Intervista a Maria Giovanna Ruo (associazione Cammino) in vista del Festival di Bioetica 2020: l’impatto della pandemia sulle persone emarginate e a rischio
Domenica, 23/08/2020 - Maria Giovanna Ruo è presidente dell'associazione Cammino-Camera nazionale degli avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni e, in occasione del Festival di Bioetica (27 e 28 agosto 2020, Santa Margherita Ligure), interviene sui temi che la vedono impegnata da sempre come cittadina, come professionista e come studiosa e protagonista di situazioni di ricerca e impulso alla riflessione. Tra l’altro, dirige la collana “Cammini: percorsi di riflessione e di approfondimento” il cui ultimo volume - curato da Agnese Camilli “Il caso e la necessità. La (prima?) pandemia del terzo millennio” (ed Key) - è dedicato alla situazione creata dalla pandemia da Covid-19.
Abbiamo ben capito che il Covid-19 non ha colpito le persone alla stessa maniera. Sulla base della sua esperienza, quali condizioni (economiche, culturali, familiari ecc) hanno inciso maggiormente?
La Pandemia Covid-19 ha messo in evidenza tante fragilità anche delle cosiddette società avanzate come la nostra, quelle nelle cui "magnifiche sorti e progressive", pur tra tante contraddizioni, tutti avevamo fiducia: all’epoca senza l’ironia leopardiana. E invece la pandemia, con le necessarie misure di lockdown che ne sono seguite, le restrizioni della libertà personale per la tutela della salute pubblica, non solo ci hanno resi intimoriti e sperduti, come sospesi in una bolla senza i consueti punti di riferimento, ma hanno messo in rilievo una serie di debolezze insite nel sistema. Queste fragilità del sistema hanno colpito in particolare nei loro diritti fondamentali le persone più vulnerabili, per condizioni personali o sociali. I più poveri, i più marginalizzati, le persone con bisogni speciali, i migranti, le persone di età minore o di terza e quarta età, le vittime di violenza domestica e di genere si sono trovate improvvisamente ancor più esposte,discriminate e prive di risorse.
Alle persone di età minore, per le quali il decorrere del tempo ha ovviamente una rilevanza particolare, chiuse all'interno delle mura domestiche per mesi, tanto più se prive di spazi adeguati e/o di spazi aperti, è mancata la scuola, con tutto ciò che significa non solo sul piano dell’apprendimento di materie e dello svilupparsi armonicamente progressivo di specifiche abilità (e ciò è già moltissimo) ma anche perché importantissimo, anzi essenziale, centro di relazioni con i pari, luogo di educazione alla socialità e alla cittadinanza, di apprendimento delle dinamiche affettive e della relativa educazione alle relazioni amicali. Da 0 a 18 anni è mancata la fisicità, la relazione personale con la pluralità di interlocutori, l’autorevolezza degli insegnanti, gli incontri-scontri con gli amici con il loro valore formativo, il gioco di gruppo, le feste, i fidanzatini e le fidanzatine, la possibilità di correre e cimentarsi nel gioco all'aria aperta, la vita spirituale (per i bambini non si pensa spesso all’enorme valore che ha). Sono mancati i rapporti con la famiglia allargata, e in particolare con i nonni, figure che nella nostra società hanno una rilevanza primaria anche in quanto persone che spesso si prendono cura dei bambini per anni in supplenza dei genitori che lavorano. I nonni sono improvvisamente spariti dalla vita dei nipoti, in quanto la relazione agìta attraverso i benemeriti strumenti multimediali non può supplire al contatto fisico quotidiano affettivo; per i ragazzi già in grado di comprendere i messaggi dei mass media, il tutto è stato accompagnato dalla consapevolezza quotidianamente rinnovata che i nonni potevano trovarsi in pericolo imminente di vita e che loro stessi potevano esserne veicolo. La didattica a distanza ha ovviamente supplito - per quel che è stato possibile - alla mancanza delle lezioni in aula; ma solo per coloro che avevano gli strumenti, gli spazi, i genitori in grado di sostenerli nell’apprendimento; ma non ha potuto funzionare per i più poveri di risorse e di spazi (non in tutte le famiglie vi sono devices e spazi sufficienti a tutti i componenti della famiglia per simultaneo smart work e per le lezioni da remoto). La didattica a distanza non è fruibile per i più piccoli (e il valore formativo, educativo e di stimolo delle scuole dell’infanzia 0-6 è ormai un dato consolidato e indiscutibile). Sono rimasti esclusi i bambini con bisogni speciali, per i quali spesso anche l’essere ristretti in spazi angusti è generatore di sofferenza e frustrazione ancor più che per i coetanei. Per i bambini in casa famiglia per mesi sono stati sospesi gli incontri con genitori e parenti (e ci si chiede se fosse proprio necessario, dato che gli operatori intanto andavano e venivano nelle strutture stesse). I Servizi alla persona hanno rarefatto i loro interventi di potenziamento ed aiuto alle persone e famiglie fragili e così i SERT, i DSM, i luoghi, insomma, in cui gli artt. 2 e 3 della Costituzione si fanno “carne e sangue” nel sostegno dei più vulnerabili.
