Lo Stato non supporti la fiscalizzazione della prostituzione
Il nuovo codice ATECO 96.99.92, relativo ad attività organizzative di servizi sessuali ed eventi legati alla prostituzione, ha offerto lo spunto per discutere nuovamente sulla regolamentazione della prostituzione
Mercoledi, 16/04/2025 - Dal primo gennaio 2025 è entrata in vigore ATECO (acronimo di "Attività Economiche”) 2025, la nuova classificazione delle attività economiche, stilata dall’Istat, che serve a identificare le imprese e le partite Iva, chiarendo al Fisco quali attività esercitino. La classificazione, caratterizzata da codici alfanumerici, che però ha iniziato ad essere utilizzata operativamente a partire dallo scorso primo aprile, è stata aggiornata in collaborazione con Agenzia delle Entrate, Camere di Commercio, enti, ministeri ed associazioni imprenditoriali interessate.
Spulciando all’interno di ATECO 2025, l’attenzione si è focalizzata sul codice 96.99.92, definito "Servizi di incontro ed eventi simili", che prevede al suo interno anche attività organizzative di servizi sessuali ed eventi legati alla prostituzione. Immediato è stato il tamtam mediatico ed il motivo di tale reazione è dovuto alla circostanza per la quale, seppure la prostituzione non si configuri in Italia come reato, il suo sfruttamento sì.
Difatti la normativa vigente, ossia la legge Merlin, punisce con il carcere da due a sei anni chi "recluti una persona al fine di farle esercitare la prostituzione, o ne agevoli a tal fine la prostituzione" e chiunque "in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui". Viene altresì colpito anche chiunque gestisca "una casa di prostituzione", chiunque affitta una sua proprietà "a scopo di esercizio di una casa di prostituzione" e chiunque "tollera abitualmente la presenza di una o più persone che si danno alla prostituzione" all'interno del proprio "locale aperto al pubblico". Ci si è conseguentemente chiesti come un codice ATECO potesse rendere regolare, ai fini del versamento delle tasse, chi lavori nella "gestione di locali di prostituzione", o "organizzazione di eventi di prostituzione".
Interpellato per i necessari chiarimenti, l'Istat ha spiegato che la nuova classificazione ATECO recepisce "la classificazione statistica europea delle attività economiche", dentro cui c'è anche la parte sulla prostituzione. E che, in generale, "la classificazione statistica delle attività economiche definita a livello comunitario può includere, oltre alle attività legali, anche quelle non legali al fine di garantire l’esaustività della classificazione e la piena comparabilità dei dati tra Paesi dell’Ue".
In ogni caso, i nuovi codici saranno implementati solo per "gli operatori economici residenti che svolgono attività legali", quindi, nel caso del codice in questione, coloro che gestiscono "le agenzie matrimoniali e quelle di speed dating", ossia organizzative di serie di appuntamenti lampo per conoscere l'anima gemella.
Tale precisazione ha consentito di comprendere come le altre attività, ossia quelle illegali, saranno valutate a scopi esclusivamente statistici, per cui non rilevano ai fini di una dovuta tassazione, a detta dell’Istat. Senonché, nonostante quanto chiarito da tale ente pubblico, al momento permangono i dubbi su eventuali cortocircuiti che potrebbero generarsi nella realtà fattuale. Ad esempio, visto che il codice ATECO viene fornito a ciascuna impresa all'atto della comunicazione al Registro delle imprese dell'avvio dell'attività economica e visto che conseguentemente viene utilizzato in sede di registrazione di una partita Iva, cosa succederebbe al proprietario di un locale se dopo qualche tempo gli inquirenti scoprano che vi si pratica sfruttamento della prostituzione? Le tasse pagate fino a quel momento, in virtù di una classificazione delle sue attività con codice 96.99.92, come verrebbero valutate, visto che comunque il Fisco non può essere esonerato dal rispetto della legge Merlin?
Risulta evidente che la vicenda dei nuovi codici ATECO abbia aperto nuovamente la discussione sul tema della regolamentazione della prostituzione, che come un mantra ritorna ogniqualvolta se ne offra l’occasione, come in questo caso.
