Mercoledi, 16/10/2013 - A Montevideo (Uruguay) il XIV Incontro Internazionale della Rete delle Donne in Nero.
L'incontro si è svolto dal 19 al 24 agosto ed erano presenti Delegazioni di Argentina, Armenia, Belgio, Cile, Colombia, Congo, Guatemala, India, Israele, Italia, Palestina, Serbia, Spagna, Uruguay.
Questo incontro è stato molto movimentato, incalzante e un po' confuso anche per i continui spostamenti da un luogo all'altro per le varie e numerose attività organizzate, il tutto in una atmosfera di grande condivisione, affetto e allegria.
Le plenarie e i workshop si sono susseguiti e tutte le pause sono state riempite da incontri in café, ristoranti e case in cui la discussione continuava per cui non c'è stato un momento di tregua .
E' apparsa immediatamente chiara la diversità dei temi posti al centro del loro impegno da parte delle DIN dell'Uruguay cioè finora prevalentemente la violenza domestica, il diritto all'aborto, il femminicidio che del resto erano i temi su cui le donne di quel paese sentivano maggiormente' bisogno di attivarsi.
In questo senso hanno lavorato molto bene e creato un'attenzione da parte delle istituzioni locali e del governo. Sono state capaci anche di promuovere manifestazioni molto partecipate di donne che hanno accettato di usare il simbolico delle DIN (il nero e il silenzio) in modo “disciplinato” cioè non come accade alle volte nelle nostre uscite dove fatichiamo ad avere un'uniformità su questi aspetti.
Hanno posto il tema del destino degli orfani/e del femminicidio ottenendo una legge in proposito che garantisce aiuto socioeconomico a questi bambini così colpiti nei primi anni di vita.
In genere nei vari gruppi delle DIN nel mondo la questione della violenza sulle donne si ascrive in una visione femminista a partire dal rifiuto della guerra, vista come prodotto del patriarcato e ad esso necessaria per tenere in piedi un simbolico maschile che perpetua l'ordine patriarcale del mondo, attraverso il militarismo e la militarizzazione dei territori che escludono le popolazioni dalle decisioni ed espongono le donne ad un crescendo di violenza da parte dei maschi proprio per la violenza intrinseca al ricorso alla guerra.
Di questo hanno parlato a lungo le donne del Congo, di una violenza sistematica e strutturale dentro un progetto genocidario con al centro il corpo delle donne.
Il loro intervento si inserisce nel tema “crimini di guerra” e ci racconta della violenza sul corpo delle donne, lo stupro usato come arma di guerra e di distruzione massiva, il terrorismo e la schiavitù sessuale. Si stupra per ore ed ore in un villaggio casa per casa di fronte alla famiglia, si fanno stupri collettivi nelle piazze con la presenza della popolazione, si seppelliscono vive le donne.
Una guerra dietro la quale ci sono gli interessi economici delle multinazionali e che si intreccia con lo spostamento in Congo di più di un milione di uomini provenienti dal Rwanda di nazionalità Hutu accusati di genocidio e la formazione di bande armate anche di criminali comuni. Massacri di massa per creare un terrore di massa e appropriarsi delle enormi ricchezze di questi territori.
Una delle organizzatrici dell'incontro, Ana Valdès ora donna in nero, ex-detenuta e torturata nelle carceri della dittatura che dal 1973 al 1985 ha imperversato nel paese, ora è tornata a vivere in Uruguay dopo un lungo esilio in Svezia, ha portato nel gruppo i temi del militarismo, della memoria di quanto accaduto nella dittatura, della necessità di verità, giustizia e riparazione.
In effetti il tema “ verità, giustizia e riparazione”è stato uno dei più importanti dell'incontro, tema legato alle dittature e alle guerre, all'impunità dei criminali siano essi criminali di guerra o dittatori o torturatori e assassini dei regimi imposti con la forza.
Le/i torturate/i incontrano per la strada i loro aguzzini e “sono loro”, le vittime, a dover abbassare lo sguardo” come dice Ana.
L'uscita dalla dittatura in Uruguay è stata infatti patteggiata nel 1985 fra militari e tupamaros con un accordo che ha portato alla “ley de caducidad” che ha voluto dire “impunità” cioè una pietra tombale su quanto accaduto.
