Istituto Italiano di Bioetica - L’importanza delle biobanche per la nostra vita, per la ricerca e per la tutela della nostra salute
Battaglia Luisella Mercoledi, 03/08/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2016
Oggi le banche sono fonte di costanti preoccupazioni, identificate talora con una minaccia da cui difenderci, se non con un nemico da abbattere. Proviamo, invece, a concentrarci su un altro tipo di banche che potremmo definire “banche di vita” in quanto favoriscono la ricerca e mirano alla tutela della nostra salute. Stiamo parlando di “biobanche”, una realtà destinata ad assumere un’importanza crescente nella nostra vita per le prospettive che ci apre.
Pensiamo, ad esempio, alla medicina predittiva che, avvalendosi degli apporti della biologia e della genetica, è in grado di offrirci informazioni sul nostro futuro, sulle patologie ad insorgenza tardiva che potremmo sviluppare, o alla farmacogenomica che ci consentirà, a partire dalla lettura dei nostri dati genetici, di prevedere le reazioni individuali ad un determinato farmaco e quindi di personalizzare le cure. Non solo. Lo studio delle sequenze genetiche potrà consentire di curare malattie gravi e invalidanti. Le grandi potenzialità contenute in tali indagini stanno infatti nella possibilità di identificare le funzioni svolte da un particolare gene, in ogni fase dello sviluppo, e quindi di intervenire per correggere geni difettosi attraverso una terapia appropriata.
In questo quadro si collocano le biobanche, che non hanno alcuno scopo di lucro, e la cui funzione è di raccogliere e conservare campioni di tessuti umani e di materiale biologico da utilizzare per diagnosi e ricerche, in accordo con un codice di buon utilizzo e corretto comportamento, garantito da Comitati Etici e Università, in conformità con le linee guida dei documenti nazionali e internazionali. Il successo di tali ricerche, in vista delle applicazioni terapeutiche, si avvale della possibilità crescente di disporre di campioni biologici di persone con patologie genetiche o che manifestano variabilità nelle risposte ai farmaci.
Le biobanche si sono costituite in tutto il mondo grazie alle donazioni dei malati, delle loro famiglie ma anche di volontari sani che, con grande senso civico, collaborano per lo sviluppo delle ricerche su malattie complesse, come la predisposizione per talune patologie oncologiche, le malattie cardiovascolari, il diabete, l’ipertensione, l’obesità. La Liguria, che ospita molte biobanche di qualità - presso l’Istituto Gaslini, l’IST, gli Ospedali Galliera e San Martino - è stata la prima regione italiana a riconoscerne la rilevanza con un atto amministrativo specifico, offrendo in tal modo un servizio ai ricercatori per lo sviluppo dei loro studi e per favorire la collaborazione internazionale tra i diversi gruppi di scienziati.
Quali, in questo quadro così promettente, gli elementi di problematicità? Siamo qui, come in molte questioni bioetiche, in presenza di una tensione tra esigenze della ricerca e richieste di tutela della privacy. Come garantire la riservatezza delle informazioni? Come mantenere nel tempo un consenso informato su eventuali usi futuri dei campioni biologici?
Si deve ricordare che i dati genetici sono da considerarsi ‘dati sensibili’ idonei a rivelare il nostro stato di salute e destinati pertanto ad una protezione particolare. Da qui la necessità di un consenso libero e informato relativo al trattamento di questi dati ma anche alla loro destinazione. Si dovrà, ad esempio, decidere se essi devono restare assolutamente anonimi, e quindi non si possa risalire all’identità del donatore. In tal caso si avrà un rispetto assoluto della privacy ma ci si precluderà la possibilità di beneficiare in futuro dei risultati delle ricerche, privando di tale possibilità anche i familiari. Il nostro genoma infatti è condiviso dalla nostra famiglia, dai nostri discendenti e collaterali ed è proprio il suo aspetto ‘relazionale’ a suscitare molti interrogativi di natura etica. La decisione che assumeremo riguarderà infatti non solo noi ma anche altri soggetti in termini di etica della responsabilità. La scelta opposta di una piena identificazione dei dati consentirebbe un diritto di accesso alle informazioni non solo a noi ma anche ai nostri familiari - che resterrebbero ovviamente liberi di fruire o meno di tale possibilità, avvalendosi, ad esempio, del loro‘diritto di non sapere’.
A fronte di tali opzioni, è prevista la possibilità di un modello flessibile di consenso informato che permetta forme parziali di anonimato ma anche di identificabilità. Ma un’altra decisione importante riguarda la destinazione dei dati alle ricerche. Potremmo scegliere se dare un consenso limitato ad uno specifico tipo di indagine o ampliato fino a comprendere ricerche non ancora del tutto prevedibili ma che potrebbero rivelarsi fruttuose.
Lo statuto del genoma umano è infatti valutabile a tre livelli: individuale, familiare, universale e per questo l’Unesco lo ha definito “patrimonio dell’umanità’, sia per sottrarlo ad ogni tentativo di commercializzazione, sia per sottolineare la necessità di rispettarlo anche a beneficio delle generazioni future. La ‘relazionalità’ dei dati genetici comporta quindi un forte riferimento alla solidarietà e alla valenza morale della donazione del materiale biologico, un bene prezioso che, oltre a dare un contributo alla ricerca, è anche un’assicurazione per il futuro dei nostri figli e nipoti. L’attenzione alla persona nella sua individualità, il rispetto della sua idea di salute e di ‘vita buona’, oltre a comportare un mutamento profondo nel sistema sanitario, si richiama ad un’etica della ‘cura’ fondata su un ‘patto di fiducia’ come modello cui la medicina dovrebbe ispirarsi.
Come si vede, viviamo ormai in una “repubblica delle scelte” che, grazie alle rivoluzioni scientifiche e tecnologiche, rende possibili decisioni individuali e collettive in situazioni dominate in precedenza dal caso o dalla necessità. In tal senso l’enorme potenziale dischiuso dalla genetica porta con sé sfide di carattere etico, giuridico e sociale che dovremmo già da ora attrezzarci ad affrontare.
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