Sabato, 13/03/2010 - Avrete letto su La Repubblica - qualche tempo fa -di quell’operaia irpina che è stata reintegrata dal Giudice al lavoro (una fabbrica di elettrodomestici) e la sua datrice di lavoro l’ha “comandata” nella sede di Nuova Delhi. L’operaia ha accettato, con dignità.
Casi simili (anche se le sedi di trasferimento rimangono nei confini patrii) ce ne sono moltissimi. È comunque difficile che una donna accetti di andarsene, come la nostra protagonista. Di solito è un uomo che va via pur di non perdere il lavoro.
Le donne di solito "transano" un ristoro economico e rinunciano al trasferimento e, quindi, al lavoro. Reintegrare è obbligatorio, se il lavoratore ha ragione. Ma i "padroni", se possono, si vendicano con crudeltà, dietro l’assolvimento dell’obbligo di reintegro.
E' il luogo del trasferimento - nel caso di specie - che è eccessivo ed ha portato la notizia dritta dritta in cronaca.
E così come pure viene portata alla ribalta la proprietà di un'azienda nella non vicina India da parte dell’imprenditrice irpina: delocalizzazioni vantaggiose, ovviamente.
C'è molto di estremo in questa vicenda. Non paradossale, beninteso, ma eccessivo.
La lavoratrice se mantiene la calma e sa gestire la sua legittima rabbia, non potrà che uscire bene dalla storia.
Questa è la storia di due donne: la lavoratrice riuscirà a mantenere la sua dignità, l'altra ha agito secondo vituperate e inutili modalità maschili di gestione.
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