E' stata una scelta frutto di una concezione militarista, del resto un conflitto armato era in atto, con i tupamaros che si schieravano contro le drammatiche condizioni di povertà di buona parte della popolazione e l'imposizione di una dittatura sanguinaria primo atto di quel Plan Condor che voleva mantenere saldamente nelle mani delle multinazionali lo sfruttamento delle grandi ricchezze presenti nei paesi di America Latina.
Una concezione militarista che ha portato a considerare il conflitto esattamente come una guerra combattuta e poi persa per cui i tupamaros hanno patteggiato e lasciato i “boia” impuniti. E in questo quadro non appare strano che non si permetta di mettere in discussione questa decisione anche dopo tanti anni e con un ex-tupamaro alla presidenza.
In ogni caso il tema delle dittature è entrato in maniera prepotente nell'incontro e nei temi delle DIN con la presenza di Argentina, Cile, Guatemala, Uruguay e l'orgoglio e la gioia per il risultato del processo a Efraim Rios Montt dittatore del Guatemala condannato per genocidio, prima condanna in tal senso comminata a un dittatore, frutto della ostinazione incrollabile delle donne che tanto hanno sofferto e lottano per verità, giustizia e riparazione.
Su nostra richiesta, a margine dell'Incontro Ana, rimasta prigioniera della dittatura per 4 anni, ha organizzato un incontro con altre due ex-prigioniere, Anahit, di origine armena, rimasta in carcere per 11 anni e Elena per 4. Abbiamo fatto loro una intervista in cui ci hanno parlato della loro esperienza, come era nato il loro impegno politico, come avevano vissuto la reclusione, l'essere in balia totale dei torturatori ma anche la solidarietà, la capacità di continuare a discutere e a progettare il futuro anche se in cattività e sotto il continuo controllo da parte dei militari. Ci hanno parlato anche dello stupore di fronte alle condanne loro comminate senza colpe gravi, della estrema violenza della dittatura dentro e fuori dalle carceri, del loro entusiasmo giovanile per un processo di cambiamento che attraversava tutta America Latina e poi la delusione per l'esclusione dalle decisioni, il bisogno di verità e giustizia negato.
L'Uruguay è un paese laico, la legge sul divorzio è del 1907 e non c'è religione di stato, non si insegna religione nelle scuole e queste sono pubbliche e obbligatorie per tutte/i oltre che gratuite fino all'università, il secolarismo diffuso si sente chiaramente nell'atmosfera che si respira in questo paese dove però una legge sul diritto all'aborto è stata ottenuta solo da poco tempo ed è caratterizzata da regolamenti che mostrano una mancata rinuncia al controllo sul corpo delle donne (e quindi sulla natalità e ai fini del controllo sociale) a dimostrazione che il patriarcato anche nel secolarismo limita, se può, le libertà femminili e certo non è estraneo a questo il maschilismo che caratterizza ogni tipo di sinistra ma paradossalmente in maniera maggiore quelle che scelgono l'uso delle armi.
In questo senso Ana Valdes ci ha detto, alla luce dell'esperienza di tutti questi anni di carcere e di esilio e della riflessione sui risultati, non appoggerebbe mai più la lotta armata (allora aveva 19 anni e usciva da un collegio di monache) sia per le conseguenze al tempo del conflitto armato sia per quelle nel dopo-conflitto con il permanere di una simbologia maschile, malgrado la partecipazione delle donne alle lotte, ostacolo alla conquista di una effettiva libertà femminile, come è già avvenuto in particolare in Salvador e Nicaragua.
Il tema dell’antimilitarismo è stato centrale nelle discussioni, per tutte le conseguenze che il militarismo ha nella vita delle popolazioni e in particolare della donne e ne hanno parlato le DIN colombiane (Ruta Pacifica de las Mujeres) che su questa questione hanno costruito il loro attivismo contro il conflitto armato sessantennale in Colombia caratterizzato da una violenza anche qui sistematica sulle donne (bottino di guerra e campo di battaglia fra le diverse fazioni anche i guerriglieri).
Alla fine dell'incontro abbiamo approvato un documento da inviare alla tavola di discussione della pace fra FARC e governo di Santos, stabilita a Cuba da mesi di cui poco si parla nei giornali e nella “provinciale” Europa, in cui ribadiamo la richiesta di un impegno effettivo a mettere fine al conflitto armato illustrando quello che significa pace per le donne e di come esse non si sentano estranee al percorso di pace ma invece ne vogliono essere protagoniste senza affidare tutto al genere maschile, forti delle esperienze già viste.
