A mano libera / Rebibbia - Sono in letargo da mesi nella mia cella....
La poesia: Concepite donne......
CINZIA Giovedi, 05/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2015
C’era una volta Francesco, un topolino che si preparava ad affrontare l’inverno. Mentre i suoi amici raccoglievano noci, fieno, bacche e grano per la tana, lui restava lì fermo.
“Non lavori Francesco?” dicevano gli amici vedendolo fermo con la faccia al sole.
“Come non lavoro - rispondeva -, sto raccogliendo i raggi di sole per i gelidi giorni d’inverno”.
“Ora, Francesco, che fai?” chiedevano gli amici vedendolo saltellare nei campi.
“Raccolgo colori - rispondeva -. L’inverno è grigio”.
“Stai sognando, Francesco?” quando lo videro accoccolato all’ombra di una pianta.
“Raccolgo parole per le giornate d’inverno. Sono tante e lunghe. Rimarremo senza nulla da dirci”.
(Leo Lionni)
Sono in letargo da mesi nella mia cella. Ho fatto provviste per 45 anni e oggi mi ritrovo a consumare il doppio del mio fabbisogno giornaliero. Per il detenuto lo spazio si restringe, ed il tempo si dilata. Leggo tanto, seguo alcuni corsi, aspetto ogni giorno la posta dei miei cari. E per tutto il tempo mi sento infelice. Infelice per aver perso un’opportunità convinta di averne altre cento, infelice per tutto quello che non ho fatto quando avevo abbastanza fiato e terra da correre davanti. Infelice per aver giurato, promesso e poi mancato. Infelice per non essere stata abbastanza innamorata, abbastanza serena, abbastanza viva, abbastanza libera ogni giorno. Mi hanno legata bene, quando mi hanno arrestata. Non ho provato a sciogliermi, non sarebbe servito a liberarmi. E allora, attraverso la memoria, in questo tempo di reclusione cerco la liberazione. Ricordare tutto; ripercorrere le istantanee, i corti della mia vita, avere la volontà di produrre memoria, identità, coscienza, affinché il carcere non mi cancelli. La mia famiglia svolge un compito molto delicato, assolutamente incosciente del metodo di approccio con chi sta da questa parte. E a volte è tremendamente tragicomica la comunicazione tra noi. A sentire mia madre, mi trovo comunque in un posto sicuro, protetto, mica come Milano di notte. Il carcere attenta alla mia identità. Ne ho parlato con la mia amica Loredana, anche lei con problemi di comunicazione con l’esterno.
Cinzia
CONCEPITE DONNE
Attese ascoltate da donne a noi donne donate. Mischiate a tratti sanate. In cerchio intorno ad un tavolo rettangolare senza spigoli dare parole, memorie, storie come note d’ignote intonate, di petto, di stomaco per sete di voler essere umano banchetto di vita da dare.
Unico ospite inatteso un divenire di gioia unirsi discreto all’accorato concerto di soli archi e fiati.
Corde tese appena pizzicate implodere di libero sfogo senza mai attraverso o di lato il reato accordare.
Dirigere il coro a volto scoperto e a mani libere l’opera frugare oltre la mimica di un luogo che limita e che elegge, per legge, esilio e domicilio.
Riverbero infinito di un inciso mai ripetuto che solo chi è senza giudizio libera e ode; eco proteso a lasciare di questo viaggio unico testamento.
Né dentro né fuori, ma l’una dell’altra è il perpetuo perdersi nel labirinto degli specchi che rimanda la bellezza dello stupore di riconoscersi madri, figlie, sorelle, amiche.
Altro non avere, altro non volere che essere, da questa parte del mondo, per ancora una volta, senza colpa concepite.
Grazie Tiziana, Paola, Oria, Bruna, Antonella… meravigliose “noi donne”.
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