Scienza e salute/ Crisi pilotate - “Nel mio lavoro di psicologa giuridica mi trovo spesso a contatto con vari generi di conflitto…”
Andreina Cresta Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2005
Nel mio lavoro di psicologa giuridica mi trovo spesso a contatto con vari generi di conflitto sia all’interno delle coppie sia in ogni tipo di relazione parentale o amicale. Il conflitto esprime spesso l’ambivalenza di difendere la propria posizione ed al contempo la difficoltà di gestire le diversità. L’atteggiamento più rigido che spesso assumiamo in un conflitto può esprimersi con la frase: - O sei con me o sei contro di me! -
Non si può cercare soltanto di risolvere l’aspetto esteriore di un conflitto, nel tentativo di limitarlo, ma occorre riconoscerne le componenti emotive che ne sono alla base. “Confliggere” con l’altro, non è del tutto negativo, perché esprime il bisogno di ognuno di essere apprezzato e riconosciuto nelle proprie potenzialità, in famiglia, a scuola, con gli amici, nel lavoro. E’ necessario però gestire il conflitto ed il modo per farlo è la mediazione, tramite la quale si può superare il “fraintendimento” scoprendo la verità di sé stessi e dell’altro, fino a giungere a riconoscere “l’altro” nella sua diversità e complessità. Cavalcare l’onda del conflitto in una “escalation simmetrica”con l’altro che sia il nostro partner, il nostro capo-ufficio, il vicino di casa o un nostro dipendente, può essere altrettanto distruttivo che negare il conflitto o facendo finta di nulla, o sopportando passivamente senza cercarne le radici profonde. Occorre invece, dare visibilità ai sentimenti negativi, accrescendo l’arduo compito di raggiungere la nostra “consapevolezza”.
Il BEN-ESSERE di stare con l’altro deve diventare esente da elementi manipolativi: stiamo con l’altro perché sta bene con noi, non perché ci aspettiamo che faccia qualcosa per noi o con noi!
Ambiti in cui si inserisce la mediazione
Che il conflitto sia agito o latente, che avvenga a seguito di litigi fra coniugi in fase di separazione o divorzio o fra vicini di casa, o in ambito penale, la mediazione si propone “a lungo termine” di promuovere una cultura di pace , come afferma Jacqueline Morineau. MEDIAZIONE nel suo significato letterale significa “essere in mezzo”.
Il mediatore più antico compare presso i Sumeri ed aveva una funzione teologica di intermediario fra Dio e l’umanità.
La parola “mediazione”indica la posizione del mediatore”tra le due persone” “tra le due parti in conflitto”.
Già dal 1998, i Ministri del Consiglio d’Europa, raccomandano ai Governi degli Stati Membri di: 1) introdurre o promuovere la mediazione familiare o dove necessario, rafforzare la mediazione già esistente; 2) prendere o rinforzare le misure esistenti per la promozione e l’utilizzo della mediazione familiare, come mezzo adeguato per risolvere liti familiari.
La mediazione familiare aiuta le coppie in fase di separazione e divorzio a comunicare meglio ed a gestire il cambiamento. La sua utilità è importante per le famiglie in transizione da una struttura familiare ad un’altra. Secondo il Consiglio d’Europa, la Mediazione dovrebbe essere volontaria e non forzata per le coppie che si separano, ma in Norvegia, dove è obbligatoria, specie per le coppie con figli in fase di divorzio, i risultati sono molto positivi.
Il mediatore, che può avere una formazione psicologica, giuridica o di assistente sociale, non è un terapeuta, né un “councelor”. Lo potremmo definire più come un “negoziatore”, imparziale ed equidistante rispetto ai due coniugi.
Egli dà “empowerment” aiutando le coppie in fase di separazione e divorzio a raggiungere decisioni proprie, consapevoli e ponderate: insomma li rende protagonisti della loro vita, evitando così che altri, compreso il Giudice, decidano al loro posto. Il mediatore non focalizza l’attenzione sul passato della coppia, ma sul futuro ed accentua l’enfasi sugli interessi comuni più che sui diritti individuali e prende in considerazione i bisogni degli interessati, compresi i desideri ed i sentimenti dei bambini.
