Mercoledi, 16/10/2013 - Patriarcato, Femminicidio, Impunità. Così le femministe antimilitariste ne hanno discutono a Montevideo
All’insegna dello slogan Ninguna mujer es campo de battalla - Nessuna donna è campo di battaglia - si è aperto il 19 agosto scorso a Montevideo, Uruguay, il XVI Congresso delle Donne In Nero. Una cinquantina di donne della rete si sono confrontate in dibattiti sia in plenaria che in workshop di piccoli gruppi , spaziando dalla violenza armata tuttora in atto in molti Paesi, al processo di riconciliazione in itinere in Colombia, passando per il conflitto israelo-palestinese, il processo di pace in Guatemala, i processi di recupero e riconoscimento della memoria storica nei paesi di recente dittatura fino alla violenza domestica e di genere.
Il Congresso, che ha visto la partecipazione di delegazioni provenienti da Argentina, Belgio, Cile, Colombia, Congo, Guatemala, India, Israele, Italia, Palestina, Serbia, Spagna, UK, Uruguay, USA, è stato salutato ufficialmente da Ana Oliveira , Sindaca della municipalità di Montevideo, che ha dichiarato la capitale uruguaiana città della pace per l’intera settimana congressuale.
I temi dibattuti sono stati tanti, numerosissimi gli interventi non solo di DiN ma anche di femministe, di professioniste e donne della cultura sud americana. Ciascuna ha voluto apportare il proprio punto di vista, la propria testimonianza di antimilitarista, di femminista, di sorellanza internazionalista.
Al centro del confronto il sistema patriarcale che perrnea con la propria ideologia e pratica nefasta, tutti gli strati di convivenza sociale di tutti i Paesi, manifestandosi ora come brutale etno genocidio, (ex Iugoslavia), ora come sistemi dittatoriali militaristi che sopprimono fisicamente gli avversari politici, come nel caso delle dittature del Sud America.
Dalla drammatica atrocità subite dalle donne nella ex-Jugoslavia da parte dei serbi, alle violenze che le donne colombiane, guatemalteche hanno vissuto e tuttora vivono a causa di sistemi di potere arroganti e compromessi con le milizie del narcotraffico, il filo diretto è dato proprio dal patriarcato, inteso come dominio di un genere, quello maschile, sul genere femminile fin dalla nascita, si sviluppa poi con la formazione e l'educazione della persona, prosegue con la negazione della rappresentanza politica delle donne e dei loro bisogni.
E’ il patriarcato, violento e militarista, che si manifesta negli orrori della RD del Congo: troppo forti ed amare sono state le immagini proiettate in ricordo del le 14 donne seppellite vive in Ruanda, e quelle degli adolescenti con labbra amputate dalle milizie mercenarie ugandesi, con organi genitali distrutti per ridurre la presenza demografica, adolescenti deturpati e oltraggiati, vittime nel fisico oltrechè nella psiche.
E' sempre il patriarcato che prende corpo negli attacchi israeliani alla popolazione inerme palestinese; è ancora il patriarcato che recide le flebili speranze delle giovani donne libiche che immaginano un mondo a propria misura dopo la caduta di Gheddafi.
E cosa dire della violenza domestica, anch’essa espressione del patriarcato? Così le delegazioni uruguaiane, argentine ed europee hanno portato la loro testimonianza: 22 donne uccise l’anno scorso in Uruguay su una popolazione di 3 milioni di abitanti; 50 donne uccise in Argentina, Paese dove accanto alla violenza fisica sulle donne vi è una forma più sottile di violenza dovuta agli intollerabili accanimenti mediatici sulla stessa donna vittima di violenza , e contro la qual forma, le femministe stanno ponendo argini e e misure politiche.
Il terrorismo sessuale come arma di distruzione di massa, violenza domestica e di genere: il corpo delle donne non è un campo di battaglia e il femminismo, è stato ribadito, è la chiave di lettura necessaria per affrontare la violenza, qualunque sia la sua forma; è l’alveo politico dove individuare, sviluppare gli interventi e creare i necessari strumenti di liberazione delle donne.
Molto dibattuto è stato il punto sull' ONU e la risoluzione 1325: per alcune, infatti, è stata concessa una vera e propria immunità ed impunità ai Caschi Blu, e quelle dinamiche oscure e violente da essi controllate, per altre ha, comunque , l'ONU una sua valenza positiva nel tutelare la popolazione da crimini e violenze. Condivisa, invece, all'unanimità la proposta sull’istituzione di tribunali internazionali speciali, portando ad esempio il tribunale permanente dell’Aia ed il proficuo lavoro da esso svolto contro i criminali di guerra.
