IL MIO, IL NOSTRO, IL LORO 8 MARZO - L’8 marzo ha perso il senso che aveva in origine, ma è viva tra le donne la necessità di tornare a viverla come una giornata di lotta, come momento di azione collettiva
Servizio di Slivia Vaccaro, Marta Mariani,
Venerdi, 28/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2014
Una carrellata di opinioni di donne dell’oggi: consapevoli dei propri diritti, delle conquiste di libertà ma anche dei pericoli evidenti di arretramento. Tante le sfumature, ma il filo che unisce le varie testimonianze è che il rito non serve più e che c’è bisogno di restituire valore politico ad un appuntamento che comunque vale la pena rinnovare.
“Credo che le origini della festa della donna oggi si siano completamente perse o dimenticate. Parliamo del primo decennio del novecento negli USA, del diritto delle donne al voto, dell'Internazionale socialista di quegli anni che cercava di portare in luce le rivendicazioni dei diritti femminili. Fondamentalmente, in Italia si afferma come una giornata celebrativa nel dopoguerra, legata quindi alla celebrazione della fine del conflitto mondiale, nonché dell'ammissione di alcune figure femminili nel PSI e nel PCI. La data dell'8 marzo invece risale alla rivoluzione russa del 1917...” Monika Bukat, dottoranda in scienze della comunicazione, ripercorre la storia dell’8 marzo, celebrazione che dal dopoguerra è stata associata alla morte di centinaia di operaie nel rogo di una fabbrica di camicie avvenuto nel 1908 a New York. La “giornata internazionale della donna”, come veniva chiamata, oggi più semplicemente “festa della donna” color giallo mimosa, negli anni pare abbia perso un po’ di smalto, e soprattutto la sua connotazione originaria di giornata di lotta. O almeno è quello che si percepisce dall’opinione di alcune giovani donne che NOIDONNE ha incontrato. Barbara Giangravè, giornalista trentunenne, afferma: “conosco la storia dell'8 marzo solo per essermi documentata personalmente al riguardo. Da quando ero bambina, infatti, la ricordo solo come una festa priva di qualsiasi significato e piena, invece, di venditori di mimose agli angoli delle strade. Posso essere sincera? Penso che sia un giorno come un altro. Abolirei la “festa della donna” e non la rimpiazzerei certo con un altro giorno. Le donne fanno parte del genere umano, così come gli uomini: non credo ci sia altro da aggiungere”. Monia Schietroma che lavora nel mondo dello spettacolo come ballerina e insegnante di swing racconta: “diciamo che fino ai 20-22 anni era un modo per andare in giro con le amiche nei locali, ma dopo poco guardandomi intorno ho cominciato a notare la tristezza infinita di queste donne in libera uscita dalla vita quotidiana casalinga. Dunque, festeggerei l'8 marzo come commemorazione, non con feste a tema”. Anna Maria Recchia, architetta, vede così il presente e il passato: “donne bloccate in una fabbrica, morte di lavoro, l'8 marzo di qualche decennio fa...Abbiamo fatto dei grandi passi avanti ma, come una molla molto tirata, ora siamo nella fase di ‘ritorno’. Bamboline, ridotte a puro oggetto sessuale. Personalmente, come il giorno di San Valentino, l’8 marzo evito di uscire. Sarebbe bene scendere in piazza quel giorno lì, ma oramai sono scoraggiata: la piazza non la vede più nessuno. Forse il simbolo potrebbe essere il mattarello, la mimosa è "commercio"… il mattarello perché siamo, volere o volare, sempre in azione”. Una data ammaccata, ormai simbolo di un rituale capitalistico fatto di uscite serali e venditori di mimose. Ha dunque ancora senso festeggiare questo 8 marzo? Una risposta, quest’anno, viene dalle compagne spagnole, impegnate ormai da qualche mese a manifestare contro il disegno di legge presentato dal Ministro della Giustizia Gallardòn che vorrebbe riportare le donne del suo paese indietro di trent’anni, consentendo la possibilità di abortire solo nei casi di stupro o di gravi conseguenze per la madre e il feto. Le donne ovviamente non ci stanno e contestano da subito e duramente il decreto che legifera sui loro corpi, di fatto abolendo la libera scelta. Dopo la “marea violeta” che ha inondato Madrid sabato primo febbraio, le spagnole stanno continuando la loro protesta forte e creativa con numerose iniziative, intese a ribadire e rivendicare la proprietà esclusiva delle donne stesse sui propri corpi. Teresa Heredero della rete “Nosotras decidimos” crede ancora che l’8 marzo sia una data da ricordare. “Credo che proprio in questo momento storico sia ancora più importante festeggiare la giornata della donna. Grazie al femminismo abbiamo ottenuto alcuni diritti, ma dobbiamo fare ancora molta strada perché si compia quella parità effettiva che auspichiamo. L’8 marzo è proprio il giorno in cui le donne di tutto il mondo possono chiedere a gran voce la parità in tutti gli ambiti della vita: salute, lavoro, stipendio, il diritto di decidere sul proprio corpo e il rifiuto di qualsiasi violenza di genere. Continueremo a lottare e quest’anno la festa della donna servirà a difendere la ‘Ley Organica 2/2010’ per la salute riproduttiva e l’aborto. Saremo in piazza ancora una volta perché quello che è già stato conquistato con grandi lotte ed energie non ci venga strappato via”. Niente da festeggiare dunque, ma molti motivi per continuare a partecipare, alzare la voce, farsi sentire.
