Oltre le immagini, incontro alla dignità di un popolo
La pubblicazione delle fotografie delle vittime assassinate dell'ennesimo stupro avvenuto in India si giustifica alla luce della solidarietà con i Dalit,in protesta per richiedere giustizia e per le due adolescenti e per il proprio popolo.
Martedi, 03/06/2014 - Il vile assassinio di due adolescenti indiane, perpetrato da quanti ne avevano abusato, sarebbe apparso agli occhi dell’opinione pubblica internazionale quale estrema conseguenza dell’ ennesimo caso di stupro in un Paese che vede tale crimine codificato come reato di second’ordine o, peggio ancora, come accadimento da tollerare senza troppi indugi. Ma, ai piedi dell’albero da cui penzolavano i corpi delle due adolescenti, si sono ammassate decine di persone che con orgoglio e fermezza hanno ripetutamente protestato per l’atteggiamento omertoso delle forze locali dell’ordine pubblico, quasi in un moto non violento di rivendicazione di giustizia per le due vittime della violenza sessuale di gruppo. Una comunità, che si è mossa compatta con uno scatto forte di dignità, indubbiamente non era prevedibile da chi è di una classe sociale a cui non è consentito di richiedere la tutela dei propri diritti. Difatti le due giovani donne appartenevano ai Dalit, ovvero senza casta, che nel sistema sociale proprio della società indiana sono qualificati d’infimo ordine. Nella previsione dei violentatori la condotta criminosa sarebbe stata accettata con la rassegnazione tipica di chi sa di non potersi difendere dagli abusi degli appartenenti alle classi superiori, tant’è che i familiari delle due vittime hanno a più riprese lamentato l’inerzia della polizia alle ripetute istanze di avviare le ricerche dopo la loro scomparsa. Il dolore di quella comunità di fronte a tale tragedia, però, è stato più forte di ogni altro sentimento di timore o, come ordinariamente sarebbe avvenuto, dell’accettazione passiva dell’evento criminoso. La ribellione pacifica è stata la risposta vincente contro un sopruso così grande, una risposta non messa in conto dai violentatori, che di certo non si sarebbero aspettati l’evolversi positivo delle indagini nei loro confronti culminato con la cattura dei sette colpevoli, tra cui due agenti di polizia. Una rapida conclusione dell’attività investigativa dettata dalla circostanza che le foto delle due adolescenti uccise e del loro popolo in protesta hanno fatto il giro del mondo, sollevando un moto generale d’indignazione in grado di aiutare quanti avanzavano a viva voce la richiesta dell’individuazione degli autori dello stupro e del conseguente assassinio delle sue vittime.
Le donne italiane impegnate in prima linea nella difesa dei diritti di genere si sono chieste se fosse opportuno pubblicare quelle foto per rispetto delle due adolescenti, che, a loro modo di vedere, sarebbero state nuovamente violate con l’esposizione mediatica dei propri corpi penzolanti da quell’albero. Quei corpi, però, non erano soli ed abbandonati a sé stessi, bensì accompagnati non solo dalla presenza fisica dei loro familiari e sodali, ma anche dalla civile ribellione di quel popolo. E di certo la riprovazione internazionale e la conseguente mobilitazione ha sortito l’effetto di accendere i riflettori mondiali su quella domanda pubblica di giustizia. Diversamente poteva accadere che nel silenzio dei media globali la protesta sarebbe stata archiviata, perchè proveniente da “i senza diritti” e ci saremmo nuovamente trovati di fronte alle dichiarazioni di una madre di vittima di violenza sessuale, riuscita a sopravvivere allo stupro, che avrebbe richiesto per la figlia la morte come salvifica della dignità della famiglia. Come non leggere diversamente la necessità di procedere all’uccisione delle due adolescenti, quasi che fossero usate in vita per i bisogni sessuali dei propri aguzzini ed in morte per il proprio decoro familiare. Solo che quel popolo non ha voluto accettare le imposizioni provenienti dagli appartenenti alle caste superiori, rivendicando per sé e per le proprie congiunte rispetto e garanzia di diritti. Se lo abbiamo aiutato, pubblicando quella foto più forti di un cazzotto allo stomaco, anche per chi è avvezzo alle truci immagini di violenza sessuata, la mia risposta è sì.
Di fronte alle istantanee delle due ragazze impiccate alla prima impressione d’incredulità, è seguita una riflessione personale sui loro abiti ordinati e probabilmente nuovi, come se la scena fosse stata artatamente preordinata. Evidentemente gli assassini volevano far credere ad un suicidio delle loro due vittime, visto la particolare ed accurata ricomposizione di quei corpi. Come se alle due adolescenti oltre che lo stupro toccasse in sorte anche l’abuso del loro corpo inanime, un corpo da usare in vita e in morte. Contro questo ulteriore ed indegno abuso la classe sociale d’appartenenza delle vittime si è ribellata e quella civile protesta, aiutata dalla riprovazione internazionale, ha sortito l’effetto di accendere i riflettori dei media sull’ennesimo caso di violenza sessuale in India. Successe così anche l’anno scorso, dopo il caso della studentessa abusata in autobus e morta in conseguenza delle sevizie subite. Solo che giorni fa la vita è stata tolta a due ragazze senza diritti, appartenenti ad una classe sociale emarginata e privata di qualsivoglia rivendicazione. Ebbene il loro assassinio è servito a mobilitare il loro popolo e chissà che i Dalit non proseguano in questo cammino di emancipazione da un destino fatto di soprusi e di sopraffazioni. Due corpi senza vita lì ad originare un moto di ribellione per una vita migliore per sé stessi può apparire un messaggio macabro da veicolare, ma è l’unico motivo che mi ha indotto a pubblicare in rete quelle foto. Perchè non fosse l’ennesimo stupro da accettare con rassegnazione, perchè non fosse l’ulteriore dolore da vivere nel chiuso delle famiglie della vittime, perchè non fosse la naturale conseguenza dello stato civile di donne senza diritti, a cui altri decidono le sorti di vita e di morte.
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