Giovedi, 01/04/2021 - Quando il Pci mi chiese di partecipare da indipendente alla campagna elettorale del 1996, fui abbastanza sorpresa perché l'anno prima c'erano state le elezioni amministrative e alla stessa richiesta avevo risposto ringraziando, ma "no", non era il caso dopo la casistica in tema di aborto e la durezza nei confronti dei giovani extraparlamentari.
Ero sorpresa, ma così convinta del programma di Berlinguer di che coinvolgeva "la cultura comunista socialista e cattolica" che accettai per impulso senza nemmeno chiedere di rifletterci sopra: pensavo che il partito conoscesse il mio impegno - ero della generazione Vietnam - nell'internazionalismo attraverso tutti i comitati per la liberazione dei popoli in America Latina, contro l'apartheid e per la politica estera in generale, poi anche perché ero cattolica, una motivazione in più allora.
Oggi invece ho avuto la conferma che prioritaria era stata la pressione delle donne arrivata alla direzione del Pci per ottenere l'elezione di una donna tra gli "Indipendenti di sinistra". Le donne sapevano. Sapevano che la "forma-partito" era da sempre declinabile solo al maschile e che il linguaggio del femminismo era una lingua straniera: usato da una comunista per entrare nel merito di problemi non percepiti dal potere disturbava: la coraggiosa non sarebbe stata rieletta.
Infatti c'era una bellissima intesa - che oggi chiamerei complicità - con le "compagne" se negli interventi potevo alzare il tono e offrire loro occasione di rafforzamenti ulteriori. Il privilegio - che era anche un limite - di non essere mai stata iscritta a nessun partito è dovuto all'impegno: a un partito "si appartiene". Il Pci era un padre/padrone a cui si doveva fedeltà e - uomini e donne - sottomissione.
Posso testimoniare che le correnti c'erano anche in passato quando in nome dell'unità gli iscritti e gli eletti accettavano anche scelte non condivise. Con il tempo non ci si è accorti che senza riforme, più che il Pci, esplodeva la forma-partito e le correnti, venute allo scoperto, in mancanza di una nuova visione, hanno ceduto il passo alla personalizzazione: senza padronato, ma sempre in nome del padre.
Oggi infatti anche i giornalisti, oltre ai politici maschi non solo del Pd, hanno proprio goduto a mettere in piazza la rivalità tra le due donne designate dai capi-corrente, paghi di poter far capire che "sono competitive come noi".
Finché non saremo più numerose e sostenute da donne più interessate ai propri diritti, le istituzioni non saranno "femmine" perché ogni volta ci diranno "Vi diamo dei posti, ma il modello non deve cambiare: resti neutro e sia maschile".
Per questo ho letto volentieri le dichiarazioni delle interessate. In particolare Marianna Madia che ha "festeggiato la sconfitta" nella sua sezione: potrebbe essere perfino una gran furbata (intanto sapere il nome della sezione ha rivelato "la corrente"), ma non è certo nella tradizione maschile. E, siccome è una parlamentare che ha attraversato più di una corrente, nell'intervista può permettersi il lusso di citare i colleghi che hanno oscillato più di lei e di criticare, come fa anche la "rivale" Debora Serracchiani, la sclerosi di un partito che non discute le idee e le scelte, ormai ridotto alle spartizioni lasciando orfana la gente della proposta politica.
Le generazioni sono legate alla catena che - dalla nascita della Costituzione, ma in particolare dopo l'esperienza degli ultimi cinquant'anni - mentre sembra spezzarsi grazie alla concessione di qualche diritto, ormai di fatto è il danno più grande che colpisce i partiti, la sinistra, il paese, l'Europa, il mondo. Non si spezza se l'altro genere non si rende conto che le donne non solo vedono - ormai tutti, purtroppo, "vedono" - ma, attraverso le lenti della propria cultura, giudicano abbastanza miserabile la ricerca di "questo" potere e vorrebbero aiutarlo a liberarsi dai guai.
Ignorare volutamente l'esistenza di questo potenziale danneggia i partiti, la sinistra, il paese, l'Europa,il mondo.
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