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Hanan Al Hroub, l'educazione come resistenza

Hanan Al Hroub, l'educazione come resistenza

VIVALASCUOLA/6 - Alla palestinese Hanan Al Hroub è stato assegnato il prestigioso Global Teacher Prize 2016. Un milione di dollari che diventeranno borse di studio per altre donne che diventeranno insegnanti

Dalla Negra Cecilia Mercoledi, 03/08/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2016

I finalisti erano 8mila, provenienti da Stati Uniti, Pakistan, Giappone, Regno Unito, Finlandia, Australia e India. Ma alla fine la giuria ha deciso che l’insegnante migliore del mondo fosse lei. Hanan Al Hroub, 43 anni e 5 figli, nella primavera scorsa è stata insignita del prestigioso Global Teacher Prize 2016, il premio per l’Educazione assegnato dalla Varkey Foundation come riconoscimento del valore pedagogico, ma soprattutto sociale, del lavoro degli insegnanti.

Colleghi e amici raccontano che Hanan non riusciva a credere di essere stata selezionata. Lei, nata e cresciuta nel campo profughi di Dheisheh, a sud di Betlemme, dove oppressione e discriminazione sono all’ordine del giorno. Dove la violenza dell’occupazione israeliana è routine quotidiana, tanto che chiunque può trovarsi gravemente ferito, colpito da una pallottola, solo perché sta tornando a casa nel momento sbagliato. Come è successo a suo marito, davanti agli occhi dei figli che da quel giorno porteranno un trauma nel cuore: farli studiare e concentrare diventerà un’impresa. Ed è così che Hanan decide di lasciare il lavoro e dedicarsi a loro inventando un metodo che li riavvicini ai libri attraverso il gioco. Che li faccia sentire compresi, perché quell’aggressività, quell’iperattivismo, non sono che una reazione alla violenza che si respira ogni giorno. Il metodo di Hanan funziona tanto bene che decide di cambiare corso di laurea e diventare un’insegnante. Prende servizio nella piccola scuola del campo profughi, e applica il metodo usato con i figli a tutte le sue classi. Prepara un manuale - “Giochiamo e Impariamo” - e i voti degli alunni, come per magia, migliorano. Insegna loro l’ascolto attivo, la cura per l’altro, la pazienza, la nonviolenza. L’accettazione della sconfitta, il controllo della rabbia. E il finale di questa storia, per una volta, è lieto: i bambini sono più sereni, i colleghi di Hanan la seguono, e dalla periferia del mondo si ritrova su un palco di Dubai per ritirare un premio da 1 milione di dollari, che deciderà di devolvere in borse di studio per altre donne che vogliano diventare insegnanti. E così, scrive con la sua vita un’altra pagina di quel capitolo che racconta del filo rosso che lega le donne di Palestina alla lotta per l’educazione. Lo dice chiaro, Hanan: “L’istruzione è un diritto umano, ed è la nostra sola arma per cambiare questo mondo, rendendolo più giusto. I nostri bambini hanno il diritto di vivere la propria infanzia in pace”.

Che l’istruzione fosse un’arma, le donne palestinesi lo capiscono all’inizio del Novecento, quando danno vita alle prime forme aggregative femminili. Perché se in anni più recenti la loro partecipazione politica all’Intifada (1987-1993) sarà un esempio di protagonismo di genere per tutto il mondo, per risalire ai primi passi di questo percorso bisogna tornare indietro nella storia. Quando la prima rivendicazione - quella di sempre - sarà proprio la parità di accesso al sistema educativo, il diritto all’alfabetizzazione e all’istruzione. Anche per le donne. Anche se contadine. Nascono così le prime associazioni assistenziali femminili, che dalle città muovono verso le campagne organizzando classi di studio per le più giovani e disagiate. E ancoranel 1948, l’anno terribile della Nakba, quando le sorelle Khorsheed daranno vita al gruppo “The Chrysanths Flower”, prima formazione armata palestinese tutta al femminile, che alla militanza attiva affiancherà corsi di sostegno per quelle donne che non avevano potuto permettersi gli studi. Fino ai Comitati politici femminili che sorgeranno nel corso degli anni Sessanta e Settanta, quando all’attivismo politico si unirà l’impegno per garantire un’educazione a tutte. “Ci hanno rubato la terra perché non eravamo abbastanza preparati”, sostiene Hanan, ripercorrendo la storia del suo martoriato paese. “Ho scelto di diventare insegnante per accompagnare una generazione che sia consapevole dei suoi diritti, e sappia crescere in pace”. Anche per questo, per limitare conoscenza e consapevolezza ed esercitare meglio il controllo, in oltre 60 anni di occupazione militare scuole ed atenei palestinesi sono state spesso un target per Israele. Negli anni dell’Intifada molte verranno chiuse - storica resterà la vicenda dell’Università di Birzeit - direttori e dirigenti saranno arrestati ed esiliati: le lezioni però continueranno, organizzate in modo clandestino nelle case e nei garage, pur di garantire continuità ad un giovane popolo come quello palestinese, che ha sempre attribuito un valore fondamentale alla cultura. Sforzi che gli varranno uno dei più alti tassi di istruzione del mondo arabo, pari al 96,4%, in una società nella quale il 40% della popolazione ha meno di 15 anni e gli studenti sono oltre 1 milione e 172mila*.

Hanan è una delle oltre 54mila insegnanti palestinesi che, nonostante le violenze, i soprusi e le difficoltà di movimento causate dall’occupazione militare, continua a lavorare con i suoi studenti ogni giorno. Ed è a loro ed ai suoi colleghi che ha voluto dedicare il premio, assegnato proprio mentre le piazze di Ramallah si riempivano di insegnanti come non accadeva da anni: in sciopero, contro l’Autorità Nazionale palestinese, per rivendicare almeno stipendi degni, laddove le buste paga raramente superano i 600 dollari mensili.

Una lotta politica e culturale la loro, che svolgono il compito di tramandare una memoria rimossa dall’occupazione, insegnare una storia che è stata annientata dalla narrazione egemonica dell’altro, difendere un’identità collettiva negata cominciando proprio dai più piccoli. Da quelle nuove generazioni di cui Hanan ha intravisto il potenziale e difeso i diritti, unendo alla propria professionalità una sensibilità che aggiunge un tassello alla duplice lotta delle donne palestinesi: contro l’oppressione israeliana e quella patriarcale, per affermare insieme libertà e parità.

E forse non è un caso, allora, che la scuola in cui insegna sia intitolata a Samiha Khalil, pioniera delle lotte per l’emancipazione femminile, costretta a lasciare gli studi a 17 anni per dedicarsi alla famiglia, ma tanto determinata da tornare tra i banchi quarantenne. Nel garage di casa sua creerà quella che diventerà una delle più importanti organizzazioni femminili di assistenza per le donne, e da militante del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina sarà la prima e l’unica donna a sfidare Yasser Arafat per la leadership dell’Autorità Palestinese, nel 1996.

*Dati 2015. Fonte: Palestinian Central Bureau of Statistics

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