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Per non dimenticare

Per non dimenticare

Lucia Tosi - Una lingua duttile, incline al neologismo, alla creazione, allo stupore

Benassi Luca Martedi, 02/08/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2016

Una battuta, forse di cattivo gusto, afferma che i poeti sono come i maiali: buoni da morti. Nella sua crudezza, la frase ha un fondo di verità: scrittori dimenticati, in ristrettezze economiche, snobbati da editori e premi, improvvisamente vengono ricordati in occasione della morte, finiscono sui quotidiani nazionali, specie se hanno condotto una vita disastrata, preda della follia e delle dipendenze, che possa intrigare la voglia di scandali e spettacolo del pubblico d’oggi. Terminato l’orgasmo del momento, ritornano nell’oblio e nel silenzio dei loro versi. Conoscevo Lucia Tosi da qualche anno, segnalatami da un amico comune come poetessa valida e profonda. Trovai i suoi pochissimi versi, pubblicati in rete, di sicuro valore e la pregai di mandarmi dei testi inediti, con l’intenzione di occuparmene sulle pagine di NOIDONNE. Mi rispose che era lusingata, che l’avrebbe fatto, che però era presa da molte cose e che avrei dovuto pazientare. È vero, era molto impegnata, stava combattendo con coraggio e determinazione, senza mai cedere all’autocommiserazione, una malattia crudele che l’ha portata via il 9 luglio 2016. Quei versi inediti non ha mai avuto il tempo e il modo di mandarmeli. Forse, oltre all’impegno per una vita che si faceva sempre più precaria, c’erano una naturale ritrosia, il senso di una poesia che richiede macerazione, dedizione e cura totali, per poter farsi depositaria di un’intimità senza infingimenti; una poesia che non si regala al primo venuto, al lettore sconosciuto, al critico improvvido. In ogni caso, avrei dovuto prestare più attenzione, insistere, e questa pagina apparirà forse come un cogliere l’opportunità della morte per parlare di una poesia che avrebbe meritato maggiori opportunità. I versi di Lucia Tosi sono dotati di una pensosa ironia che si manifesta in una lingua duttile, incline al neologismo, alla creazione, allo stupore. Eppure dietro questo apparente umorismo si celano il freddo tagliente dell’esistenza, le difficoltà, le storture, che la poetessa non schiva né allontana, ma incide con la parola, guidandoci al cuore delle cose e degli affetti. Fino alla fine.

Lucia Tosi è stata insegnante di italiano e latino. Ha scritto per il blog “La poesia e lo spirito” testi critico-creativi sulla scuola italiana, delle recensioni e qualche racconto; sue poesie sono comparse in vari blog, specie ne “La dimora del tempo sospeso” a cura di Natàlia Castaldi e in “poetarumsilva” a cura di Anna Maria Curci.





a las cinco de la tarde (it’s tea-time, madam!)



la bustina del mio controdolore

non posso prenderla a stomaco vuoto

son quasi contenta di quel sentore

come di cane che raspa nei bronchi

bisogna mangiare qualcosa è noto

se non vuoi che lo stomaco t’accocchi

non me lo faccio ripetere due volte

non m’importa del cane né dei cocchi

m’importa del te e dei biscotti







Mostratevi entusiasti di avermi conosciuto



La vita si fa poco per volta:

coi sensi di oggi non riconosco

quello che allora, e più indietro,

devo aver per certo provato:

per il sangue le morti

– da spiaccicamento autostradale o da malanno –

i suicidi.

Ogni volta una diga che tracima

un vajont di disperazione.

Come l’acqua che si ritira

non si sa dove – di tanta

che n’è scesa – anche il dolore

lo risucchiano il da fare

del giorno e l’invocata tenebra.

A guardare indietro

parmi d’esser stata di pietra:

neanche il tempo per graffiarmi il volto

e buttarmi a terra, nel buio,

a brancolare.







Madre



Avevo nove anni quando tu avevi

gli anni che ho adesso io. Troppi

i tuoi per parlarmi troppo pochi

i miei per capire il tuo primo addio

alla giovinezza. Scopro adesso

gli stessi segni, le stesse ingannevoli

morbidezze dell’abbandono.

Non ho io però una bambina ignara

a vedermi vecchia e irripetibile:

ho una fanciulla in fiore

rivolta verso un altro sole.

Sola ero senza di te allora

adesso sola nell’incalzare delle età.

Te ne sei andata, or son tre anni,

al solito, senza parlare.

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