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Del "quoziente familiare" e di differenze parlamentari.

Del "quoziente familiare" e di differenze parlamentari.

Tasse che odiano le donne, fatte da uomini.

Giovedi, 25/03/2010 - Questo è il titolo di un libro che sto correndo a comprare (di Caterina Soffici, ed. Feltrinelli). Non l’ho ancora letto, ma mi ha intrigato il titolo e l’argomento: come vivono le donne nel Paese più maschilista d’Europa. Già questo appellativo ci dovrebbe far rattristare come Italiani, se il TIME (Mar 22) non avesse rincarato la mia dose di sconforto, con una piccola statistica, senza commenti (che classe!) in cui di legge che: a) il Rwanda è il Paese con la più alta percentuale di donne in Parlamento (51%); b) segue la Svezia (46%), ovviamente; c) a scalare Cuba, Islanda e Sud Africa (tutti e tre al 43%).

Insomma: due Paesi africani poveri ma grintosi, due Paesi scandinavi (come al solito!) e l’irrimediabilmente “comunista” Cuba. Il resto è senza infamia e senza lode. Il resto, ma non l’Italia.

In Italia siamo a nostro modo speciali. Mentre nel resto dell’Unione Europea impazzano le campagne pubblicitarie sull’Equal Pay (for work of equal value, recita il claim istituzionale della Commissione UE, anche su http://ec.europa.eu/equalpay ), a più di un anno dal ‘Lilly Ledbetter Fair Pay Act’ di Mr Obama (ah, les Americains…!), noi donne italiane non ci siamo neanche accorte della riforma fiscale che prende il nome di “quoziente familiare”. Insomma, invece di aderire alla battaglia per uno stipendio uguale a parità di lavoro, chi di noi lavora è costretta a controbilanciare il carico fiscale familiare (per compensazione) laddove il nostro coniuge guadagni più di noi. Inoltre, a conti fatti, il risparmio fiscale famigliare è maggiore per un nucleo famigliare con un solo alto (o altissimo) reddito che non per due coniugi operai o interinali. Insomma, se sono una lavoratrice mi conviene economicamente (e non solo!) non sposarmi, se non trovo lavoro (ed è la regola qui da noi), mi conviene maritarmi con uno ricco. Per certi versi le nostre nonne lo sapevano già, ma – santa polenta! - ci voleva una riforma fiscale per regredire ufficialmente? E poi, mica ci sono tutti questi maschi ricchi e per di più liberi da poter sposare?

Ho letto con attenzione questo capolavoro tributario e sono rimasta allibita: quanti italiani (tranne i soliti e apocalittici sindacati di sinistra etc etc) e – ancor di più – quante donne italiane hanno capito quale disparità si cela? Sarà perché nel nostro Parlamento la percentuale di donne è a mala pena del 10% ?



Marika Borrelli

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