C’è ancora molto che abbisogna di essere reso chiaro nella vicenda politica che ha riguardato le sanzioni previste per l’aborto clandestino. O meglio, la rappresentanza istituzionale femminile, presente nell’esecutivo e nelle aule parlamentari, come si è approcciata al riguardo dello spropositato aggravio pecuniario correlato alla depenalizzazione di tale aborto? Dalle esponenti governative non sarebbe pervenuto alcun segnale di critica o di protesta e d’altronde la mancata nomina di una ministra alle Pari Opportunità induceva a prevedere alcuno impegno sul tema. Ma le donne che siedono sui rappresentativi scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama come si sono relazionate alla questione considerato che, rappresentando i propri ambiti territoriali d’appartenenza, dovrebbero ben conoscere gli alti tassi d’obiezione di coscienza ostativi alla piena e corretta applicazione della 194 in Italia?
Giunge l’eco di alcune interrogazioni parlamentari, che chiedono al Governo le ragioni dell’aumento da 51 euro a quasi 10.000 delle ammende che dal 6 febbraio possono colpire chi è costretta all’aborto clandestino. Non si conosce alcunchè relativamente a qualche altra iniziativa da porre in essere, anche al di là delle specifiche appartenenze politiche. Eppure una unione d’intenti avrebbe potuto marcare il segno di un’inversione di tendenza rispetto ai tanti, troppi, silenzi che si sono fragorosamente sentiti dopo le varie Relazioni ministeriali sul precario ed insoddisfacente stato d’attuazione della normativa a garanzia della salute di chi decide di interrompere una gravidanza. Così, mentre nella realtà di tutti i giorni potrebbe capitare che una donna decida di non recarsi al pronto soccorso al fine di porre rimedio ad una eventuale emorragia (ndr: per evitare la sanzione prevista per l’aborto clandestino), nelle aule istituzionali le parlamentari non fanno sentire alto e condiviso il proprio coro di condanna.
Già ci si sarebbe auspicato di sentire quel coro all’indomani delle irricevibili giustificazioni approntate dal sottosegretario alla Giustizia, G. Migliore, a seguito dell’interrogazione parlamentare della deputata M. Nicchi. Sostenere che “con riferimento ai criteri di determinazione delle sanzioni amministrative, si rileva come nessuna osservazione, in punto di adeguatezza, è stata comunque sollevata dalle altre amministrazioni interessate alla delega, né in sede di parere delle Commissioni parlamentari”, dovrebbe stare a significare che sia in ambito governativo che parlamentare l’aumento delle sanzioni pecuniarie alle donne costrette all’aborto clandestino è passato sotto silenzio. E’ possibile che ci si trovi di fronte a rappresentanti istituzionali che ignorino la condizione di chi è costretta ad elemosinare il suo diritto all’interruzione di gravidanza? E’ normale che non si tenga in debita considerazione che in alcune regioni, ove l’obiezione di coscienza raggiunge percentuali del 90%, un tale servizio sanitario non possa essere erogato? E’ giusto che si venga obbligate ad acquistare in internet kit di farmaci che al costo di 50 euro ti assicurino un aborto clandestino, pur di ovviare alle carenze di quegli ospedali pubblici dove addirittura si assiste impotenti al fenomeno dell’obiezione di interi reparti?
Gli echi di siffatta situazione hanno varcato perfino i confini nazionali fino a giungere direttamente oltre Manica ed al di là dell’oceano. Seppure sia il Guardian che il New York Times abbiano dedicato reportage al riguardo, a Roma di azioni sinergiche, richiedenti la repentina eliminazione di quelle inique sanzioni, non si sa nulla. Verrebbe naturalmente da chiedersi cosa sarebbe accaduto se non si fosse mobilitato un gruppo di donne, attiviste sui temi che concretamente marcano la vita delle italiane. Difatti con l’iniziativa 'Obiettiamo la sanzione' si è creata una particolare attenzione relativamente alle madornali punizioni economiche, attenzione che è andata al di là delle più favorevoli aspettative. Segno di una rilevanza della questione che va oltre i correlati risvolti economici e che centra dritto il cuore del problema. I diritti una volta conquistati, si difendono e così sarà anche per quelli che discendono da una corretta attuazione della legge 194.
Se lo Stato è responsabile del mancato svolgimento di un servizio sanitario che rientra nei Livelli essenziali di assistenza, questa sua colpa non può ricadere sulle singole donne che richiedono l’interruzione di gravidanza. Ciò dovrebbe essere più che chiaro alle “donne di Montecitorio e di Palazzo Madama” e per tale ragione lo stesso gruppo di attiviste sul finire di febbraio ha scritto all’Intergruppo parlamentare per le donne, i diritti e le pari opportunità. Si attendono le auspicate risposte in tempi più che stringenti, per tentare di avviare ulteriori passi nella direzione di eliminare le ingiuste sanzioni. Indubbiamente in alcuni casi le parole possono colpire più delle pietre, ma altrettanto è sicuro che anche i silenzi possono causare danni più che rilevanti. Non fosse altro che perché si abbattono pesantemente sui destini di chi è costretta a subire l’inazione conseguente a quelle parole non dette.
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