La gioventù uruguaya è istruita c'è molto interesse per teatro, opera, musica classica, la legge permette i matrimoni omosessuali avendo cancellato il riferimento al sesso dei contraenti, la legalizzazione delle droghe leggere sotto controllo dello stato, il tutto molto recente. Nel centro di Montevideo, come a Bologna esiste la Zona della diversità sessuale con un edificio affidato alle organizzazioni gay e lesbiche, transgender e in generale lgbt.
Le donne partecipano attivamente alla politica, Montevideo ha una sindaca che ha proclamato la capitale, “città della pace” per tutta la durata del nostro incontro (6 gg.) e ha voluto che l'inaugurazione assumesse un carattere ufficiale, Durante questo evento abbastanza partecipato, Stasa Zajovic donna in nero proveniente dalla Serbia ha preteso e ottenuto che venisse tolta la bandiera serba che ingenuamente era stata messa, insieme a quelle delle altre delegazioni presenti e che per le DIN serbe rappresenta quel nazionalismo feroce che si è macchiato di massacri inauditi in Bosnia per i quali loro hanno chiesto perdono alle donne di Bosnia e continuano a mantenere relazioni con loro con attività comuni.
Il governo ha definito il nostro incontro di “interesse nazionale”.
Montevideo è una città politicizzata, in vari luoghi si propagandano con diverse modalità le ultime leggi sui diritti civili anche con proiezioni sulle pareti dei palazzi,
Insomma questo incontro è stato immerso nella realtà locale, in modo un po' inusitato e anche questo sta a testimoniare modalità e approcci diversi fra le varie realtà in cui sono presenti nel mondo le DIN, si capiva anche che in determinati ambienti c'era interesse rispetto alla nostra realtà di DIN.
Ci sono state diverse realtà che hanno chiesto di incontrarci, ad esempio abbiamo visitato una delle 19 Comuna Mujer, luoghi gestiti da donne, dipendenti e volontarie, che offrono accoglienza e consulenza legale e psicologica alle donne che vivono nel dipartimento cui afferisce ogni Comuna (un “consultorio” per più quartieri). Il servizio è molto interessante e prevede anche attività di formazione e empowerment, hanno anche ricevuto la visita di Rigoberta Menchù cosa di cui sono molto orgogliose. Per quanto riguarda i casi di violenza in famiglia per cui la donna sia costretta ad allontanarsi dalla casa, il servizio/rifugio viene fornito direttamente dal governo attraverso “hogares” temporanei e segreti.
I temi dei diritti sessuali e riproduttivi intesi come libertà ed autonomia femminile rispetto alla sessualità, alla maternità e alla gestione della propria vita sono stati trattati sia per illustrare la situazione del paese ospitante, vedi situazione delle donne afrodescendientes ma anche per conoscere altre realtà e creare confronti.
Le giovani cilene di Linea aborto presenti fanno unlavoro sull'aborto come strategia politica che mette in discussione la primazia della famiglia eterosessuale/ il patriarcato/ il sistema patriarcale/ per dare alle donne la voglia di recuperare la loro autonomia.
Le giovani attiviste cilene presenti erano otto (una è arrivata da sola in macchina attraversando la Cordigliera delle Ande e hanno trovato molto stimolante la nostra proposta, più completa rispetto ai soli temi pur importantissimi della violenza sulle donne (femminicidio) dell'autonomia del corpo delle donne (depenalizzazione aborto -attuato con metodo farmacologico quindi a casa-; in Cile c'è la legge più restrittiva del mondo rispetto all'interruzione di gravidanza), e in generale dei diritti sessuali e riproduttivi che restano comunque anche i nostri temi che per noi si intrecciano con la lotta al militarismo, la militarizzazione, il nazionalismo, il fondamentalismo, il razzismo.
Loro sembrano molto interessate a sviluppare anche questi temi, soprattutto per quanto riguarda il militarismo, che in particolare in Cile è un tema importante da porre nell'agenda femminista, vista la centralità che l'esercito ha in quel paese e e la sua autonomia rispetto alle istituzioni dello stato. Solo da pochi anni è stata eliminata dal Parlamento la presenza di generali dei vari rami delle Forze Armate come senatori a vita; pensiamo che Pinochet ha seduto in parlamento quasi fino alla morte e sono molto pochi i responsabili del GOLPE condannati, Pinochet stesso è morto nel suo letto.
