Scuola inclusiva o semplicemente Scuola? - di Anna Claudia Cartoni
Gli insegnanti di sostegno, quando ci sono, dovrebbero essere aggiornati costantemente, perché le disabilità sono tante e diversissime...
Martedi, 16/03/2021 - Sono la mamma di una ragazza di 16 anni con una gravissima disabilità motoria e cognitiva, ma è ben felice di andare a scuola poiché è l’unica possibilità che le viene offerta dalla società di stare in mezzo ai suoi pari. Da anni mi interrogo su che cosa sia realmente l’inclusione. Innanzi tutto, se occorre pensare all’inclusione dei nostri ragazzi, ciò presuppone un’esclusione a priori. Perché?
Per quanti sforzi possa fare l’istituzione scolastica, questa, effettivamente, ruota intorno ai normodotati e impiega le sue energie per loro. I disabili sono una minima parte e, quelli molto gravi, ancora meno. Non è il sistema scuola che si impegna per loro, ma piuttosto sono le singole persone che fanno funzionare o meno la struttura. Credere che la scuola potesse superare la ghettizzazione delle scuole speciali è stata un’illusione o un’ipocrisia.
È sicuramente stato un traguardo enorme e un pregevole vanto della scuola italiana, ma poi bisognava fare altro per preparare davvero la scuola ad accogliere tutti. La figura dell’insegnante di sostegno è fondamentale, ma avere un insegnante specializzato e che abbia davvero scelto di fare questo mestiere è un lusso. La maggior parte sono insegnanti prestati da altre materie che non attendono altro che una graduatoria li inserisca nella materia per cui hanno studiato. E oggi si parla anche di tagli alla scuola con una possibile riduzione delle ore di sostegno. Mi sta bene se tutti gli insegnanti si prendessero davvero carico dell’alunno disabile e non lo relegassero solo come di competenza del sostegno. Già oggi non dovrebbe essere così, ma lo è di fatto. L’insegnante di sostegno non è un baby sitter dell’alunno disabile ma un insegnante di tutta la classe che cerca delle modalità di interazione per tutti comprendendo la presenza di un alunno con esigenze diverse. Gli insegnanti di sostegno, quando ci sono, dovrebbero essere aggiornati costantemente, perché le disabilità sono tante e diversissime. Nonostante mia figlia, per esempio, utilizzi una modalità comunicativa che non è il linguaggio parlato, ma una possibilità di interagire attraverso quella che viene definita “comunicazione aumentativa alternativa” che utilizza le immagini, non ho trovato nessun insegnante preparato su questa modalità, eppure è l’unico modo che ha mia figlia per poter partecipare. Ritorno alla mia domanda iniziale. Che cosa si intende per inclusione?
Ad oggi mi sembra che ci sia una modalità univoca, ovvero, il disabile deve rincorrere la scuola dei “normali”, attenersi ai suoi ritmi e cercare di adattarsi ad una classica lezione costruita per i normali. I nostri ragazzi non ce la possono fare. Esiste una scuola dove si costruisce pensando alle esigenze di tutti? A volte è più il contesto che crea la disabilità che non la malattia stessa. Se io venissi messa in una camera buia diventerei più disabile di un non vedente. La presenza di un disabile in classe potrebbe essere una grande risorsa per i compagni per conoscere chi ha esigenze diverse, per insegnare ad accogliere davvero tutti. In classe si parla di tutto, ma mai di disabilità. Si parla di discriminazione razziale, di bullismo, ma i ragazzi che convivono tutte le mattina con una compagna disabile sanno come interagire con lei? Non si può, per esempio, inserire un progetto sulle diverse modalità di linguaggio? Da quello verbale, a quello espressivo, a quello corporeo a quello che magari un loro compagno utilizza?
Non si può parlare di tecnologia facendo comprendere come si deve costruire perché tutti possano entrare in un locale pubblico? La scuola stessa è piena di barriere, da rampe non a norma, ad ascensori non funzionanti, a porte troppo piccole per fare entrare una carrozzina. Non potrebbero gli studenti essere resi consapevoli di tutto ciò per cercare di costruire un futuro in cui tutte le barriere possano essere azzerate a priori e non solo tentare di mettere le toppe quando esiste una reale esigenza?
Non si può pensare a un progetto che nasca dall’esigenza di un loro compagno e siano, per una volta, gli altri a doversi adattare e rallentare la loro corsa verso una blasonata performance scolastica che mira solo alla prestazione ma non alla consapevolezza di ciò che li circonda? Mi piacerebbe anche che la scuola educasse i ragazzi a “prendersi cura” del loro amico disabile, non solo nel contesto scolastico, ma anche fuori la scuola perché la socializzazione non può essere relegata solo dentro le mura scolastiche. Forse una maggiore sensibilizzazione potrebbe aiutarci ad abbattere la solitudine che ci circonda.
Certamente oggi la pandemia non aiuta, il distanziamento e la DAD sono un grande ostacolo a tutto ciò, ma verranno momenti migliori.
Per questo non vorrei sentire parlare di scuola inclusiva, se questi sono i presupposti, ma semplicemente di “scuola”. Bisogna scardinare il concetto che la società debba essere inclusiva, Occorre, invece, pensare a una società che nei suoi fondamenti già non esclude nessuno, che accetta tutte le diversità e le interpreta come una ricchezza, così non c'è neanche bisogno di includere e fare Ministeri.
La strada è ancora tanta...
Pensare che siamo tutti uguali ha portato al fallimento di questo paese; invece occorre sapere che siamo diversi e costruire riconoscendo la diversità, di qualsiasi genere essa sia.
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