Diktat del Vaticano contro la prevenzione - Perchè tenere le donne all’oscuro di nuove tecniche, di nuove possibilità, dunque di scegliere?
Pellegrini Paola Lunedi, 12/10/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2009
A pochi giorni dalla data storica del 20 settembre, che celebra la fine del potere temporale dei papi con la presa di Porta Pia, il papa invita i farmacisti italiani a violare le leggi dello Stato, cioè a non vendere farmaci contrari alla vita. Un nuovo diktat del Vaticano contro la prevenzione, dopo l’anatema della scomunica contro la RU486, introdotta dall’AIFA anche nel nostro paese. Nel 1988 l’Ru486 fu introdotta in Francia. Seguì immediatamente una levata di scudi della Chiesa che terrorizzò la casa farmaceutica produttrice, Roussel Uclaf, al punto da ritirarla dal commercio. Il governo francese, di ben altra laica statura, accusò a sua volta la Roussel di comportamento antifrancese con il risultato che la distribuzione riprese dopo appena due giorni. Ma qui il governo, intimorito, ricattato dopo gli scandali che nei mesi scorsi hanno travolto l’immagine del premier e dopo l’inaudita vicenda del direttore dell’Avvenire, sta cercando di rendere difficile il ricorso alla pillola abortiva con pretesti risibili. Dati scientifici privi di fondamento statistico vengono utilizzati per spaventare sanitari e popolazione, giustificando così un inevitabile protocollo applicativo che probabilmente impedirà, di fatto, alla maggioranza delle donne (le meno informate) la libertà di scelta su come abortire. Con la Ru486 si ha una procedura scarsamente invasiva, a basso rischio, sicura. Ma ora che la donna può decidere di dominare in piena coscienza l’evento abortivo, si parla di terribili conseguenze fisiche, di solitudine. Sarebbe il caso di ricordare a tutti la solitudine c’è in quei nostri ospedali dove l’obiezione di coscienza di tanti produce atteggiamenti punitivi verso le donne che vi si recano per l’Ivg chirurgica; le liste di attesa, i medici che si sottraggono, il ricovero nelle corsie comuni con donne che hanno appena partorito e stanno per partorire circondate dai sorrisi e dai fiori delle famiglie. Quella lì non è solitudine, depressione, anticamera di ogni senso di colpa e, perché no, di vergogna? Ma è proprio quello che si vuole: donne di nuovo chiamate assassine. Da qui passa l’attacco alla legge che in Italia permette l’aborto, da qui passeranno, se non ci sarà una risposta forte e consapevole, tentativi di revisione peggiorativi della 194. Il tema è ancora quello di trent’anni fa, quando conquistammo la 194: infamia sulle donne che chiedono l’aborto nelle strutture sanitarie pubbliche per non morire di aborto clandestino, perché l’aborto non fosse più il solo reato di cui fosse colpevole la vittima. Forse noi donne che facemmo quella battaglia e la vincemmo oggi l’abbiamo dimenticato. Forse oggi, che siamo tutte o quasi tutte in menopausa, non percepiamo il pericolo che corrono le donne giovani e adulte in età fertile, esposte all’intimidazione, alla gogna sociale che rimbalza dalla campagna mediatica di questi giorni. L’interruzione volontaria di una gravidanza non è mai semplice per nessuna donna; in ogni caso, nessuna ideologia va sovrapposta all’evento concreto già di per sé lacerante, che tocca le donne e solo loro. Per questo è necessario dare spazio alla loro voce e ascoltare i loro bisogni. Come desidera una donna fare questo passaggio? Sappiamo che le conseguenze psicologiche ci sono comunque, niente impedisce il lutto. Ma nessuno può decidere meglio di una donna: vuole essere addormentata per non vedere, vuole l’anestesia locale per tornare a casa prima possibile, come nel caso della ragazze più giovani? Tutto questo si può e dunque si deve fare. E ora se vuole essere parte attiva, accettando consapevolmente di vivere il dolore fisico che avrà: oggi si può e si deve fare. La scienza e la ricerca farmacologica, dopo trent’anni hanno fatto passi da gigante. Solo una società che sta paurosamente arretrando come la nostra può cercare di tenere le donne all’oscuro di nuove tecniche, di nuove possibilità, dunque di scegliere. La medicina oggi è al servizio di questa possibilità. È la politica italiana che oggi non vuole riconoscere la loro libertà.
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