Decine di sit-in delle Sentinelle in piedi in varie città italiane si connotano diversamente da come vorrebbero apparire. Invece di difendere la libertà d'opinione, si configurano come un attacco alla laicità dello Stato.
Giovedi, 22/05/2014 - In oltre trenta città italiane dall’estate scorsa si sono tenute manifestazioni delle Sentinelle in piedi, ossia di persone che rendono pubblico il proprio impegno a favore della libertà di pensiero e d’opinione. Un pensiero specifico e particolare nel contempo: l’avversione alla c.d. ideologia di gender, che, a loro dire, si caratterizza per “l’assenza di identità sessuale naturale dell’uomo, per una sessualità slegata dalla procreazione, intesa come un gioco, per la perdita di valore del matrimonio e della famiglia e per la riduzione della persona a mera unità di conto, funzionale ai progetti totalitari della finanza e dell’economia”. Le Sentinelle in piedi si professano quale un movimento apartitico ed aconfessionale, ma in realtà sono suffragati dalle istituzioni ecclesiastiche, da alcune associazioni cattoliche e da forze politiche di estrema destra, come Forza Nuova e Casa Pound. Seguono l’esempio dei Vallours de bout, tipici delle mobilitazioni francesi culminate con la manifestazione “Le Manif pour Tous”, che portò nelle piazze d’oltralpe migliaia di persone al grido “No ai matrimoni omosessuali”.
Anche in Italia le caratteristiche dei sit-in delle Sentinelle in piedi sono simili a quelle dei cugini francesi, ossia si sta distanziati l’un l’altro di due metri, si tiene in mano un libro, mentre alcuni nel caso giacciono a terra, e si evita di parlare e propagandare le proprie posizioni ideali. Certo, accanto a questa particolare scenografia, ci sono volontari che diffondono le ragioni di siffatti assembramenti di persone, a quanti incuriositi si trovano di fronte alla scena di questi muri umani, e che spiegano come occorra vigilare per difendere la libertà di pensiero dal rischio di imputazioni a carattere penale. Sì, perchè il connotato comune tali mobilitazioni, o meglio la parola d’ordine, è sempre eguale, ossia che il ddl Scalfarotto, se fosse definitivamente approvato in Parlamento, comportando l’estensione della legge Mancino anche ai fatti commessi per ragioni di discriminazione sessuale ed omofobica, determinerebbe la galera per chi si dica a favore della famiglia formata da uomo e donna. Non si dice, e a torto, che il suddetto decreto stabilisce l’applicabilità della suindicata legge solo alla propaganda di idee omofobiche e agli eventuali comportamenti criminosi ad esse correlati.
Peraltro la legge Mancino, in vigore dal 1993, ha superato più volte il vaglio di costituzionalità, rivendicato da quanti in essa evidenziavano precipue caratteristiche liberticide ed in virtù della sua ragione giuridica, ossia il contrasto legale alle discriminazioni, era sembrata idonea a chi cercava di ampliarne l’ambito applicativo all’omofobia, alla transfobia ed a ogni altra forma di intolleranza basata sull’identità sessuale. E’oltremodo difficile nel nostro Paese produrre norme che si basino sul principio che le differenze di genere non costituiscono di per sé motivo per vittimizzare una persona, questa è storia di anni ed anni. Così succede che, ogni volta che si è lì per raggiungere la meta, ci si imbarca in contrapposizioni ideologiche, artatamente finalizzate ad allontanare sempre più il traguardo. Questa parrebbe la ragione alla base delle mobilitazioni delle Sentinelle in piedi, secondo le quali con l’approvazione definitiva del ddl Scalfarotto, n. 1052, “per finire in galera basterebbe dire che la famiglia è basata su una coppia uomo-donna”. Vogliono difendere la propria opinione al riguardo, ma, leggendo un libro all’impiedi sulla piazza di una qualsiasi città italiana in nome del loro concetto di famiglia, possono indurre gli altri astanti a pensare che è in atto il tentativo di colpire il diritto fondamentale di pensare a proprio piacimento.
Solo che ad approfondire l’argomento in questione, si scopre la palese strumentalizzazione dell’operazione, atteso che da una lettura, neppure tanto approfondita, del decreto legge si evince che l’aggravante di pena non riguarda “il come è pensato un matrimonio” ma l’istigazione alla discriminazione fondata sull’omofobia ed ai crimini commessi per ragioni di odio per l’identità sessuale. Ognuno è libero di avere la propria opinione sulla famiglia, mai una legge, ad esempio, può imporre di essere favorevoli ai matrimoni gay a quanti per loro principi personali non lo siano. Ma è anche vero che, per eguale ragionamento, costoro non possono impedire ad altri di pensare ad un diverso tipo di famiglia, ostacolando finanche lo Stato nel rispetto di uno dei suoi canoni fondanti, ossia il rispetto del principio costituzionale dell’uguaglianza. Le istituzioni ecclesiastiche farebbero bene a non tentare di imporre al Paese “un’identità culturale che nulla a che fare con l’insegnamento evangelico” (F. Romani). Anche lo strumento utilizzato dalle Sentinelle in piedi, qual’è quello di piccole mobilitazioni in varie città italiane, sembrerebbe denotare la volontà di far apparire la protesta a carattere nazionale, in modo da indurre i loro partiti di riferimento a bloccare il ddl Scalfarotto.
Solo che, se fosse così, ad essere all’erta, cioè particolarmente vigili, dovrebbero essere quanti, dietro questa non tanto celata strumentalizzazione, sentono veramente minacciata quella particolare libertà di pensiero che si concreta in scelte di vita specifiche, quali sono quelle basate sull’identità sessuale. Conviene all’istituzione Chiesa avallare una contrapposizione di tal genere, un muro contro muro sempre più invalicabile a chi sia alla ricerca di un confronto per nulla ideologizzato al riguardo, bensì tutto improntato al tentativo di risolvere i problemi che concretamente promanano dalla realtà di tutti i giorni? A cosa vale indurre in persone ignare la paura di andare in galera, solo a dire che esse intendono la famiglia come un’ unione tra uomo e donna? E visto che non è così, perchè per essere condannati occorre incitare all’odio e tenere comportamenti criminosi contro chi non abbia la stessa visione del nucleo familiare, è congruo ed opportuno che la Chiesa benedica questa disinformazione? Non sarebbe meglio aprirsi ad una discussione proficua con le istituzioni statali, quali il Parlamento, ed ad un’interlocuzione fattiva con la società? In questi casi, come in tanti altri, più che idonee appaiono le parole di Oscar Wilde: “Le cose vere della vita non si studiano, né si imparano, ma si incontrano”.
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