Silvia Vaccaro
TANTO LAVORO ANCORA DA FARE
“Mi dispiace dover dire che secondo me, negli ultimi anni, la giornata della donna è stata strumentalizzata e trasformata in un'occasione puramente commerciale. So e sento che questa festa ha le sue motivazioni valide e sensibili. Purtroppo, però, per me ha poco senso ricordarsi della donna un giorno all'anno. Mi piacerebbe che la festa della donna fosse tutti i giorni. Mi piacerebbe che fosse una battaglia quotidiana”. È l’opinione di Daniela, docente di chimica, 52 anni cui fa da controcanto Giulia, traduttrice e interprete, 26 anni: “per me, la festa dell'8 marzo resta una ricorrenza significativa. La sento come un'occasione per riflettere sull'essenza, sulla natura della donna, che io associo al valore della ‘delicatezza’. La donna ha una sua particolare sensibilità, così vicina al concetto del fiore. Mi viene in mente che, nelle discipline orientali, la figura femminile viene associata al principio oscuro (yin), cioè introspettivo e meno visibile. Per questo, la donna è proprio il simbolo dell'intuizione sensibile, della flessibilità e della dedizione. Secondo me, l'8 marzo è un giorno che ci porta a riflettere sulle differenze tra uomini e donne, su come conservarle. Quando in Cina fu detto che le donne potevano ‘sorreggere l'altra metà del cielo’, loro acquisirono diritti, ma si maschilizzarono. Vestivano con le uniformi e cercavano di sopprimere la loro essenza. È un paradosso in cui non vorrei che cadessimo. Sarebbe bello se potessimo acquisire i nostri diritti preservando la nostra natura”. Claudia, docente di italiano, 40 anni, non nasconde la sua delusione: “se posso essere sincera, la festa della donna mi suscita qualche sentimento rancoroso. Da quando sono diventata madre e ho scoperto di vivere in un mondo non a misura di famiglia, e in una famiglia non a misura di donna, l'8 marzo mi ricorda quella vecchia illusione che avevo, e che col tempo è naufragata: l'illusione di una genitorialità equa e condivisa”. Ma questa giornata è anche occasione di concreta propositività, come per Francesca, 39 anni, venditrice: “a prescindere dall'8 marzo, tante volte mi sono messa a pensare a come portare avanti le nostre battaglie femministe. Mi sono chiesta spesso che cosa potremmo fare per facilitare la vita delle donne che non vogliono rinunciare alla famiglia. Io vedo nel concetto moderno di cohousing delle possibilità notevoli: spazi comuni, orari diversificati, sistemi di integrazione tra lavoro e famiglia. Nel giorno della donna si dovrebbe parlare di questi argomenti, secondo me, in concreto, senza troppe mistificazioni”. L’opinione di un uomo è utile e interessante e Riccardo, architetto di 58 anni, propone una riflessione da annotare: “l'8 marzo mi ricorda che la parità fra i generi è una battaglia difficile. Penso che, in passato, molte donne avrebbero potuto ottenere di più senza esacerbare la questione. Il punto è che mi piacerebbe che le donne avessero uno spazio tutto loro, uno spazio che tenesse conto della loro diversità. Io, in quanto uomo, sono stato educato a svolgere dei compiti ‘maschili’, a distinguere le cose che erano da maschi, da quelle che erano da femmine. Sono stato un ‘privilegiato’. Poi, la vita mi ha cambiato, le cose sono cambiate, i tempi oggi sono più maturi. Ed io cucino e stendo i panni, così come lo fa mia moglie. Penso che alla donna, però, non sia ancora stato dato il valore che le spetterebbe”. Insomma, sembra che uomini e donne siano perlopiù d'accordo sul tanto lavoro ancora da fare per un riequilibrio tra i generi.