La mediazione, più che rompere un equilibrio precedente, tende a crearne uno nuovo, ha una durata limitata nel tempo, definita fin dall’inizio dell’intervento e comporta la compresenza di entrambi i coniugi.
Medazione e problematiche di genere
In USA, le femministe credevano che le donne fossero inevitabilmente svantaggiate negli accordi ordinati dal Tribunale a causa della “tendenza patriarcale” sottesa all’apparato giudiziario: in questo caso, la mediazione dà senza dubbio più potere alle donne che possono esperire una maggiore equità. Alcuni studi fatti nel 1995 da Irving e Benjamin, portarono prove empiriche le quali dimostrarono che non esiste nessuno svantaggio sistematico in mediazione, né a carico degli uomini né a carico delle donne. Se il mediatore era un uomo, alcune donne si sentivano in svantaggio, temendo l’alleanza fra i due uomini. Si è optato allora per l’impiego di un’équipe mista, composta da un uomo ed una donna, in modo da non causare squilibri di potere oltre che apportare una maggiore varietà di punti di vista. Tuttavia, ciò che più conta non è tanto il genere del mediatore, ma la sua preparazione, la capacità e l’esperienza, che sono importanti quanto il sesso o forse di più.
Ampliare gli obiettivi della mediazione
La mediazione può essere usata anche nell’ambito delle adozioni. Lisa Parkinson, che lavora da molti anni in Gran Bretagna come mediatrice, suggerisce l’uso di questa tecnica per far comunicare genitori naturali con genitori adottivi e bambino in adozione. Soluzioni concordate per il contatto possono essere prese tramite un accordo scritto, chiaro ed aperto, rilasciandone una copia a tutti gli interessati, compreso il bambino. Dovrebbero essere previste disposizioni per la revisione degli accordi, nel caso in cui le circostanze dovessero cambiare o con la crescita del figlio.
Un altro impiego potrebbe essere nel caso di famiglie ricostituite, per aiutare le persone coinvolte a comprendere ed elaborare future responsabilità genitoriali: infatti i problemi si possono risolvere meglio con i negoziati che con l’imposizione. Per soffermarci sull’uso della mediazione che si sta diffondendo in Italia, ci sono diversi modi di definirla. Nell’organizzazione milanese “Genitori Ancora”, fondata da Fulvio Scaparro si parla di mediazione strutturata parziale, quando essa viene fatta solo riguardo alla custodia dei figli, globale, quando riguarda anche la divisione dei beni dei coniugi in fase di separazione o divorzio. Nella mediazione sistemica, si descrive la famiglia come un sistema, che a seguito della separazione si trasforma in più sottosistemi uno dei quali è quello della coppia che cessa la convivenza, mentre l’altro sottosistema è quello dei genitori che dovranno continuare a condividere le responsabilità reciproche consultandosi sempre nelle decisioni più importanti da prendere nell’interesse dei figli.
Fino ad ora esistevano due tipi di custodia nei confronti dei figli dei separati: custodia esclusiva, quando i figli venivano affidati ad un unico genitore con il diritto di visita per l’altro genitore non affidatario, la custodia congiunta o associata, in cui entrambi i genitori godevano di identici diritti e responsabilità nei confronti della prole, con uguali poteri decisionali. Oggi anche in Italia come in Inghilterra esiste la custodia condivisa, in quanto se si esce dal ruolo di partner con la separazione, non si può uscire dal ruolo di genitore. Con questa decisione si assegnano pari poteri e doveri ai due partner, evitando che i figli diventino la “posta in gioco” di un’aspra contesa.
Inoltre, si attenua l’enorme responsabilità che grava solo su un unico genitore, mentre diminuisce lo scivolamento verso il disimpegno che si manifestava spesso da parte del coniuge non – affidatario - .
Come dirlo ai figli?
Spesso i mediatori si sentono fare questa domanda da parte di genitori che si stanno separando.
Tutto dipende dall’età dei figli!
