Croazia - No ai matrimoni gay e no all’educazione sessuale a scuola: un paese diviso sui diritti civili. La Chiesa aiuta i conservatori e l’Europa sta a guardare
Cristina Carpinelli Venerdi, 28/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2014
Il primo dicembre 2013 la maggioranza dei croati ha votato a favore di un referendum per vietare i matrimoni gay. Una grande vittoria per i conservatori sostenuti dalla Chiesa cattolica. Il quesito referendario era il seguente: “Vuoi definire il matrimonio come un’unione tra un uomo e una donna?”. Il numero totale dei votanti è stato del 37,68% (su 3,8 milioni di aventi diritto), di cui il 65,77% ha risposto “sì”. La percentuale di coloro che si sono recati alle urne è stata piuttosto bassa, non certo plebiscitaria, non consentendo, dunque, di sapere se la popolazione croata sia davvero tutta favorevole alla famiglia tradizionale. Possiamo, però, dire che la parte della Croazia più oscurantista si è data molto da fare nel mobilitare i suoi fedeli. Indubbiamente, il risultato appare scontato in un Paese dove la Chiesa ha sempre giocato un ruolo importante e dove quasi il 90% dei croati (su una popolazione di 4,4 milioni di persone) è cristiano-cattolico. “Il matrimonio è la sola unione che consente la procreazione, questa è la differenza fondamentale tra un matrimonio e altre unioni”, ha affermato il Primate di Croazia Josip Bozaniæ. Frase riportata in un volantino letto nelle chiese del Paese alla vigilia del referendum. Il risultato referendario avrà ora come effetto l’introduzione nella Carta costituzionale della definizione di matrimonio come “un’unione esclusivamente tra un uomo e una donna”, mentre attualmente la Costituzione non dice nulla riguardo allo statuto del matrimonio.
Il referendum è stato indetto dal gruppo conservatore U ime Obitelji (“In nome della famiglia”), dopo che il governo di centro-sinistra aveva annunciato una legge per permettere alle coppie gay di registrarsi come “partner a vita” e dopo che nel 2003 erano stati estesi alle coppie gay, che avevano vissuto insieme per almeno tre anni, gli stessi diritti riconosciuti alle coppie di fatto eterosessuali. Non era stato allora riconosciuto il matrimonio gay, ma il governo aveva espresso la volontà di consentire prima o poi agli omosessuali di registrarsi almeno come “conviventi”. La vittoria dei “sì” al referendum ha reso impossibile per il governo legalizzare in futuro i matrimoni gay attraverso modifiche al diritto di famiglia, che non richiedono la maggioranza dei due terzi in Parlamento.
Il Presidente Ivo Josipoviæ ha votato “no” al referendum ritenendo che la definizione di matrimonio non debba essere un compito della Costituzione e che un Paese si giudica dal suo atteggiamento verso le minoranze. Nello stesso modo si è espresso il Premier Zoran Milanoviæ, sostenendo che “questo è un referendum che dà la possibilità alla maggioranza di spogliare una minoranza dei suoi diritti (…) e che minaccia il diritto delle persone alla felicità e alla libertà di scelta” (…). Rappresenta, inoltre, “un’espressione di omofobia, un voto triste e insensato. Non dovremmo essere coinvolti in decisioni che invadono lo spazio intimo della famiglia”. Zoran Milanoviæè, inoltre, ha espresso preoccupazione che questo voto possa costituire un precedente per legittimare altre consultazioni potenzialmente lesive dei diritti delle minoranze, prima fra tutte quella serba. Il gruppo dei liberali, schierandosi a favore del Premier, ha dichiarato che la questione del referendum avanzata dai conservatori cattolici violava i diritti umani fondamentali. Ciononostante, il fronte del “si” ha avuto il sostegno di oltre 100 dei 151 deputati che siedono oggi nel parlamento di Zagabria. L’Unione Europea, di cui la Croazia è paese membro, non ha ufficialmente commentato i risultati di questo referendum. La Croazia si allinea, dunque, ai cinque Paese dell’Ue che hanno già una definizione esclusivamente eterosessuale del matrimonio nelle rispettive Costituzioni (Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria e Bulgaria), ponendosi contro corrente rispetto ad altri Stati europei che hanno recentemente approvato il diritto al matrimonio per le coppie dello stesso sesso (come ad esempio Francia e Regno Unito). Eppure, Zagabria aveva ottenuto il suo ingresso nell’Unione grazie anche a una legge che vieta di discriminare le persone Lgbt, richiesta da Bruxelles durante i negoziati di adesione. Famiglia e tradizione, queste sono le parole d’ordine del gruppo conservatore “In nome della famiglia”, legato alla Chiesa cattolica croata e sostenuto dalla destra nazionalista, che è riuscito a raccogliere in poco tempo oltre 750mila firme in difesa della “sola unione che consenta la procreazione” e che ha vinto il referendum, nonostante una larga parte dei mass-media e del mondo accademico, appoggiando esponenti del governo e il Presidente della Repubblica, avesse invitato i croati a non avallare alcuna forma di discriminazione e di divisione tra famiglie di primo e secondo grado.
