Bartolini Tiziana Venerdi, 28/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2014
Un appuntamento ormai ultracentenario che richiede una manutenzione. L’8 marzo resta una data che non passa inosservata, ma il cui senso autentico a malapena si scorge dietro una coltre piuttosto fitta che si è accumulata nei decenni. Manifestazioni, lotte, girotondi, urla, risate, gioia, volantinaggi, rabbia ma anche mazzetti di mimose vendute ai semafori o insensatamente offerte da un collega, tavolate di donne festanti in pizzeria o retoriche celebrazioni. Negli anni la Giornata Internazionale della Donna si è evoluta, ha fatto il suo cammino e ora ha bisogno di rigenerarsi per poter continuare a svolgere il suo ruolo, che è quello di richiamare l’attenzione sulle questioni che preoccupano le donne facendole divenire temi di rilevanza sociale e politica. Annusando un po’ l’aria abbiamo chiesto a donne di varie età, condizioni e nazionalità del loro 8 marzo per delineare un affresco dell’oggi. Il panorama che ne esce è variegato, multiforme, talvolta scoraggiante o sconcertante. È da qui che dobbiamo ripartire. Perché di ri-partire si tratta, per ridare smalto e vigore ad una ricorrenza appannata e che troppe giovani stanno cancellando dal loro orizzonte culturale. Ma si può convincerle che si deve lottare un giorno all’anno o che l’8 marzo si deve festeggiare? Il numero delle giovani (e anche delle adulte) che non ha proprio nulla da festeggiare sale vorticosamente. È una moltitudine smarrita, priva di riferimenti politici e delusa, sempre connessa alla rete eppure drammaticamente sola. La vivacità dell’associazionismo femminile non catalizza e non si fa catalizzare sulle grandi questioni di stringente attualità vanificando tanto lavoro e disperdendo energie preziose. La ricchezza e la profondità culturale delle donne non riesce a farsi progetto organico di rivoluzione sociale lasciando così inutilizzato un patrimonio aureo. In questo 8 marzo impossibile non nominare il lavoro, la precarietà, la disillusione, la violenza, la corruzione, la cattiva politica, le mafie tra le questioni che imprigionano ancora le donne e a cui le donne non trovano risposte unificanti capaci di incidere e di conquistare un nuovo ed efficace protagonismo sul terreno della lotta sociale. È accaduto che le regole sono cambiate quando le donne lo hanno voluto e ora è il momento di imprimere altre svolte. Tocca alle donne indicare strade, avere il coraggio di osare anche, anzi soprattutto, per non indietreggiare. La crisi è un’opportunità, si continua a dire, ma non si precisa per chi, per fare cosa, per andare in quale direzione. Un 8 marzo, questo, che, prima o dopo la pizzeria o il convegno, è il caso di dedicare ad una riflessione. Come mai nonostante le tante donne in Parlamento e nei Consigli di Amministrazione, nelle aule scolastiche di ogni ordine e grado, nell’apparato dello Stato e nella sanità, non emerge un modo femminile nell’idea di gestione, nella pratica politica, nel rispetto del cittadino-utente, nell’etica delle relazioni, nella qualità dell’insegnamento? Occorre la massa critica, si diceva, per cambiare le cose. Quando potremo considerare raggiunto quell’obiettivo e incamminarci per il sentiero che mostra al mondo, in concreto, il senso della differenza di genere e delle tante battaglie compiute per affermarla?
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