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Rebibbia: cibo dell'anima o delle emozioni

Rebibbia: cibo dell'anima o delle emozioni

Spigolando - Continua il viaggio di NOIDONNE intorno alle parole delle donne dal e nel carcere. Questa volta si è parlato di emozioni legate al cibo

Ortensi Paola Venerdi, 29/05/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2015

Un “cibo dell’anima” esiste! Quando ricordiamo alcuni piatti, o tavolate, torniamo a persone, affetti, profumi, gesti, atmosfere indimenticabili, che ci accompagnano per sempre. Si tratta di un nutrimento, facendo un occhiolino all’Expo, del corpo e dello lo spirito, memoria di ricordi divenuti sfaccettature della nostra stessa identità. Di questo abbiamo chiacchierato, durante i nostri incontri settimanali a Rebibbia, con Franca, Laura, Sylvie, Sonia, Loredana, Federica, René, Ala e Cinzia. Una alla volta o intrecciandosi con la voce, sono andate a memorie così vive da riempire la piccola stanza di profumi, piatti, quasi visibili più che virtuali. Franca evoca emozioni che le mancano: far la spesa al mercato, coi suoi colori ed il fruscio dei prodotti….l’impressione, quasi, di coglierli dalla terra, poi le polpette con la carne del lesso e il camino acceso guardando la nonna, veneta, girare nelle “bronze” la polenta bianca da mangiare col latte sopra e le pannocchie calde e abbrustolite. Ancora in quel mescolarsi di tradizioni e regioni, tipico delle famiglie italiane, suo padre calabrese aveva introdotto nei menù di famiglia gli spaghetti con la 'nduja. Laura ripensa al buon odore di torrefazione del caffè preparato dalla nonna e al gusto delle sue cotolette. Ricordi che la riportano a suo figlio Samuel. Laura si “squaglia” quando rievoca la voce del suo bimbo… ‘mamma oggi fai le lasagne?’.. lasagne cucinate secondo la tradizione e accompagnate poi da un tiramisù che completava la gioia di Samuel - ora più che ventenne - e ancora il piatto di spaghetti ad aglio e olio preparato alle tre di notte, quando arrivava Luca, suo grande amore. Sylvie dice di non avere un rapporto particolare col cibo, ma aggiunge che a lei, tosco-congolese, piacerebbe gustare la pappa col pomodoro, i ravioli alle patate col ragù noti come ravioli alla mugellana.

Ciò che le manca davvero, però, è “un bricco di vino rosso di qualità”. Non le dispiacerebbe, poi, gustare del fufù: una sorta di polenta bianca tipica della cucina congolese, fatta di farina di manioca. Sonia, prima ancora di citare le tante pietanze che in casa si gustavano grazie alle diverse origini regionali dei suoi genitori, esprime la nostalgia per quell’odore di legna bruciata che accompagnava i cibi preparati sul fuoco. Poi, come se le vedesse e riuscissimo a vederla anche noi lì in prigione, evoca la pagnotta di pane nero fragrante e profumata tipica del Cilento, la focaccia ripiena di carciofi, salame e uova e, ancora, tanti primi piatti: impastati, cucinati o consumati in famiglia. A rafforzare il senso e il significato di questi ”cibi emozione e ricordo” è Loredana.

Lei che, data la sua abilità e passione per la cucina anche a Rebibbia, con tutti gli ingredienti che riesce a comperare, realizza ricette tradizionali e anche “ripensate” dichiara che, in fondo, non le manca nulla. Parlando, però, racconta di come abbia nostalgia di quando fabbricava in casa liquori come il limoncello e il liquore al caffè, oppure quando preparava le bottiglie di pomodoro che chiudono nel vetro il profumo dell’estate. Ma Loredana, quasi testimonial del nostro ”cibo dell’anima”, racconta ancora una volta come sua figlia, quando viene a trovarla dalla Spagna, si porti via nella valigia i cibi che le prepara: lasagne, melanzane alla parmigiana, polpette, panzerotti, petto di pollo impanato. Direi che non c’è bisogno di commenti... Continuiamo a trovare conferme nei pensieri di Federica: a mancarle sono i pranzi di sua mamma, quel profumo di sugo che dalla mattina si diffonde in casa e che si accoccolerà nella lasagna seguita, talvolta, dalle polpette preparate con carne e pane - le rosette - rafferme e ammorbidite in acqua e latte “per non renderle troppo pesanti”. La nostalgia per René più che dal cibo (un ottimo riso allo zafferano della prozia) nasce dal gesto d’amore. “La mia prozia mi accoglieva e sottolineava di averlo cucinato proprio e solo per me - e precisa - se devo riferirmi puramente al gusto, a Rebibbia mi manca tanto la pizza della pizzeria. Sono stata in un carcere in Venezuela e quando venivano i miei genitori e mi portavano confezioni di riso in bustine già pronte, quello che in Italia non consideravo minimamente, lì mi sembrava un piatto d’eccellenza”.

A conferma che il cibo e il suo significato possono suscitare emozione rispetto alla memoria che ne abbiamo c’è il racconto di Ala, che strappa un sorriso a tutte nonostante per lei il sorriso sia amaro. Da quando è in prigione sua madre le continua a portare del pesce, sottolineando che contiene fosforo, quel fosforo di cui secondo lei Ala ha bisogno. Se ne avesse avuto di più, sostiene, non avrebbe fatto gli errori che l’hanno portata in carcere! E poi Cinzia racconta che all’improvviso, in fuga da Milano, raggiungeva - magnifica sorpresa - la mamma a Palermo, la quale col sottofondo del canto del mare e della voce di Mina, mentre si scambiavano parole e racconti, con gesti sempre uguali di un rito antico preparava la caponata servita su crostini.

 



RICETTA di Cinzia

CAPONATA SERVITA SU CROSTINI

INGREDIENTI: melanzane, sedano, olive nere, capperi, cipolla, sugo di pomodoro, olio.

PREPARAZIONE: friggere in olio extra vergine le melanzane tagliate a dadini dopo averle lasciate un paio d’ore in acqua e sale. A parte, tutto a pezzetti: sedano, olive snocciolate, cipolla, capperi, da saltare in padella con olio d’oliva e aiutandosi con sugo di pomodoro, quanto basta per amalgamare. In fine un ulteriore amalgama delle melanzane e del soffritto di cui sopra con zucchero e aceto. Due ore in frigo e poi su crostini caldi.

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