La disabilità, per i giornali, non esiste. I disabili non esistono. Esistono, invece, i “superdisabili” e le loro grandi imprese sportive, personaggi quasi epici....
Mercoledi, 23/12/2020 - Fine quarantena mai, (2020) - di Carmela Cioffi
La disabilità, per i giornali, non esiste. I disabili non esistono.
Esistono, invece, i “superdisabili” e le loro grandi imprese sportive, personaggi quasi epici, capaci di fare da esempio per tutti mostrando forza d’animo e preparazione.
Ma come è stata la realtà quotidiana, quella delle persone con disabilità non “eroiche” e lontane dai riflettori, chiuse in casa nel lockdown anti-Covid della primavera 2020?
La quarantena per migliaia di disabili in Italia è uno stile di vita, una condizione drammatica precedente alla pandemia e che continuerà anche dopo: una vita forzatamente nascosta. E a condividere con loro la stessa clausura, non per vocazione, ci sono i “caregiver”, i familiari delle persone con disabilità, come Marina, che svolgono un mestiere di cura altamente qualificato, ma senza alcun riconoscimento del proprio ruolo da parte dello Stato.
Ci sono poi gli operatori sociali, gli educatori delle case famiglia come Noemi, i formatori come Mario, quelli sì specializzati, che portano avanti il proprio lavoro verso le persone fragili a meno di un metro di distanza. Portatori di “servizi essenziali”, ma invisibili a buona parte dell’opinione pubblica.
L’inclusione dei disabili è “la misura della civiltà di uno Stato”, ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma nelle esperienze di Marina, Noemi e Mario, maturate sul campo e nelle comunità, il rischio di segregazione è presente, reale. O comunque sempre in agguato.
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Fine quarantena mai. La triade felix
di Carmela Cioffi
Sono passati già dieci giorni da quando Giuseppe Conte, con un decreto sottoscritto la sera del 9 marzo 2020, ha dichiarato l’intero Paese zona protetta. Da quando #iorestoacasa ha rotto la bolla dei social ed è diventato l’unico mezzo reale a difesa dell’avanzata del Covid-19. Eppure quel divano rovinato, quel divano con la stoffa leggermente strappata, continua a restare lì, nell’androne che precede la piscina del quartiere Olgiata, a Roma.
Arianna, 25 anni, autistica con tratti ossessivi compulsivi, non ha la forza per capire che non può andare a mettere un copridivano, simile a quello di casa sua, sul sofà all’ingresso della piscina dell’Olgiata, che frequenta da sempre.
«In realtà per lei era un pretesto: stava tentando a tutti costi di ritornare in piscina. Un incubo. Per 10 giorni di fila l’abbiamo dovuta portare fuori dalla piscina per farle vedere il cancello chiuso. L’interruzione dell’abitudine per Arianna è insopportabile», spiega la mamma, Marina Morelli.
Marina ha oggi 57 anni. A 22 scopre di avere una figlia autistica, Chiara, e un matrimonio che vacilla. È impreparata ma giovane; e così, in breve tempo, riesce a ricostruirsi una famiglia: un nuovo compagno e un'altra bambina, Arianna. Ma un’altra diagnosi arriva a sconvolgere la sua nuova serenità familiare: Arianna ha una forma grave di disturbo dello spettro autistico. «Non sono mai disperata», mi dice, «ma ci sono momenti in cui vivi l’esperienza del limite. Momenti in cui, se non si ha chiaro in mente che la persona davanti a te ha un dolore vero dentro, non è possibile starle vicino».
Marina non si è disperata neanche quando, nei giorni del lockdown, lei e le sue giovani figlie autistiche non potevano mettere il naso fuori di casa, mentre era consentito portare fuori il cane per chi l’avesse. Eppure, dice, «è stata una follia». «Neanche l’ora d’aria. Libero accesso ai parchi comunali e alle spiagge per le persone con disabilità, ripetevo a voce alta: tanto a noi non si avvicina nessuno, siamo abituate alle uscite in solitaria. Invece, nessuno parlava di noi, un silenzio e un abbandono che rendeva la nostra una folle responsabilità. E dire che il carico era già così insostenibile».
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