Lunedi, 19/06/2017 - Il Titolo del Progetto, già dice del suo scopo e racconta l’intenzione per cui è stato pensato.
L’idea progettuale nasce nel mandato amministrativo 2011-2016 del Comune di Bologna, a seguito di alcune visite istituzionali alla Sezione femminile promosse dalla Consigliera comunale Mariaraffaella Ferri, allora Presidente della Commissione consiliare delle Donne Elette, l’attuale Commissione per la Parità e le Pari Opportunità, insieme alla Garante comunale per i Diritti delle persone private della libertà' personale, Elisabetta Laganà. Le visite erano state organizzate, in particolare, in occasione delle ricorrenze dell'8
Marzo – Giornata internazionale della Donna, e del 25 Novembre, Giornata internazionale per il contrasto della violenza sulle donne, con il coinvolgimento, in questo caso, anche della responsabile delle Case rifugio del Centro Antiviolenza cittadino, gestito da Casa delle Donne per non subire violenza.
Da queste visite istituzionali, inizialmente promosse per tenere aperta la relazione tra il Carcere e la Città, e per porre attenzione alla qualità della vita delle donne detenute che rischiano, altrimenti, di essere "invisibili" ai più, è maturato il desiderio di offrire qualche risposta concreta ai bisogni concretissimi che ci venivano rappresentati: portare la mimosa per l’8 marzo quindi, non era più sufficiente, occorreva promuovere un’iniziativa collettiva e solidale dedicata alle donne in carcere.
Da subito fu chiaro che per le donne detenute esiste una sorta di “discriminazione involontaria”: sono fortunatamente un numero ridotto,
rispetto alla popolazione maschile (a Bologna mediamente il 10% degli uomini detenuti, molto più della media nazionale che si attesta attorno al 4%) ma proprio per questo, nei fatti, sono penalizzate perché le risorse – assai limitate per tutti – si concentrano sui grandi numeri della popolazione carceraria. Per le donne dunque ci sono meno opportunità formative, meno percorsi d’istruzione, meno opportunità di lavoro e di lavoro qualificato.
In particolare, dalle più giovani ci è stato presentato il bisogno di fare attività motoria e praticare qualche disciplina sportiva; di mangiare in modo sano, con cibi buoni e di buona qualità. Abbiamo raccolto lo spaesamento delle donne immigrate, che poco o nulla comprendono l’italiano; lo sgomento delle madri che hanno lasciato i figli piccoli a casa, e lo sgomento nostro quando abbiamo visto bambini piccoli incarcerati con la loro mamma.
Abbiamo visto le dinamiche tipiche dei luoghi chiusi e segregati, le tensioni e la rabbia, la disillusione e la paura del futuro, ma anche la voglia di farcela, la speranza di ricominciare una nuova vita dopo aver scontato la pena, il sorriso e la riconoscenza per un gesto d’attenzione, per una parola d’incoraggiamento, per una vicinanza non giudicante ed empatica.
Abbiamo visto anche le oggettive criticità della Casa circondariale, i vincoli strutturali, la scarsissima dotazione di personale educativo, il pressoché inesistente supporto psicologico o la possibilità di accedere a terapie che non siano quelle tipicamente farmacologiche.
Per tutto questo nel 2013 abbiamo lanciato un appello ad alcune Associazioni femminili e a un primo gruppo di professioniste bolognesi, per verificare se ci fosse la volontà e la disponibilità di costruire insieme un'azione collettiva dedicata alla Salute ed al Benessere delle donne detenute.
L’adesione è stata entusiasmante e generosa. Si è quindi costituito un gruppo di lavoro per la co-progettazione e il coordinamento delle attività progettuali, presieduto da me, insieme alla Garante, partecipato dalle volontarie e, periodicamente, anche dalla Direttrice della Casa circondariale e dal Direttore dell'Area Educativa, che ci hanno accompagnato nello sviluppo del Progetto.
Da subito abbiamo condiviso la scelta di avviare una fase sperimentale, da sottoporre a verifiche successive, ma pure di darci una prospettiva di medio lungo periodo, in modo da consentire l'acquisizione e la trasmissione delle competenze necessarie ad operare adeguatamente dentro la struttura carceraria (ricordo che tutte le volontarie erano alla loro prima esperienza di lavoro in tale contesto). Un'azione collettiva dunque, coordinata ed aperta a successive integrazioni, all'inserimento di nuove volontarie e di nuove attività. I compiti di tipo burocratico, relativi alle autorizzazioni all'accesso delle volontarie e all’approvazione delle attività, sono stati presi in carico
direttamente da me, in qualità di coordinatrice, come unica referente ed interfaccia con l'Amministrazione penitenziaria. Ciascuna volontaria presenta la propria proposta di attività, definendone i contenuti specifici, la durata e il periodo preferito di realizzazione, nell’ambito di una cornice comune di obiettivi generali condivisi relativi ai temi della salute femminile e del benessere psicofisico, personale e di gruppo, delle donne detenute.
