna.
Il dibattito che si è sviluppato ha suscitato un grande interesse, suggerendo l’idea di proseguire nella strada aperta anche facendo rete perché solo insieme si può combattere la violenza sulle donne.
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