Omicidi in famiglia: incostituzionale l'ultimo comma dell'art. 577 c.p.
La Consulta ha dichiarato incostituzionale la norma che vieta al giudice di dichiarare prevalente le due attenuanti rispetto all'aggravante dei rapporti familiari tra autore dell'omicidio e vittima.
Sabato, 18/11/2023 - Con la sentenza n. 197, depositata il 30 ottobre 2023, la Corte Costituzionale ha stabilito che anche nei processi per omicidio commessi nei confronti di un familiare e/o convivente, il giudice deve avere la possibilità di valutare caso per caso se diminuire la pena in presenza della circostanza attenuante della provocazione ( di cui all'art. 62, comma 1, n. 2) cod. pen., ) e delle circostanze attenuanti generiche ( di cui all'art. 62-bis cod. pen.). La disposizione censurata è stata introdotta dalla l. n. 69 del 2019, la cui ratio è individuabile, come si legge nella sentenza in commento, nella “necessità di offrire una risposta severa dell'ordinamento rispetto a quei fenomeni criminali caratterizzati dal collegamento tra l'azione omicidiaria e un rapporto di prevaricazione e di forza fondato sul genere, normalmente rinvenibile nell'uccisione della donna da parte del suo compagno”. La Consulta ha ritenuto che il divieto posto dalla norma oggetto di censura, determini la violazione dei principi di parità di trattamento di fronte alla legge, di proporzionalità e di individuazione della pena sancita dagli artt., 3 e 27 della Costituzione. Ciò in quanto impone al giudice di applicare la stessa pena ( ergastolo o, in alternativa, la reclusione non inferiore ad anni ventuno), sia ai casi più efferati di femminicidio sia ai casi, come quelli oggetti delle ordinanze di rimessione che hanno portato alla pronuncia, caratterizzati da elementi che diminuiscono significativamente la colpevolezza degli imputati. Le questioni che hanno portato all'intervento della Corte Costituzionale, sono state sollevate da due ordinanze della Corte d'assise d'appello di Torino e da un'ordinanza della Corte d'assise di Cagliari. La prima stava procedendo nei confronti di una donna accusata di omicidio nei confronti del coniuge violento, alla quale i giudici avevano riconosciuto le sole attenuanti generiche, escludendo la legittima difesa. Procedeva, altresì, in altro procedimento, nei confronti di un diciottenne accusato dell'omicidio del padre, conseguito a reiterati episodi di violenza del genitore nei suoi confronti e nei confronti del fratello e della di loro madre. La Corte d'assise di Cagliari procedeva, invece, nei confronti di un uomo accusato dell'omicidio della moglie, affetta da disturbo bipolare di tipo borderline. Era stata, dunque, sollevata questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt., 3 e 27, commi 1 e 3 Cost., dell'art. 577, comma 3, c. p. nella parte in cui impedisce il giudizio di prevalenza, ai sensi dell'art. 69 c. p. delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante della provocazione rispetto all'aggravante prevista per il delitto di omicidio volontario, in relazione al fatto commesso contro l'ascendente, dall'art. 577 comma 1, n. 1) del c.p. La Consulta, dopo aver riunito i giudizi, ha dichiarato che l'art. 577, terzo comma, c.p. è costituzionalmente illegittimo, nei limiti posti dalle ordinanze di remissione allo scrutinio della Corte medesima e cioè nella parte in cui vieta al giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti della provocazione di cui all'art. 62, primo comma, numero 2) , c. p. e le circostanze attenuante generiche di cui all'art. 62-bis c.p.
In particolare, la Corte ha sottolineato che la decisione non si pone in contrasto con la finalità del codice rosso di intervenire con misure incisive, tanto di natura preventiva quanto di natura repressiva, contro il fenomeno della violenza e degli abusi commessi nell'ambito delle relazioni familiari ed affettive. Tuttavia, l'assolutezza del divieto posto dal legislatore può condurre a risultati contraddittori e non in linea con questo scopo portando all'applicazione di pene manifestamente eccessive in “ situazioni in cui è il soggetto che ha subìto per anni comportamenti aggressivi a compiere l'atto omicida, per effetto di una improvvisa perdita di autocontrollo causata dalla serie innumerevole di prevaricazioni cui era stato sottoposto”. Con la dichiarazione di incostituzionalità sarà, ora, possibile valutare se debba essere inflitta la pena dell'ergastolo, prevista in via generale per gli omicidi commessi nei confronti di un familiare o di un convivente, ovvero debba essere applicata una pena più mite, adeguata alla concreta gravità della condotta dell'imputato e al grado della sua colpevolezza. Si legge in sentenza: “ ogni omicidio lede in maniera definitiva una vita umana. E poiché ciascuna persona ha pari dignità rispetto a tutte le altre, ogni omicidio parrebbe avere identico disvalore. Eppure, da sempre il diritto penale distingue – nell'ambito degli omicidi punibili – tra fatti più e meno gravi. Già dal punto di vista oggettivo, alcune condotte omicide sono specialmente gravi: chi uccide la propria vittima dopo averle inflitto sofferenze prolungate, ad esempio, aggiunge ulteriore dolore al male di per sé insito nell'atto omicida. Ma è quando la condotta omicida venga riguardata dal lato dell'autore anziché da quello della vittima, che viene agevole comprendere perchè la gravità della condotta omicida sia suscettibile di significative graduazioni”.
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