I processi, sia in tribunali ufficiali, che quelli cd dei tribunali delle donne, (a tal fine una delegata ha illustrato l’aspetto metodologico alla base di simili forme di giustizia delle donne), rappresentano gli strumenti principali sostenuti dalle femministe antimilitariste. E’ per questo che in Guatemala e in Colombia, rivendicano come femministe il supporto e il conseguimento di processi ai responsabili delle azioni di genocidio e di femminicidio verificatesi in detti Paesi.
Altro tema, quello della violenza domestica, a seguito di numerose osservazioni e lunghe discussioni che interpretavano il problema distante dalle azioni e dalle pratiche antimilitariste caratterizzanti la rete, è stato riconosciuto come ulteriore forma di dominio patriarcale, e di conseguenza, come una delle diverse pratiche politiche percorribili all’interno della rete Women in black.
Le azioni messe in atto dalle femministe sud americane contro la violenza domestica/di genere vanno dai corsi a favore di personale assistenziale e/o della polizia, al raggiungimento dell’obiettivo di di obbligatorietà del referto medico sulle donne vittime di forme di violenza.
Le donne dell'Argentina sottolineano la necessità di non circoscrivere e restringere il campo della violenza domestica alla sfera privata, bensi affermarla come problema pubblico e sociale, e come tale si può immaginare di trattarlo in modo divulgativo nelle telenovelas, format televisivo molto seguito e popolare in Argentina; inoltre, come è stato evidenziato dalla rappresentante uruguaiana, occorrerebbe una legge specifica rivolta ai media, che spinga la trattazione della violenza domestica non come fatto di cronaca ma parte dell'informazione politica-sociale.
Il femminismo, il nuovo femminismo inteso come teoria e pratica politica che abbraccia in modo olistico e con profonda riflessione il ribaltamento delle regole sulla naturalità della donna, la riproduzione, la sessualità, il lavoro e la politica, ha preso forma nei dibattiti spaziando da concetti storici alle tensioni attuali.
La realtà sudamericana è molto variegata: si hanno Paesi come l’Uruguay con una propria legge sull’aborto, al Cile tuttora senza nessuna legge a favore, nonostante le numerose azioni di piazza di grande rottura mediatica delle femministe. Va aggiunto, comunque, che le giovani femministe cilene promuovono un esteso servizio di informazione sulle pratiche abortive consentite dall’OMS per via chimica-farmacologica.
Le pratiche femministe sono anche le tante forme di sostegno alle donne e alla popolazione palestinese, contro l'oppressione dell'esercito israeliano, che vede assieme affiancarsi nella lotta quotidiana, le donne israeliane accanto a quelle palestinesi.
Tra le mille facce delle pratiche femministe che si sono confrontate a Montevideo, certamente quelle contro le dittature e le militarizzazioni del territorio hanno prevalso su tutte.
In particolare, è stato approfondito il punto sulle azioni da mettere in atto contro la dilagante politica dei governi di apertura all'impunità dei crimini delle dittature con l' emanazione di leggi ad hoc per la conciliazione, il perdono, la dimenticanza.
Le femministe affermano il proprio no a qualunque forma di impunità, a qualunque forma di oblio, di dimenticanza: ci sono le Madri di Plaza de Mayo di Buenos Aires, alla ricerca di giustizia per i loro figli fatti sparire dai regimi dittatoriali e per i tantissimi, troppi, bambini ormai adulti, ancora segretati in altrettante famiglie “ideologicamente corrette”; ci sono le femministe del Guatemala e dell’Uruguay profondamente ferme e convinte che nessun oblio sarà mai possibile, nessuna vita spezzata rimarrà senza giustizia.
Analogamente la Ruta pacifica colombiana, attraverso la propria commissione di verità e memoria per la soluzione negoziata del conflitto armato e per la costruzione della pace e la riconciliazione del paese, ha l’obiettivo di portare a processo 300 donne vittime di violenza, nell’ambito di una specifica legge di giustizia e pace, che riconosce la violenza subita come violazione dei diritti umani.
Anche le donne europee affermano l’importanza della battaglia politica sulla impunità affinchè nessuna violenza resti senza giustizia, da quelle recenti a quelle passate, come ad esempio, quelle subite durante la rivoluzione spagnola del ’36.
L’incontro internazionale termina con la condivisione del documento politico, prossimamente in rete, che tra l'altro riporta la promozione della campagna sull'abolizione dell'impunità dei Caschi Blu, le azioni in ricordo di Nagba del 1948 e di boicottaggio dell'economia di guerra.
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