Alcuni esperti hanno sollevato la questione di legittimità in considerazione della quota bassa dei votanti. Poiché per il referendum non è richiesto nessun quorum ma solo una maggioranza semplice dei votanti, sarà difficile poter annullare la votazione. Tuttavia, la Corte costituzionale croata ha spiegato che l’esito del referendum “non può in nessun modo limitare uno sviluppo futuro della regolamentazione legislativa delle unioni civili tra le persone dello stesso sesso”. Intanto il Primo Ministro ha fatto sapere che il suo governo, a prescindere dal dato referendario uscito dalle urne, presenterà il disegno di legge sulle unioni civili tra le coppie dello stesso sesso, prevedendo che siano a loro garantiti tutti i diritti delle coppie sposate, incluso quello di diventare custode legale del figlio biologico del partner (ad eccezione dell’adozione dei minori). Immediate le reazioni: “Si tratta di un modo per aggirare l’esito del referendum, e contro la volontà popolare introdurre il diritto di azione alle coppie omosessuali”, ha detto Željka Markiæ, capo dell’organizzazione che ha promosso il referendum. Il Ministro per la Famiglia, Milanka Opaèiæ, ha subito replicato sostenendo che non ci sarà nessun passo indietro. Il governo procederà con il disegno di legge.
La Chiesa croata scomunica il sesso insegnato a scuola.
Chiesa e governo sono ai ferri corti. A metà dicembre 2013 è stata introdotta, nell’ambito del programma di educazione sanitaria, l’educazione sessuale nelle scuole, decisione che ha sollevato le ire del mondo cattolico croato. Il vescovo ausiliario della capitale, Mijo Gorski, ha definito questa decisione presa dal governo come “anti-croata e anti-cattolica”. D’ora in poi nelle scuole durante le ore di lezione sessuale si parlerà di aborto, della necessità di avvisare tutti i partner se si è affetti da malattie sessuali e di adoperare il profilattico nei rapporti sessuali. Si parlerà, inoltre, della masturbazione come un atto che non fa male e si insegnerà che l’omosessualità non è un comportamento “malato”. I parroci delle centinaia di parrocchie sparse per il Paese hanno esortato i fedeli a protestare contro l’educazione sessuale nelle scuole che, a loro detta, fornisce una guida sul sesso e sul controllo delle gravidanze e che definisce, appunto, l’omosessualità come un fenomeno di minoranza ma assolutamente normale. Il clero ha proposto una petizione di firme contro la frequenza scolastica alle lezioni di educazione sessuale. Inoltre, grazie ad un accordo con la catena alimentare Konzum, capillarmente sparsa in tutto il Paese, ha fatto stampare un pamphlet in cui suggerisce ai genitori i libri da leggere per impartire una sana educazione ai propri figli. Nel pamphlet si legge tra l’altro: “Genitori, voi forse desiderate che i vostri figli imparino che se affetti da una malattia sessuale devono usare il preservativo e avvisare della stessa tutti i loro partner?”. Un mese prima la Conferenza episcopale croata aveva accusato il governo d’infrangere, con l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole, il trattato Chiesa-Stato, violando altresì la Costituzione che garantisce ai genitori il diritto di educare liberamente i propri figli. Il cardinale Bozaniæ in un incontro pubblico con i direttori degli asili e delle scuole di Zagabria aveva detto che “contro la volontà della maggioranza di chi opera nel settore dell’istruzione si cerca d’introdurre forme educative che non sono in conformità con la tradizione croata”. Durante un’omelia, lo stesso cardinale aveva asserito che “a ragione i fedeli temono che con tale materia si metta in forse la visione cristiana del mondo, perché spiana la via a un’ideologia contraria al fatto che l’umanità è stata creata come ‘uomo’ e ‘donna’ che procreano”. Per l’Associazione cattolica “Grozd”, lo Stato, con questo provvedimento, favorisce la propaganda omosessuale nelle scuole e promuove concetti ambigui. Il ministro Jovanoviæ, Presidente di “Belgrade Forum for a World of Equals”, ha prontamente ribattuto che lo scopo della materia d’insegnamento è di “promuovere la non violenza, la parità dei sessi e la tolleranza”.
Lascia un Commento