Il passaggio da famiglia unita a “separata” è già piuttosto difficile per gli adulti ma per i bambini sotto i sei anni di età le difficoltà sono maggiori, perché i bambini possiedono meno risorse per affrontare questo cambiamento. Per questo motivo se il bambino è nella fase di vita prescolare, dovrà essere rassicurato del fatto che i genitori gli vogliono molto bene e che se si separano non è per colpa sua. Inoltre, dovranno essere comunicati con precisione i giorni e le ore in cui il bambino incontrerà il genitore non affidatario. Possibilmente, tutto ciò dovrebbe essere detto con tatto da entrambi i genitori che dovranno rispondere ai dubbi espressi dal bambino.
Poiché circa il 45% dei figli coinvolti nella separazione in Italia ha meno di nove anni di età, suggerisco un piccolo “vademecum” utile per le mamme ed i papà coinvolti, affinché possano affrontare la loro vicenda separativa, cercando di svolgere il difficile compito di comunicare la separazione ai figli, “ascoltando le ragioni del cuore”.
Premesso che nessuno è perfetto, e quindi anche i genitori non lo sono, è bene che entrambi non si pongano obbiettivi irraggiungibili. Ogni storia di coppia è una storia a sé e talvolta, le incomprensioni che si sono create non scompariranno mai del tutto.
Vademecum per genitori separati
1. Ribadire ai figli che loro non hanno alcuna responsabilità per la separazione dei genitori.
2. La comunicazione va fatta per quanto possibile dai genitori insieme.
3. Occorre dare ai figli la possibilità di esprimere le loro sofferenze.
4. Rassicuriamoli con i fatti che il vivere separati non cambia l’ impegno a collaborare insieme per la loro crescita.
5. Non alimentiamo “false illusioni”e chiariamo che la decisione di vivere separatamente è irreversibile.
6. Non colpevolizziamoci.
7. Non usiamo i figli come “giudici”.
8. Non denigriamo l’altro genitore.
9. Non cerchiamo l’alleanza del figlio contro l’altro.
10. Non rinfacciamoci le reali o presunte “colpe della separazione”.
11. Non riferiamo i giudizi negativi di un genitore ai figli.
12. Ogni volta che esistono “ragioni valide” è bene che i genitori “si parlino”.
Occorre sottolineare che nella nostra cultura, stiamo trascurando il bisogno che abbiamo di “collaborazione”, perché purtroppo tendiamo spesso a cogliere le differenze ed i conflitti, anziché l’armonia.
Per spiegare come coinvolgere anche i bambini, figli di separati nella mediazione, farò un breve esempio preso dalle esperienze pratiche presso la Scuola Romana di Psicoterapia della famiglia.
Userò dei nomi fittizi per rispetto della “ privacy”.
Due genitori che partecipavano alla mediazione, in fase di separazione, ritennero che sarebbe stato molto utile che i loro due figli, Anna di undici anni e James di sette parlassero con il mediatore, senza la loro presenza. Anche i bambini avevano chiesto di parlare con il mediatore, perché Anna, mostrava una certa riluttanza a fare visita al padre. Il mediatore concordò di vedere i bambini insieme, mentre i genitori avrebbero aspettato nella sala d’attesa per circa venti minuti. Il dialogo fra bambini e mediatore si svolse pressappoco così:
Mediatore: James, hai qualche amico a scuola i cui genitori non vivono più insieme?
James: Sì ho un amico che si chiama Carlo.
Mediatore: Come pensi che stia Carlo? Va bene per lui?
James: Beh, Carlo dice sempre che per far smettere di litigare i genitori, si debbono raccontare a loro delle barzellette! Io ci ho provato a raccontare una barzelletta a mamma e papà, ma loro non ascoltavano!!
Mediatore: Stai veramente cercando in ogni modo di aiutarli! Saresti capace di dirglielo?
James: Sì glielo dirò!
Mediatore: Anna, hai appena detto che non ti piacevano solo alcune piccole cose quando andavi da tuo padre, ma a volte anche le piccole cose, sai, possono ferire.