Abbiamo convenuto che ciascuna attività di ‘Non solo Mimosa’ dovesse offrire, per quanto possibile, opportunità a carattere culturale e formativo, proporre occasioni di accompagnamento e supporto ai singoli percorsi rieducativi e trattamentali, promuovere l'acquisizione di competenze personali e sociali, per la gestione consapevole delle emozioni, delle relazioni e dei conflitti.
I moduli delle attività ‘Non solo Mimosa’ si sono svolti in continuità dal 2014 ad oggi; le attività proposte si sono andate concatenando apparentemente in modo casuale, in base alle disponibilità di tempo delle volontarie, ma guardando a ritroso il percorso fatto, è stupefacente constatare come si sia creato una sorta di filo rosso che ha raccordato e rinforzato gli apprendimenti diversi che ciascun modulo ha proposto e propone. Si sono armonicamente succeduti moduli di attività corporea quali lo Shiatsu, lo Yoga, la Riflessologia
plantare, il Qi Gong, la Stimolazione neurale e la Bioenergetica, con le loro specifiche pratiche non violente di rilassamento, consapevolezza e cura del proprio corpo, in relazione con quello dell’altro. Sono stati proposti laboratori di Arte terapia ed un Corso di Mail Art, Arte postale, che utilizzano il linguaggio artistico, analogico, inclusivo e non verbale, così come ha fatto il laboratorio sulla Bellezza del sé, finalizzato a potenziare la propria immagine positiva e la consapevolezza del mondo interiore come risorsa per sé e per
gli altri. I corsi sulla Comunicazione assertiva hanno inteso sviluppare le competenze relazionali e la gestione positiva dei conflitti, mentre i Laboratori di lettura e di scrittura, proposti da UDI sui temi della Violenza di genere e dei Diritti umani, hanno promosso la condivisione di riflessioni individuali e collettive sui sentimenti, le emozioni, gli stati d’animo di paura, rabbia, di speranza e fiducia.
Nel quadro di queste belle attività, merita una menzione a sé quella del Trucco e Parrucco, realizzata con un gruppo di una decina di parrucchieri bolognesi che con il loro servizio di taglio dei capelli, messa in piega e maquillage, hanno portato dentro alla Sezione femminile una ventata di allegra “normalità”.
Dopo la prima fase sperimentale, è maturata l’esigenza di documentare le attività di ‘Non solo Mimosa’ ed ecco che sono state coinvolte le nostre bravissime fotografe, che affiancandosi alle volontarie nello svolgimento dei diversi moduli d’attività, hanno prodotto un patrimonio ricchissimo di immagini che speriamo di poter valorizzare e far conoscere attraverso una mostra fotografica o con una prossima pubblicazione.
Dal 2015, su iniziativa dell’Associazione Meg, Medicina Europea di Genere, è cominciata la collaborazione con il regista Eugenio Melloni e l’avvio del Laboratorio Cinema, con l’obiettivo di produrre un Film su questa specialissima avventura che chiamiamo ‘Non solo Mimosa’, scritta con le detenute e dalle volontarie che con loro lavorano e si relazionano, in un rapporto di solidarietà al femminile che potrei chiamare, con un termine un po’ desueto, di sororità, il sentimento della sorellanza.
Che altro dire del Progetto ‘Non solo Mimosa’? Posso dire che siamo orgogliose del lavoro svolto e della qualità dei risultati raggiunti; che siamo consapevoli della straordinarietà di questa nostra esperienza, basata sulla volontarietà e l’assoluta gratuità delle attività offerte; che siamo impegnate nell’allargamento della rete di collaborazioni e nel coinvolgimento di altre professioniste ed esperte, interessate e disponibili a partecipare all’iniziativa e a proseguire il lavoro intrapreso.
Ci sentiamo parte attiva, secondo la migliore tradizione di Bologna, nel contribuire con la nostra azione alla giustizia sociale, alla promozione e alla tutela dei diritti umani, a riconoscere e difendere la dignità di ogni persona, ad affermare la cultura di genere, anche nell’ambito della amministrazione penitenziaria.
Per questo e per molto altro ancora continuiamo ad offrire alle donne detenute nel carcere di Bologna: “Non solo Mimosa”!
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Il testo è l'intervento proposto dall'aitrice nell'ambito del convegno nazionale 'Carcere e questione femminile, svoltosi a Boglona il 15 giugno 2017
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