Polonia - Vestite di nero sono scese in piazza donne di sinistra, femministe e attiviste per i diritti umani, ma anche conservatrici, cattoliche ed esponenti dei movimenti per la salvaguardia della famiglia
Cristina Carpinelli Domenica, 13/11/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2016
Il 3 e 4 ottobre 2016 la Polonia ha visto le strade e le piazze delle sue principali città riempirsi di numerosi cortei di cittadini/e che protestavano contro un infame disegno di legge anti-aborto, un progetto che lo vietava in assoluto e che proponeva la pena carceraria (5 anni di reclusione) per le donne decise a interrompere la gravidanza e per i medici disposti a praticare l’intervento. Un vero e proprio atto di barbarie che aveva suscitato la rabbia di ampi settori della società civile, inclusi esponenti e donne seguaci del PiS (Prawo i Sprawiedliwość - Diritto e Giustizia), il partito populista di destra che oggi governa il paese con la maggioranza assoluta.
Il 23 settembre il parlamento polacco (Sejm), grazie anche al voto dei deputati del PiS, aveva approvato in prima lettura il disegno di legge d’iniziativa popolare che veniva, tuttavia, respinto il 5 ottobre in seconda lettura (352 voti contrari su 460 deputati), dopo il rapido dietro-front dell’esecutivo e del partito, che avevano annunciato di aver “cambiato posizione”: “Il PiS è e sarà sempre dalla parte della vita ma l’impatto del divieto di aborto può essere contrario ai risultati desiderati”, aveva dichiarato il leader di PiS, Jarosław Kaczyński, mentre la premier Beata Szydło aggiungeva: “Noi rispettiamo tutte le voci e le opinioni sull’aborto”, e annunciava anche un programma di sostegno del governo alle famiglie con bambini handicappati.
Bisogna dire che il testo del disegno di legge elaborato da gruppi fondamentalisti cattolici non piaceva nemmeno a personaggi pubblici del conservatorismo cattolico polacco. Ma il governo monocolore di Beata Szydło sapeva che, una volta al potere, avrebbe dovuto fare i conti con le frange cattoliche dell’ultra destra, che avevano votato in massa il PiS, comprese le componenti più reazionarie della potente Conferenza episcopale polacca e l’emittente radiofonica “Radio Maryja” (che ha un boom di ascolti), che avevano appoggiato la proposta di legge d’iniziativa popolare anti-aborto. D’altro canto, dentro la stessa compagine politica del PiS, coesistevano su questa materia posizioni diverse. Se il ministro dell’Interno, Mariusz Błaszczak, aveva difeso il disegno di legge, paragonando l’aborto all’eugenetica praticata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, e sostenendo che la legge in vigore consentiva di abortire nel caso in cui il feto avesse avuto delle malformazioni - spingendo, dunque, nella maggior parte dei casi le donne ad abortire in presenza di feto affetto da sindrome di Down, Tomasz Latos, deputato del PiS, aveva da subito attaccato duramente il governo per il voto favorevole alla proposta di legge espresso a settembre in parlamento: “Non siamo mai stati favorevoli a una politica che punisca le donne”.
In più, il governo populista non aveva messo in conto che l’approvazione da parte del Sejm di quel testo di legge avrebbe sollevato l’indignazione di milioni di donne che hanno deciso di aderire allo sciopero “in nero”: alcune sono rimaste a casa dal lavoro, altre hanno chiuso i propri esercizi commerciali, altre ancora si sono simbolicamente unite alla protesta indossando un capo nero per chiedere che la proposta venisse rifiutata. Hanno partecipato allo sciopero circa sei milioni di donne, di cui oltre 100mila sono scese in strada per manifestare nelle principali città. Al grido di “annunciamo la morte dei nostri diritti”, associazioni (femministe e non) hanno dato il via alla “protesta nera”.