Anna: Una cosa che non mi piace è quando papà viene a scuola e tiene il cellulare in mano. Gli ho detto che non mi piace perché gli altri mi prendono in giro. Ma lui continua a farlo.
Mediatore: Quindi vorresti che tuo padre ti ascoltasse e facesse più attenzione a quello che dici?
Anna: Sì lui non ascolta per niente!
Mediatore: Che cosa ti piace fare quando vai da tuo papà?
Anna: Mi piace giocare con il suo computer,ma il problema è che quando gli dico che sono rimasta bloccata, viene e va avanti lui.
Mediatore: Vuoi dire che vorresti che lui ti mostrasse come devi fare quando rimani bloccata?
Anna: Sì, ma lui fa tutto da solo.
Mediatore: Io penso che lui ti farebbe vedere, se capisse che è questo che vuoi!
James: Sì e vorrei che lo facesse vedere anche a me!
I genitori, che erano stati in grande apprensione per l’incontro, ascoltarono con grande attenzione ciò che i bambini avevano da dire ed i loro occhi si riempirono di lacrime.
L’incontro li aiutò a rendersi conto della grande importanza di ascoltare attentamente i bambini. Cose che i genitori non avevano notato, o che avevano liquidato come “non importanti”, lo erano invece moltissimo per i bambini. La riservatezza di Anna era soltanto il suo modo di dimostrare “risentimento” per il fatto che quanto lei diceva veniva spesso dimenticato.
Occorrerebbe diffondere il più possibile una “cultura della mediazione” anche a scuola, fin da quando i bambini frequentano le elementari. “I bambini ci guardano”, come dice il titolo di un film di De Sica che ormai fa parte delle cineteche; essi spesso sono affascinati dal conflitto, riproducendo scene aggressive viste in TV; inoltre i bambini, capiscono, riguardo alla natura delle relazioni, più di quanto molti adulti pensino. Si potrebbe insegnare loro a gestire la propria rabbia, imparando modalità non violente per affrontare il conflitto.
I gruppi di teatro a scuola possono essere utilizzati per studiare il modo di esprimersi e gestire i conflitti. Già dall’età di sette anni, i bambini possono partecipare a giuochi di ruolo guidati da insegnanti competenti o mediatori addestrati per riprodurre una discussione od una lite. Quando la lite viene messa in scena, un bambino può gridare “stop” assumendo uno dei ruoli e mostrando come potrebbe essere gestita l’aggressività in un modo del tutto differente. Possono così essere discusse modalità costruttive per reagire al conflitto. I bambini potrebbero scegliere fra di loro un “mediatore” per dirimere le controversie in classe.
Bullismo
Recentemente si discute molto sul fenomeno del “bullismo” a scuola; se possibile questi problemi dovrebbero essere indirizzati alla mediazione, prima di minacciare un bambino di espulsione e prima che i problemi si accumulino e le posizioni di genitori, insegnanti ed autorità si irrigidiscano.
Mediatori familiari esperti in questo campo possono offrire un servizio di mediazione per bambini, genitori ed insegnanti. Dopo questi brevi cenni su alcuni punti riguardanti il lavoro del “mediatore”, vorrei concludere facendo alcuni brevi cenni sulle famiglie europee. Esse sono una miscela di molte culture e tradizioni differenti. Esistono infatti, infinite varietà di stili di vita e di sistemi di educare i figli e per molte persone la parola “famiglia” sta ad indicare più un sistema di relazioni che un gruppo caratterizzato da legami “biologici”.
I bambini ai quali si chiede quale sia il loro “concetto di famiglia”, rispondono quasi sempre in termini di rapporti fra persone, piuttosto che di “legami di sangue”. In uno studio condotto da Morrow nel 1998, una bambina di nome Tara, di tredici anni definisce la famiglia così: “Una famiglia è un gruppo di persone che si preoccupano l’una dell’altra. Possono piangere insieme, ridere insieme, discutere insieme e vivere tutte le emozioni insieme. Alcuni vivono anche, insieme. Le famiglie servono per aiutarsi a vicenda nella vita”.
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