Ci hanno ringraziato per il valore che abbiamo dato a loro e alle loro attività e per aver aperto loro un nuovo orizzonte di impegno.
C'era Anush che rappresentava le DIN Armenia che ha portato dei video sulle mobilitazioni che fanno nel loro paese, molto simboliche ma anche molto giovani non mancano infatti performance con musica e ballo. Le DIN Armenia hanno fra i loro temi, quello della pace, dell'antimilitarismo, delle libertà femminili contro ogni tipo di violenza e l'accesso delle donne nei luoghi decisionali.
Abbiamo terminato con questo documento che ha suscitato molta discussione:
Risoluzione del XVI Incontro Internazionale delle Donne in Nero
Montevideo, Uruguay, 19/8/2013- 24/8/2013
Delegazioni di Argentina, Armenia, Belgio, Cile, Colombia, Congo, Guatemala, India, Israele, Italia, Palestina, Serbia, Spagna, Uruguay.
Siamo un movimento internazionale di attiviste femministe che si confrontano con diverse situazioni di oppressione.
Rifiutiamo i conflitti armati e le guerre che hanno luogo nel mondo ad opera degli eserciti dei nostri paesi.
Rifiutiamo anche le cosiddette guerre “umanitarie” e le guerre preventive, la violenza in situazione di post-conflitto in cui si continua la guerra con strumenti diversi. Il perpetuarsi del potere dei dittatori e dei criminali attraverso artifici legali, l'immunità per gli attori armati e l'impunità per i criminali di guerra.
Rifiutiamo anche le guerre sociali generate dall'economia neoliberista che stanno danneggiando il mondo intero soprattutto la gente povera.
Ci opponiamo al commercio delle armi la cui produzione è una delle cause della proliferazione delle guerre. Proponiamo che le industrie belliche trasformino la loro produzione spostandola su prodotti non letali.
Rifiutiamo anche la continuità della violenza contro le donne in casa, nelle strade, nei luoghi di lavoro.
Tutte queste forme di violenza sono generate dal patriarcato che si nutre e si sostenta attraverso le guerre, la violenza e l'ingiustizia e che non ha mai rinunciato a soluzioni belliciste.
In tutte queste situazioni si usa una violenza strutturale e sistematica contro le donne, il controllo sociale viene assicurato attraverso il controllo dei corpi delle donne.
Il nostro movimento femminista e antimilitarista utilizza forme di lotta nonviolente e fa le seguenti proposte:
1- Azione globale delle Donne in nero per l'abolizione dell'immunità per i membri delle “missioni di pace” delle Nazioni Unite, i caschi blu. E' comprovato che in molte zone di guerra i caschi blu siano stati coinvolti in reati di tipo sessuale contro la popolazione civile come in Congo, Bosnia, Haiti, ecc.A partire dalla ultima settimana di ottobre iniziare le campagne di mobilitazione.
2 - Abolire l'impunità per i perpetratori di crimini di guerra compiuti durante interventi militari, guerre umanitarie, dittature e guerre sociali contro i poveri, per impedire che tornino al potere come sta succedendo in molti luoghi. Per questo esigiamo che il sistema giuridico si attivi contro l'impunità. Quindi ci congratuliamo con il Tribunale del Guatemala per la condanna per genocidio del dittatore Efrain Rios Montt, stabilendo un precedente unico nel mondo. Per questo lavoriamo e continueremo a lavorare con modelli di giustizia che partono da una visione femminista come i tribunali e le corti delle donne, le commissioni di verità, giustizia e riparazione, ecc.
Proponiamo di collocare l'inizio di questa azione contro l'impunità il 24 di maggio 2014, giornata internazionale per la pace e il disarmo.
3 - I nostri gruppi di Donne in Nero faranno vigil per ricordare la Nakba palestinese del 1948. Appoggiamo e ci impegniamo con il movimento BDS “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro lo stato di Israele e la sua economia di guerra e la sua politica di occupazione dei territori palestinesi. Riaffermiamo la nostra autonomia e la libertà di decidere sulle nostre vite e i nostri corpi e territori in termini di diritti sessuali e riproduttivi.
Continueremo ad appoggiare le iniziative di pace che i diversi gruppi di Donne in Nero e affini organizzano in conformità con i propri contesti sociopolitici e rispettando l'autonomia di ciascun gruppo che fa parte della rete.
Lascia un Commento