Marta Mariani
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Betta Cianchini: “Battere gli stereotipi con l’autodeterminazione”
“L’8 marzo farò spettacoli gratuiti in alcune scuole, perché credo che sia importante pensare a questa giornata come un monito, un compito che ci è stato delegato da donne che hanno trovato la morte nella loro dignità di donne e di lavoratrici. È una testimonianza che ci viene tramandata da generazioni e che dobbiamo tramandare alle successive. Finché ci sarà bisogno dell’8 marzo per parlare di libertà, di autodeterminazione, di dignità della donna vorrà dire che quelle e tante altre donne che hanno lottato per questa causa non saranno morte invano”. Betta Cianchini - autrice teatrale, è suo il progetto di maratona di spettacoli contro il femminicidio ‘Donne morte ammazzate’ - spesso lavora nelle scuole e le chiediamo come le nuove generazioni di donne le sembrano sentire questa data. “Avverto in loro un problema grande, perché hanno il rimando di uno stereotipo di donna che è la bambolina compiacente e piacente, un concetto molto pericoloso, hanno probabilmente paura di non sentirsi all’altezza di alcuni canoni proposti dai media. Poi c’è l’aspetto della violenza contro le donne che è un’emergenza, e dell’età degli uomini violenti che sono sempre più giovani, questo vuol dire che non siamo stati incapaci di offrire esempi positivi per migliorarsi”.
Maria Fabbricatore
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Emanuela Giordano: “Dignità attraverso il lavoro”
“Penso che tutte le ricorrenze possano essere utili come strumento e occasione per riflettere. Credo che pensando alla fabbrica e a quelle giovani donne, la cosa più importante è ridare dignità alle donne attraverso il lavoro, considerato che attraversiamo una crisi così profonda e che le donne sono quelle che rischiano di più. Penso che l’8 marzo, oggi, debba essere soprattutto non solo una data commemorativa ma debba rimettere al centro la dignità della donna. Facendo questo riusciremo anche ad affrancarci alla violenza maschile”. Emanuela Giordano è regista e autrice tra l’altro dello spettacolo ‘Dieci storie proprio così’ che racconta le vittime di mafia. Come sono le giovani donne, secondo te, nell’azione sociale, più impegnate o più preoccupate della propria individualità? “Nelle nuove generazioni c’è di tutto, siamo una società diversificata con molte sfumature e globalizzata. Non possiamo generalizzare: ci sono ragazze di grande sensibilità, che lottano con molta responsabilità, che hanno nuove dimensioni di aperture verso il mondo, vanno all’estero a studiare, si inventano la vita, sono molto coraggiose, hanno un grande senso di autonomia, hanno tanta voglia di conoscersi e affermarsi. Poi ci sono altri ambienti in cui non sono sostenute, dove c’è un degrado che costringe le ragazzine a diventare dei mostri, con la mancanza totale di rispetto di loro stesse. E questo è un problema culturale e sociale. Nel mio ultimo documentario che è stato prodotto da Rai Cinema ‘Per la mia strada’ racconto proprio la storia di una ragazza che cerca di capire che cosa fare da grande: sarà proiettato l’8 marzo nei teatri con le associazioni femminili. Ci sono donne che hanno avuto molta ambizione e sono riuscite a realizzarsi, però c’è anche l’idea che si possa aspirare a qualcosa d’importante non per guadagnare tanti soldi, ma perché l’ambizione e la fantasia non sono da demonizzare. Per me insomma è importante che l’8 marzo metta al centro la dignità attraverso il lavoro che nobiliti la donna e che cerchi in positivo di far venire fuori quello di cui siamo capaci”.
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