A mano libera / Rebibbia - Vorrei condividere il mio dolore per vederlo sparire....
LOREDANA Giovedi, 05/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2015
Vorrei condividere il mio dolore per vederlo sparire, come quando condividi con i tuoi cari le gioie le vedi moltiplicarsi.
Sono una donna come te, con tanta voglia - malgrado i 65 anni - di dire, di fare e di dare. Mi dicono che arrossisco ancora. E me ne vanto. Penso che un incidente di percorso può capitare ed è anche molto più facile di quanto tu possa immaginare. Dell’uomo che più ho amato mi è rimasta come unica eredità solo questa condanna, ma anche mia figlia. È a lei che dedico tutti i miei pensieri, giorno e notte, perché sta pagando con tanta solitudine le colpe dei suoi genitori. Penso alle mille promesse che mi ero fatta prima di concepirla per farla crescere in seno ad una famiglia con la ‘F’ maiuscola; ora pongo sempre in discussione se sono stata e sono una buona madre. A volte credo di sì, per anni le ho fatto anche da padre e del resto se non l’avessi tanto amato lei non sarebbe neppure nata.
Sono spesso spaesata, mi sento incompresa e perdo la mia identità. Qui abbiamo il tempo di farci tante domande, il tempo diventa per forza il nostro migliore amico, anche se è lungo da passare. Il nostro tempo è scandito da poche cose, sempre le stesse, ma che, se ci vengono a mancare ci procurano mille pensieri neri. Basta che il telefono, in quelle poche occasioni che ci è permesso di usarlo, suoni a vuoto qualche volta, per sprofondare in mille dubbi.
Siamo tutte diverse. A volte ci evitiamo anche se è quasi impossibile in questo spazio ristretto, ma tutte abbiamo la stessa luce di speranza negli occhi nell’aspettare la distribuzione della posta; e l’arrivo o no di una missiva fa la differenza del sonno o della veglia di una notte.
Mi chiedo che cosa farò una volta fuori: progetti ne ho mille, sono positiva e ottimista per natura; ma ogni giorno di più sento le forze che mi mancano e mi assale il dubbio di che cosa troverò di ciò che ho lasciato. Forse, inconsciamente, non ho ancora accettato di pagare 25 anni dopo il mio reato. Fosse stato allora, l’avrei capito, ora mi sento sradicata dalla mia vita costruita a fatica, dai miei affetti, dai miei sogni; sono stata buttata a vivere in un contesto che non sento mio. Dovrò ricominciare ancora una volta, ma soprattutto riempire questi vuoti tremendi di tempo che oramai hanno il sopravvento sui miei pensieri. Anni irrecuperabili!
Allora cerco il Nord riferendomi ad un antico proverbio arabo che suona più o meno così: “La mente è la chiave che ti libera!” e scrivo , sogno, spazio, rifletto, leggo, viaggio, studio, cucio. E quando proprio non ce la faccio più mi butto su una tavoletta di cioccolato (al latte, quello che fa più male!), oppure indosso una delle tante magliette a righe, regalo della mia Claudia, e penso con autoironia: ‘ma si può regalare al carcerato una collezione di righe che, se anche di ultima tendenza, non solo ti ricordano strategicamente dove ti trovi, ma ti ingrassano pure più del dovuto.. perché sono anche tutte orizzontali?!”
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