Sabato, 22/09/2012 - “Non ho peli sulla lingua, io. Dovrete abituarvi. In questa lettera pongo domande davanti alle quali non possiamo più nasconderci. Perché siamo ostaggio di quanto accade tra israeliani e palestinesi? Come spiegare la persistente vena di antisemitismo che percorre l’Islam? Chi ci vuole veramente colonizzare: l’America o l’Arabia? Per quale ragione continuiamo a sprecare il talento e la ricchezza delle donne, che rappresentano il cinquanta per cento abbondante della creazione divina? Cosa ci rende tanto sicuri che gli omosessuali meritino il nostro ostracismo – se non addirittura la morte- quando, secondo il Corano, tutto ciò che Dio crea è ‘eccellente’?” Era il 2006 quando anche in Italia, con grande ritardo e poca eco mediatica, esce Quando abbiamo smesso di pensare? durissimo testo della giornalista femminista e lesbica (religiosa islamica dichiarata) Irshad Manji.
Anche oggi, a distanza di anni, è la sua voce e quella di poche altre (tra loro Maryam
Namazie, attivista iraniana di One law for all) che si alza contro i rischi del fondamentalismo islamico, mentre infuria la guerra, con morti e feriti, originata dalla reazione furiosa contro il film americano su Maometto e la pubblicazione di altre vignette satiriche in alcuni giornali europei.
Il resto è un coro bipartisan nel quale si condanna la satira e chi la pubblica, definendola incitamento all'odio, e poi si deplorano le violenze dei fanatici islamisti. Si dice che i fanatici siano una minoranza, rispetto alla maggioranza moderata del mondo musulmano e allora la domanda è: dove sono? Perchè non parlano? Per quale motivo si dà così poco spazio a questa maggioranza moderna e laica che non approva il fanatismo religioso islamico, che invece sembra tenere in scacco ormai quasi dovunque i movimenti della primavera araba? Vorrei raccontare un episodio recente che illustra uno degli errori a mio parere più gravi che in Italia continuiamo a fare, per ignoranza e malinteso senso di accoglienza: in una iniziativa politica alla quale sono stata invitata doveva partecipare una attivista laica, non velata, giovane, rappresentante di un paese a maggioranza musulmana. All'ultimo minuto ha comunicato che non avrebbe potuto partecipare. Invece di verificare se era possibile avere presente una attivista della stessa area si è scelto di invitare una donna di tutt'altra appartenenza: velata e religiosa. La piega che ha preso il dibattito è stata molto diversa da quella originale: l'intervento della giovane islamica è stato sotto l'egida delle parole del Corano, una vera e propria lezione confessionale. Quello che credo sia davvero pericoloso è confondere i piani: si può provenire da un paese musulmano ma non necessariamente si è fedeli dell'islam, e, nel caso si sia donna, si può non portare il velo. C'è differenza tra invitare ad un dibattito don Gallo piuttosto che un porporato fedele all'attuale pontefice. Tra Lorella Zanardo e l'ex ministra Carfagna c'è un abisso, e invitare l'una o l'altra significa dare voce ad una o
un'altra visione delle donne e delle relazione tra i generi. Voglio dire che scegliere di dare visibilità alle donne (e agli uomini) che lottano, in occidente come nei paesi d'origine, per la laicità, per la separazione tra stato e religione, per il primato
della sfera pubblica priva di connotazioni confessionali, significa affermare che non c'è un solo islam, un solo monolitico mondo arabo e musulmano, così come non esiste solo un occidente o un cattolicesimo, o un solo modo di essere credenti. C'è, poi, la grande questione della libertà di espressione, di stampa e di critica. Ho visto alcuni spezzoni dell'ultimo film che ha scatenato la furia omicida dei
fondamentalisti, e ho intuito che era un brutto prodotto. Non sempre, anche in Italia, la satira, sia essa televisiva, scritta o a fumetti è intelligente, anzi è difficile che percentualmente lo sia, e più di tutto è estremamente difficile che non sia misogina, persino violenta, solitamente contro le donne o gli omosessuali. Ma, a parte stigmatizzazioni e reazioni indignate e ragionate, non si assaltano scuole, giornali e sedi politiche, e se questo accade, (non dimentichiamoci che il regista Theo van Gogh di è stato ucciso nel 2004 per Submission, film invece non volgare o grottesco, incentrato sulla violenza dell'islamismo contro il corpo femminile) non si smette di esercitare un diritto che viene sospeso solo, (e non a caso), nelle dittature di ogni colore. Tacere su quello che sta accadendo nel mondo arabo e musulmano, giustificare la violenza contro la (pur brutta) satira significa creare una breccia pericolosa nel diritto alla libertà di stampa e di critica, che non può avere limitazioni di fronte a nessuna espressione di fede.
Lontani dall’essere oscurantisti ed economicamente arretrati, i fondamentalismi sono si oppongono con forza alla visione laica della società. L’altra faccia della globalizzazione è la frammentazione delle comunità secondo i binari della religione, dell’etnicità o della cultura. Tacere su questa rimozione non solo fa fare a noi occidentali un gigantesco passo indietro nella storia del percorso dell'autodeterminazione, ma infligge un colpo mortale a chi lotta per la secolarizzazione in paesi e culture dove ancora la religione e il patriarcato sono legge.
Lascia un Commento