Contro la crociata anti-aborto hanno aderito non solo le associazioni/movimenti femministi e i partiti dell’opposizione (Platforma Obywatelska - Piattaforma Civica; Nowoczesna- Moderno) ma anche personaggi pubblici inaspettati come Marta Kaczyńska, la figlia di Lech Kaczyński (il presidente polacco morto nella tragedia di Smolensk nel 2010), che ha giudicato la proposta di legge “disumana”, o semplici donne cattoliche, contrarie all’aborto, ma che non vogliono che il loro paese si trasformi in uno stato confessionale. A Częstochowa, la cattolicissima città della Polonia, meta di pellegrinaggi di fedeli per il suo Santuario della Madonna nera con il Bambino, il 60% delle donne hanno aderito allo sciopero e non si sono presentate al lavoro. Si sono mobilitate anche centinaia di migliaia di persone davanti alle ambasciate polacche nel resto d’Europa e del mondo, da Londra all’Australia, e un folto gruppo di donne vestite di nero (non solo polacche) si sono recate il 3 ottobre a Bruxelles per manifestare all’interno del parlamento europeo a favore del diritto all’aborto e alla salute in Polonia, e contro la svolta ultraconservatrice in atto in quel paese.
L’indignazione delle donne polacche e, di conseguenza, la loro sollevazione generale, era emersa anche a causa del comportamento “scorretto” del parlamento, che non aveva tenuto conto di tutte le proposte di legge d’iniziativa popolare presentate. Così se quella del gruppo pro-life “Ordo Iuris” (a favore del divieto totale dell’aborto) passava al vaglio della commissione parlamentare, un’altra presentata da un gruppo di attiviste favorevoli alla liberalizzazione dell’aborto veniva respinta.
Alla fine, la rabbia delle donne non è rimasta inascoltata. Ecco perché a 48 ore dalla grande mobilitazione di piazza, il governo, nella persona del ministro per la Scienza e l’Istruzione Superiore, Jarosław Gowin, ammettendo la sconfitta, ha annunciato che la proposta di legge sull’aborto al vaglio del parlamento non sarebbe entrata in vigore: “Voglio rassicurare coloro che temono che in Polonia l’aborto sarà completamente vietato. L’aborto non sarà certamente vietato quando la donna è vittima di stupro o se la sua vita o la sua salute è in pericolo. (…) La protesta di lunedì - ha ammesso - ci ha dato spunti di riflessione e di certo ci ha insegnato l’umiltà”. Anche i vescovi polacchi hanno fatto sapere con un comunicato stampa che la chiesa, pur essendosi schierata a favore della proposta di legge anti-aborto, si era tuttavia espressa contro la punizione carceraria nei confronti delle donne che abortivano - clausola ritenuta “eccessiva”.
Per la prima volta nella storia della Polonia, con un’inedita e imponente protesta “trasversale”, per dire no alla stretta reazionaria e clericale, le donne hanno lanciato un messaggio duro a chi governa, definendo qual è il “punto di rottura”, oltre il quale la società civile non permetterà che il partito di Jarosław Kaczynski si spinga.
Dunque, la Polonia non introdurrà il divieto totale dell’aborto (anche se è ancora necessario che il ‘no’ alla proposta di legge sia definitivamente approvato in terza lettura dall’assemblea dei deputati), ma manterrà la legge sull’interruzione di gravidanza, che è tra le più restrittive d'Europa. Questa legge del 1993, riconosce il diritto d’abortire alle donne che lo chiedono, ma solo in casi estremi: se la gravidanza è frutto di uno stupro o incesto, se il feto ha gravi malformazioni o se gravidanza e parto possono mettere in pericolo la vita e la salute della madre. Non dimentichiamo che il 69% dei polacchi è contro l’aborto (dato dell’Istituto polacco di sondaggi d’opinione - CBOS) considerato immorale e inaccettabile, ma che, come riferito da un recente sondaggio Ipsos, la stragrande maggioranza dei polacchi è contraria a una legge sull’aborto ancora più restrittiva, con solo l’11% a favore della sterzata integralista.
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