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LE DONNE RIBELLI DELL’OTTOCENTO CALABRESE

LE DONNE RIBELLI DELL’OTTOCENTO CALABRESE

Nel libro di Enzo Ciconte “Mi riconobbe per ben due volte” la storia dello stupro nella Calabria dell’Ottocento attraverso l’analisi di duemila sentenze.

Sabato, 09/03/2013 - Verginità, onore, reputazione, vergogna. Attraverso questi concetti le donne e gli uomini della Calabria di fine Ottocento identificano il loro essere e la loro identità culturale. Una società spietata, maschilista e patriarcale che trova nel coraggio estremo di queste donne stuprate e violentate sia fisicamente che moralmente il modo di reagire denunciando le loro violenze e i loro aggressori. La loro storia, altrimenti, non sarebbe mai stata conosciuta. Enzo Ciconte analizza duemila sentenze guardando sia alle donne e ai bambini stuprati, che agli uomini che fecero violenza, che ai magistrati che obbedendo alla cosiddetta moralità del tempo, redassero le loro sentenze predisposti ad un’immagine della donna stereotipata “onorata” solo attraverso la sua verginità e integrità dell’imene, finalizzata al matrimonio, altrimenti la violenza subita non è vera violenza perché “donna di malaffare” o di “liberi costumi”. Oppure considerano la violenza, per relativizzarne la portata all’interno della società, come “vis grata puellas” la forza che piace alle donne di origine ovidiana. Ma le donne calabresi di fino Ottocento si ribellano a questo stereotipo e denunciano. Un fatto eccezionale se consideriamo il contesto nel quale si trovano i soggetti protagonisti. Queste donne rischiano per sempre la loro reputazione, che, da quel punto in poi, ricordiamolo, saranno considerate una nullità e finiranno la loro vita il più delle volte emarginate e allontanate da ogni ruolo sociale. Denunciano, sia parlandone in famiglia, denunciano anche parlandone con le “comari” figure chiavi nella società dell’epoca che raccolgono le confidenze della malcapitate il più delle volte poco più che bambine, raccontandolo poi ai genitori e alla famiglia. Denunciano alla giustizia. Il quadro che ne viene fuori dalla superba analisi di Ciconte non riguarda solo le vittime, ma i padri e le madri e le famiglie che vivono insieme a loro il dramma della violenza. Colpisce, inoltre, come lo stereotipo del calabrese vendicativo e mafioso che risolve tutto con le armi e che decide della vita del colpevole, non esiste, uno stereotipo, appunto. Sono i padri che denunciano, altrimenti la denuncia non esisterebbe per la legge di allora sulla patria potestà secondo la quale sono loro che possono rivolgersi alla giustizia per i loro figli, ci sono dei casi isolati in cui la madre denuncia ed è accettata perché il padre è emigrante all’estero. E anche nei casi dei mariti abbandonati, gli omicidi sono isolati ed eclatanti, gli uomini denunciano alla giustizia anche in quel caso. Un libro illuminante. Uno sguardo attento alla gente e al contesto in cui le donne e gli uomini sono inseriti, una Calabria ancestrale che è lo specchio della società europea di allora, con gli esempi della Francia e dell’Italia risorgimentale e disunita ancora, ma che anche nel dopo Unità fino alla storia più recente risentono della poca attenzione nella società alla donna che non ha mai dimenticato le angosce e i drammi e per i quali tuttora combatte.





Enzo Ciconte

“Mi riconobbe per ben due volte”

Storia dello stupro e di donne ribelli in Calabria (1814 – 1975)

Edizioni dell’Orso 2001

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