Due donne, due storie di uscita dalla violenza in cui il ruolo della rete nazionale, dal numero 1522 al Centro antiviolenza Mascherona, è stato un decisivo supporto
Prende le ordinazioni ai tavoli e al banco, ma le piace molto anche aiutare il cuoco, imparare a fare i cocktail e di nuovo, soprattutto, conoscere le persone. Adesso che il suo lavoro è stabile Carla sogna una casa solo per lei e i suoi figli perché nell’alloggio sociale in cui vivono attualmente si trovano bene, ma l’uso comune della cucina, delle lavatrici e della sala tv con altre due famiglie, anche se ognuna ha le proprie stanze e il bagno, limita un po’ gli spazi “specialmente perché i ragazzi stanno crescendo, la femmina è in prima superiore e il maschio in prima media”.
Carla è arrivata in Italia nel 2019 da un altro Paese per sfuggire alla violenza dell’ex marito che la perseguitava anche dopo il divorzio. “Quando ho visto il sangue dei miei bambini, feriti dai vetri di una porta che il padre aveva mandato in frantumi ho capito che non potevo continuare così un solo giorno”. Carla subito aveva pensato di fuggire in Europa Centrale, in una città dove era già stata con la famiglia, ma lì rischiava di essere raggiunta dal suo persecutore e su consiglio di una sorella è arrivata a Genova con i due bambini più piccoli, mentre la figlia maggiore vive all’estero con il fidanzato e l’ha già resa nonna. Qui ha preso contatto con il centro antiviolenza Mascherona che ha subito aperto le procedure per offrirle rifugio in una struttura a indirizzo segreto, dove Carla e i figli hanno vissuto per oltre un anno. Un periodo necessario e decisivo per la loro protezione, ma complicato nelle regole, senza contatti con persone esterne alla rete antiviolenza e anche per il tirocinio di inserimento lavorativo, perché la casa segreta è fuori città e conciliare i tempi della formazione e del trasporto pubblico non è stato facile, anche con la disponibilità dell’azienda a modularle un orario ad hoc. Tutto si è semplificato dopo il trasferimento nell’alloggio sociale a Genova, molto più vicino al lavoro, diventato nel frattempo un’assunzione, prima a tempo determinato e poi stabile. I figli crescono, si ambientano, vivono nuove amicizie e Carla si sente molto più tranquilla vedendoli sereni. “Mentre subivo tutte quelle violenze pensavo che ormai la mia vita fosse finita, volevo morire. Ora so che trovare la forza e il coraggio di cambiare fa capire che la vita può essere bella e si possono crescere figli felici.” Carla è anche giovane nonna, i nipotini nati dalla figlia più grande le allargano il cuore che però, finora, resta chiuso ad altri sentimenti. “Sento ancora troppo dolore e ho troppi ricordi terribili di quello che ho vissuto per pensare a qualcuno al mio fianco, però mi trovo molto bene con tutti i colleghi e mi piace di nuovo conoscere le persone.” Intanto coltiva l’aspirazione ad avere una casa per la sua famiglia, dove insieme ai figli far crescere ancora la sua fiducia e la sua nuova energia verso la vita.
Lucia aveva un bimbo piccolissimo, solo undici mesi, quando ha chiesto aiuto al centro antiviolenza Mascherona. “Presa questa decisione andavo verso l’ignoto, ma sapevo che era la scelta giusta, che per me e per il mio bambino sarebbero arrivati momenti migliori”. Da allora sono passati nove anni ed è stato davvero così, “la violenza - dice Lucia - si può assolutamente lasciare alle spalle, le sue impronte restano profonde, ma anche quelle si possono usare per trovare più consapevolezza e non lasciare che portino altro peso, altra amarezza nel cuore. Così arriva il momento in cui una donna si sente di nuovo forte, ritrova la fiducia in se stessa”. Già dai primi mesi di vita di suo figlio Lucia si rende conto che la vita domestica è insostenibile per il clima di oppressione e violenza. Si sente impotente e la presenza costante dei suoceri rende la situazione ancora più difficile . “Non ero libera, poi quando sono tornati a casa loro ho provato a parlare della separazione con mio marito, ma lui non accettava il dialogo e toccando questo tasto diventava più violento. Allora ho finto di rinunciare a separarmi, intanto ho chiesto a mia madre di trasferirsi per un po’ da noi. Lei sapeva le mie intenzioni e mi ha aiutato a cercare una soluzione di nascosto dal padre di mio figlio”.
Arriva così il momento, dopo una telefonata al numero nazionale 1522, del primo contatto con il centro antiviolenza Mascherona.
È il 9 novembre 2013. Completate le procedure e calcolato anche il momento migliore, senza rischi per il trasferimento, Lucia e il suo piccolo arrivano nella casa protetta a indirizzo segreto alla vigilia di Natale. Inizia un percorso di due anni, dal primo rifugio a una struttura più aperta, dove cominciare a vivere anche qualche esperienza di una nuova autonomia, compreso il lavoro. Lucia si prende cura delle persone anziane nelle famiglie, fa la collaboratrice domestica, lavora nella ristorazione come aiuto in cucina. Con un bando di ARTE riesce a trovare una casa in affitto per lei e il bambino e ci vive da tre anni. Intanto si è rimessa a studiare per diventare operatrice turistica e delle agenzie di viaggio. Studia online, spera di dare l’esame quest’anno. Parla molto bene l’italiano, naturalmente lo spagnolo madrelingua e deve “rafforzare un po’ l’inglese perché prima lo padroneggiavo bene, ma in tutti gli anni in Italia non l’ho mai usato”. Per avere più tempo da dedicare allo studio e al bambino che ora fa le elementari in questo periodo lavora solo part-time tenendo in ordine la sede del centro antiviolenza Mascherona, “ma spero presto di potermi sperimentare come operatrice turistica”. Qualche ferita resta, l’ex marito non ha mai voluto firmare il consenso al passaporto del figlio per non permettere a Lucia di portarlo a incontrare i parenti nel suo Paese, “ma lo faremo quando sarà maggiorenne” dice lei liberando il sorriso di una donna che ha smesso da tanto tempo di avere paura. Anche di innamorarsi e nove mesi fa si è risposata. “Mi sentivo di nuovo pronta a vivere tutti i miei sentimenti e quando ho conosciuto la persona che poi è diventata mio marito ho capito che potevo anche riuscire a guardare un uomo diversamente, lasciare aperte nuove aspettative per il futuro.” Le vite di Carla e Lucia, che naturalmente non si chiamano così, possono dare più forza a tutte le donne che in ogni momento cercano di liberarsi dalla violenza e dagli abusi. Nel 2021 al centro antiviolenza Mascherona (in piazza Colombo 3/7 a Genova, tel 3491163601 – 010 587072 ; www.centroantiviolenzamascherona.it) gestito dalla cooperativa sociale Il Cerchio delle Relazioni si sono rivolte 476 donne, 60 in più dell’anno precedente. Le donne seguite dal centro Mascherona nel percorso per uscire dalla violenza sono attualmente 467, fra loro 226 l’hanno iniziato nel 2020 e 241 nel 2021.
Articolo di Stefano Villa pubblicato nel sito Pieni di giorni
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