Infatti il leader della Lega, Matteo Salvini, ha subito preso la palla al balzo e ha definito l’introduzione del codice ATECO 96.99.92 «un passo avanti verso buon senso e legalità», riproponendo il tema dei «controlli sanitari e pagamento delle tasse» ed invitando i suoi follower a esprimersi al proposito. La Lega, d’altronde, persegue sin dal 2017 la legalizzazione della prostituzione in Italia, prevedendola come un proprio pilastro programmatico. La proposta leghista si sostanzia nella creazione di appositi albi di iscrizione, registrati nei comuni, con l'identità di chi pratica la prostituzione. L’obiettivo è rendere le lavoratrici autonome, con l’obbligo di avere una partita Iva, emettere fattura e pagare le spese sanitarie, previdenziali e fiscali. Risulta però evidente che si ingenererebbe il rischio di una vera e propria schedatura di massa, tant’è che il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, organizzazione italiana che difende i diritti di queste persone, è da tempo contrario alla riapertura di centri di questi tipo.
La nuova classificazione ATECO delle attività relative ai servizi sessuali, checché ne dica l’Istat, costituisce comunque un cambio di registro, perché considera commerciali attività che tali non sono, visto che il corpo di una donna non è merce.
Nel nostro Paese, ove la prostituzione non è regolamentata, si stima che siano quasi 120.000 le persone che la praticano e fra di loro ci sarebbero un 9% di minorenni e un 60% di soggetti stranieri provenienti dall’Europa dell’Est e dall’Africa, mentre il 18% svolgerebbe l’attività in modo occasionale e non continuativo. In altri Paesi europei (Germania, Austria, Grecia, Ungheria, Lettonia, Paesi Bassi e Svizzera), ove la prostituzione è legalizzata, si evidenzia come tale regolamentazione comporti un vero e proprio sfruttamento delle donne nei bordelli, senza che peraltro il fenomeno regredisca. Di certo in quei Paesi le casse pubbliche si avvantaggiano della tasse pagate dalle prostitute, ma il prezzo da loro corrisposto sui propri corpi e la propria dignità pare che allo stesso Stato non interessi.
In Italia, ove ci sono anche proposte di legge tese a normare il fenomeno della prostituzione secondo il modello abolizionista svedese, ossia applicando sanzioni pecuniarie ai clienti, il mercato del sesso dall’ultimo decennio del secolo scorso è variato per la presenza delle migranti, che hanno ingenerato il fenomeno della tratta caratterizzato da numeri impressionanti, secondo quanto rivelano indagini delle Nazioni Unite e della Ue.
Come si inserisce in una realtà del genere il codice ATECO 96.99.92?
La risposta potrebbe essere trovata nelle parole di Barbara Funari, assessora ai Servizi sociali e alla Sanità di Roma Capitale. «Come assessorato ai Servizi sociali abbiamo attivato una serie di progetti per offrire alternative e reinserimento. Quando i nostri operatori incontrano le prostitute, nessuna dichiara di essere felice. Hanno storie di coercizione e di relazioni tossiche, di mariti e compagni che le costringono o le inducono a vendere il proprio corpo. Queste donne potranno anche avere un codice ATECO, ma è una finzione. La prostituzione non è un lavoro come un altro».
Proprio partendo da tale assunto, occorrerebbe necessariamente un intervento istituzionale che, nella ipotesi di prevedibili corto circuiti nel sistema fiscale, generati dalla conseguente fiscalizzazione delle attività di sfruttamento della prostituzione a seguito dell’applicazione del codice ATECO 96.99.92, sgombri il campo dalla volontà di regolarizzare in Italia il sistema prostituente non attraverso una nuova legge, ma tramite una classificazione comunitaria.
Quel “Ce lo chiede l’Europa”, addotto dall’Istat per spiegare l’obbligatorietà dell’ATECO 2025, suona come un mezzuccio per la classe politica che da anni tenta di normare la prostituzione, mettendo nel cassetto la legge Merlin.
La palla viene lanciata nel campo della Presidenza del Consiglio dei ministri, competente in tema di sorveglianza sull’Istat, nella speranza che mantenga saldo il principio in base al quale la prostituzione non venga considerato un lavoro, visto che il corpo delle donne non è merce. Diversamente sarà considerato tassabile quello stesso corpo, lo Stato aumenterà di certo le sue entrate fiscali, ma si farà conseguentemente complice di chi quel corpo sfrutta e sottopone a tratta, denegando i più elementari diritti civili delle persone costrette a prostituirsi.
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