A mano libera / Rebibbia - I primi tempi ero diffidente, lo confesso. Mi domandavo: cosa vogliono queste da me....
FRANCA Giovedi, 05/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2015
I primi tempi ero diffidente, lo confesso. Mi domandavo: cosa vogliono queste da me, perché devo parlarci? Poi ho capito che il progetto era mosso da buone intenzioni. Mi piace l’idea di far arrivare fuori il racconto della mia vita quotidiana. Neppure i miei familiari capiscono davvero come si vive in carcere. ‘Tu sei qui, noi, invece, fuori…..’ una frase non conclusa, un’allusione… ti regala giorni e notti di pensieri e riflessioni. ‘Tu stai male, ma in fondo noi fuori …’ e io elaboro, rimugino… cosa avrà voluto dire, cosa non ha detto... Quanto è difficile parlare quando sei in carcere. Il tempo è poco e devi sbrigarti, cosa puoi dire in dieci minuti a settimana al telefono o in un’ora di visita al mese? Cerco di raccontare, ma senza creare preoccupazioni ulteriori. E allora dico e non dico. La non comunicazione è un grande problema che ne genera tanti altri. Portatemi una foto di Birba, il mio cane. Ci sono molto affezionata, ma non mi danno sue notizie. Starà male? Sentirà la mia mancanza? Ma per la mia famiglia il cane non è importante: ‘con tutte le preoccupazioni che hai vai a pensare al cane….’. Quando parlo al telefono con le mie nipotine è una gioia: con la piccola mi diverto, la grande un po’ la sgrido perché fa preoccupare mia figlia. Cara lettrice: sono una donna come te e sono tagliata fuori. Nulla mi unisce al ‘fuori’. Amici e parenti sono scomparsi, quelli a cui ho dato tanto non mi hanno perdonato. Allora qui dentro mi attacco a tante piccole cose. Per sentirmi viva. Qui si rischia di morire giorno per giorno. La musica, la poesia, la filosofia, la lettura sono i miei spazi, le mie ali di libertà.
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