La Storia che mette al centro il protagonismo delle donne appare sempre più un pozzo senza fondo, così come le ricostruzioni del recente passato, dove la memoria spezzettata in mille gesti e soggetti aspetta impaziente di farsi narrazione storica.
Donne senza veline di Elisa Salvati non fa eccezione e non di rado ti stupisce con informazioni nuove e figure sconosciute o dimenticate che chiedono collocazione adeguata nella Storia del nostro Paese.
L’autrice, con un paziente lavoro di ricerca, ci restituisce le vicende legate ad una esperienza editoriale breve, ma molto significativa e densa di contenuti, collocandola nel contesto in cui nacque e si sviluppò.
Quotidiano Donna viene pubblicato per la prima volta a Roma il 6 maggio del 1978 come supplemento politicamente autonomo del Quotidiano dei Lavoratori, testata legata prima ad Avanguardia operaia e poi a Democrazia proletaria. Dopo mesi di incontri il primo nucleo della redazione formato da Marina Pivetta, allora giornalista del QdL, Emanuela Moroli e Chantal Personé dà vita al primo numero del giornale. La redazione, con sede in via del Governo Vecchio, presto si arricchirà di presenze importanti tra cui Grazia Centola, Oria Gargano, Mariella Regoli, Valeria Moretti e la psicoterapeuta Irene Agnello. La collocazione della redazione è molto significativa: siamo a palazzo Nardini, occupato nel 76 dal Movimento di liberazione della donna (Mld) e divenuto presto il simbolo del femminismo romano, lì presente con il Coordinamento dei consultori, le redazioni di Radio Lilith e Radio Donna e vari collettivi. Il giornale ricostruisce, con un supplemento a cura di Valeria Moretti e Marina Pivetta, i primi giorni di occupazione, parla delle assemblee, delle difficoltà, dei primi gruppi di lavoro e riporta anche scritti e disegni presenti sui muri che ci danno visivamente il clima politico/culturale di una generazione di giovani donne all’inizio di un percorso di liberazione collettiva.
La novità è rappresentata, rispetto ai femminili di allora, non solo dai contenuti che risultano essere espressione diretta di riflessioni ed esperienze dei collettivi femministi, ma anche dalla ferma volontà di rifiutare una comunicazione autoritaria per realizzare una interlocuzione il più possibile orizzontale, dove tutte sono sullo stesso piano. Il 16 dicembre del 78 cessa di essere un supplemento per diventare un giornale completamente autogestito tra difficoltà economiche, richiesta di maggiore spazio da parte di alcune o, da parte di altre, di una più matura professionalità capace di prendersi la responsabilità di selezionare i contributi che arrivano sempre più numerosi da tutta Italia. Nel leggere le pagine di questo libro si ripercorre l’atmosfera di quegli anni, le utopie, i desideri, il bisogno di dirsi di ciascuna, la necessità di nominare un noi (testi scritti collettivamente), la paura di questo noi visto come cancellazione del sé (nessuna poteva parlare a nome delle altre), ma anche il desiderio di costruire una elaborazione teorica capace di andare al di là dell’esperienza soggettiva. La redazione da sola non basta: attraverso seminari molto partecipati ogni tanto si fa il punto per definire insieme la linea da seguire.
Intanto alla fine del 79 iniziano a nascere redazioni in altre città, l’impaginazione del giornale cambia di continuo, come il numero delle pagine, si accetta a malincuore la pubblicità per andare avanti. Le donne parlano in prima persona di sé, della propria vita riattraversata col sapere guadagnato con la pratica dell’autocoscienza. Si parla di salute, contraccezione, aborto, lavoro, di eterosessualità e lesbismo, di violenza contro le donne in ogni sua forma, comprese le torture nei confronti delle detenute. Si legge del dibattito tra le donne e del conflitto particolarmente aspro sulla legge di iniziativa popolare contro la violenza sessuale. Sono riportati importanti seminari come quello del Centro culturale Virginia Woolf su donne e linguaggio. Tra le pagine trovano spazio esperienze di resistenza e di lotta di donne di altri paesi come il Cile, l’Argentina, l’Iran. Ma anche fatti tragici come l’assalto al collettivo delle casalinghe a Radio città futura nel 79.
L’ultimo numero del settimanale è del novembre 1981, ma sarà seguito da due speciali usciti rispettivamente a marzo dell’82 e a marzo dell’83 in occasione della Giornata internazionale delle donne. Come scrive Elisa Salvati questo lavoro è stato incoraggiato e sostenuto dalla sua professoressa Beatrice Pisa, docente di Storia delle donne all’Università La Sapienza di Roma che ha anche scritto una breve ma densa presentazione.
Il volume si conclude con una articolata intervista ad Emanuela Moroli.
Desidero segnalare che durante la coinvolgente lettura di questo prezioso libro si incontrano i nomi di donne che purtroppo non ci sono più come Lina Mangiacapre, Simonetta Tosi, Roberta Tatafiore, Alma Sabatini, figure femminili che hanno un significato preciso per molte di noi e a cui tutte dobbiamo molto.
Mi sento di ringraziare l’autrice di questo interessante libro, difficilmente sintetizzabile per le tante informazioni, considerazioni e ricostruzioni che contiene. Ne consiglio vivamente la lettura non solo per meglio capire l’esperienza politica di una parte del movimento delle donne nel passaggio dagli anni settanta agli ottanta, ma anche perché alcuni problemi e nodi politici sono drammaticamente attuali e chiedono ancora una responsabilità politica collettiva.
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