Iori Catia Martedi, 27/05/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2014
Siamo tutti alla ricerca di madri e padri, chi più chi meno. È un periodo di relazioni parallele in cui si cercano mentori, punti di riferimento stabili e affidabili. I leader fanno paura: sono troppo aggressivi e poco affettivi: meglio rifugiarsi come ci indica la fascia di più giovani nelle relazioni private se ci possono dare sostegno e la giusta dose di amore. Tuttavia sentiamo, a essere sinceri, che dobbiamo tornare noi donne in primis ad occuparci della qualità delle relazioni. E non mi sto riferendo chiaramente solo a quelle sentimentali, ma a tutta la cura che in generale attraversa la nostra vita. La tendenza di oggi invece, ce ne stiamo accorgendo solo ora, è quella di affidare i nostri bambini alle baby sitter, gli anziani alle badanti, la casa alle colf, la preparazione del cibo alle gastronomie, le feste dei bambini alle agenzie che se ne incaricano, persino i matrimoni a ben vedere. Insomma l’attenzione all’altro è diventata merce dove l’unico generatore simbolico è il tempo pagato col denaro e deferito ad altri che non sia io. Ma la mia domanda è: quante parti della nostra vita intima, familiare ed emotiva vengono vissute da altri? e qui penso all’educazione dei bambini affidati a quelle strutture, nidi e asili, scelti non in base a criteri educativi, ma quasi esclusivamente in base al tempo in cui trattengono i nostri piccini, penso agli adolescenti affidati alla scuola di cui ci si occupa solo in ordine ai voti o ai risultati, penso ai genitori separati che non si occupano dei problemi di crescita perché ci penseranno gli psicologi. Penso a quelle coppie dove l’assenza di comunicazione, la scarsa dialogicità, il reciproco disinteressamento viene supplito con regali all’occorrenza, con l’offerta di qualche pizza al ristorante ultimo grido, o con sette giorni di vacanze in paesi esotici comprati low cost su Internet. Il denaro, infatti, guadagnato nel tempo sottratto alla cura (ma nella cura c’è anche il vissuto emotivo da cui ci dispensiamo, diventando apatici quando non analfabeti emotivi), può tutto. Può restituirci a pagamento tutto quello che non abbiamo acquistato vivendo. Ma vi pare possibile? A dissolvere la famiglia o la stabilità delle relazioni affettive non è stata questa o quella ideologia ma la competizione sfrenata che ha sottratto ai padri e alle madri quell’unica cosa necessaria alla cura e alla crescita emotiva che è il tempo. Il mito dell’efficienza a tutti i costi che il taylorismo aveva applicato alla catena di montaggio per eliminare i tempi morti, oggi si è trasferita dalla fabbrica alla famiglia, alle coppie in cui gli adulti e noi donne in particolare non abbiamo “tempo”. E allora viene in soccorso il mercato, che con i suoi prodotti già pronti evita alla madre di combattere con il suo bambino la scarsità di tempo. E per toglierci i sensi di colpa le donne si affidano al tempo qualità rivendicando il fatto che, insomma, alla fine ciò che conta è quell’oretta passata insieme con serenità la domenica, se intensamente voluta e condivisa. E invece il tempo non è solo qualità è anche quantità di ore necessaria a fare le cose insieme, a seguire i processi di crescita, a scoprire i problemi, a creare quella base di fiducia per cui i genitori “ci sono” non solo quando si compiono gli anni. Cura dei figli, cura degli anziani, cura delle relazioni familiari reciproche e di vicinato, cura della propria vita emotiva. Questo è quanto ci manca. E se il mercato ci soccorre per tutto quello che non riusciamo più a curare, non dimentichiamo che il denaro non vale uno sguardo accogliente, una carezza tranquilla, un sentimento gravido di passione, un tratto umano iscritto nel “prendersi cura” che come ci ricorda Heidegger, è altra cosa del pro-curare qualcosa a qualcuno.
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