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Il fascino della guerra

Il fascino della guerra

Pochi i 'bastian contrari' che hanno saputo esprimere una consapevolezza maschile contraria alla violenza quale espressione di amore per la propria terra

Lunedi, 07/04/2025 -

Prendo un paio di citazioni di Enzo Bianchi. La prima di Federico II di Prussia “Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno di essi rimarrebbe nelle file”. Raccogliendo queste parole Tolstoj rifletté sulla ‘cieca’ obbedienza dei soldati che non trovano il coraggio disertare anche se “nel fondo della loro anima sentono che fanno un atto cattivo obbedendo alle autorità che li strappano al lavoro, alla famiglia e li mandano alla strage inutile”. 

Sono espressioni di una consapevolezza maschile che, ovviamente, apre al mistero di questa “passione di violenza” per amore della “propria” terra che rappresenta la misura del valore - la virtus propria dell’uomo, non si dice se morale o fisica - ritenuta funesta anche da chi la pratica per adeguamento bellico al “proprio” onore. Che neppure dopo le non tanto sottili distinzioni ecclesiastiche sulle guerre “giuste” o “non giuste” espresse per secoli (secoli di non lettura del vangelo e di assoluta negazione dell’imitazione di Cristo) dal romano pontefice, viene rinnegata come fondata sulla coscienza della “bella debolezza” dell’umano contro lo stereotipo della “forza” inesistente davanti a ogni piccolo virus. 

I bastian contrari si contano sulla punta delle dita, ma Erasmo da Rotterdam tenne la schiena dritta oltre che la mente sana (pensava già dulce bellum inexpertis), quando vide arrivare a Bologna il papa alla testa di truppe vestito con l’armatura e andò a scrivere la Querela pacis (Il lamento della Pace respinta e cacciata da ogni parte e da tutte le nazioni). L’altrimenti detto Elogio della Follia si diffuse per tutta Europa senza danni per l’autore, ma non corresse l’idea che la guerra sia uguale alla politica come mezzo di comunicazione tra le nazioni. Von Klausewitz era un rassegnato e aveva nesso prima la politica, ma sostanzialmente l’onore di essere militari richiede e mette nelle previsioni come pensabile e possibile la guerra. 

Il Ministero di competenza allora si chiamava “della guerra”: ci volle il primo conflitto mondiale, non per far “capire” che la 15/18 era una guerra presunta breve, destinata e diventare lunga, dolorosa, ma nelle sue conseguenze “inutile”. L’Italia voleva completare il Risorgimento, ma pagò un prezzo assolutamente imprevisto e con alleanze variabili tra “la triplice” e “la quadruplice”. Ma alla fine nessuno disse che quel che era davvero accaduto in quegli anni: semplicemente il crollo di tre imperi, ormai superati: l’austroungarico, lo zarista, l’ottomano.

Nessuno volle affrontare la verità: erano necessarie riforme di sistema. In particolare l’Italia la guerra non valse la “vittoria”. Ne nacque il fascismo e, nella Germania di Weimar, il nazismo. Non ci fu il coraggio di riconoscere la debolezza umana, anzi non parve vero riabilitare il mito della forza che, dopo vent’anni di regime, produsse la seconda guerra “mondiale”. La forza armata divenne quella aerea dei cacciabombardieri. Dopo la seconda guerra mondiale dalla fionda si arrivò al nucleare e ai droni. Storia di “progresso”.

Anche le donne hanno raggiunto la parità nelle FFAA (ma nessuna è “generale”, salvo le madri superiore degli ordini religiosi). Ma molte donne si domandano: perché questo adeguamento delle coscienze di ubbidire al richiamo delle armi? Un nordcoreano va a morire per gli ucraini? 

E’ la cultura? Insegniamo che anche il buon Giacomo, poeta dell’infinito, cascò nella trappola patriottica dell’Italia 1818: Nessun pugna per te? non ti difende nessun de’ tuoi? / L’armi, qua l’armi: io solo /combatterò, procomberò sol io./ Dammi, o ciel, che sia foco / agl’italici petti il sangue mio.


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