La vittime di violenza e di genere sono rimaste sole, chiuse con i loro carnefici in situazioni nelle quali le manifestazioni di violenza si sono amplificate, aggravate, intensificate: per le vittime di violenza è molto difficile sottrarsi e trovare vie di uscita in situazioni di normalità. Durante il lockdown si sono sentite abbandonate, nonostante i messaggi dei mass media. Anche noi di CAMMINO abbiamo scritto e diffuso un vademecum perché anche nelle angustie della “clausura necessitata” potessero sapere dove trovare aiuto ed assistenza.
I migranti in situazioni di precarietà (street vendors, lavoratori in nero) sono stati quasi inghiottiti dall’anonimato per tutto il periodo di lockdown.
Gli anziani fragili e più esposti di altri alle conseguenze letali di Covid-19 sono restati lontani dai loro affetti, morti a centinaia nella solitudine delle rianimazioni degli ospedali senza un parente o un amico. E comunque deprivati dei luoghi di socialità: dei bar, dei circoli, delle piazze dei nostri paesi. Chiese e edifici di culto rappresentano, tanto più nei momenti drammatici dell’esistenza, luoghi privilegiati di memoria, di attivazione di risorse interiori: per anziani e bambini anche luoghi di consuetudini sociali (si pensi ai vari gruppi che animano le parrocchie per l’infanzia e l’adolescenza, alle classi di catechismo per i bambini; alla consuetudine del Rosario per gli anziani). La loro chiusura ha privato anche di ciò.
Frotte di “normali eroi”, personale sanitario ma non solo, sono rimasti esposti non solo al contagio, ma anche per questo alla discriminazione sociale per la paura che potessero essere loro fonte di contagio, fenomeno di cui non si è parlato molto.
Last but non least vi è stato il fermo della giustizia: e anche questo è un male gravissimo perché legittima nei fatti situazioni di malaffare e sopraffazione, anche nelle relazioni familiari, fenomeni di giustizia ”fai da te” che sono altrettanto pericolosi perché innescano un circolo vizioso anche di crescente sfiducia nelle istituzioni e di tentazione di rivolgersi ad “altre agenzie” per ottenere tutela e giustizia.
Ancora una volta vittime ne sono le persone più fragili, personalmente e socialmente, prive di strumenti anche culturali.
Questa situazione discriminante è destinata a permanere ancora nella società. Quali sono i soggetti più a rischio e per quali ragioni? Gli esiti di quanto esposto non si cancellano in poco tempo, sia per gli esiti invalidanti della socialità e le ferite profonde all’affettività delle persone come singoli e come gruppi che hanno comportato, sia perché la crisi economica - anche essa derivante dal lockdown (di cui, beninteso, non si poteva fare a meno!) - ovviamente ha inciso soprattutto sulle risorse dei ceti meno abbienti.
Come dire, per parlare di persone di età minore, che i più poveri, che non avevano strumenti adeguati per seguire la didattica a distanza o le cui famiglie non avevano gli strumenti culturali per sostenerli, sono rimasti indietro e destinati a rimanerlo sempre più se non si attivano interventi specifici. La povertà educativa si accompagna infatti spesso alla povertà economica e il delta si allarga anche per la deprivazione dalle altre situazioni di socialità che possono costituirne ammortizzatore. Mi riferisco ad esempio agli oratori, alle palestre, ai centri estivi, di cui non tutti hanno potuto usufruire anche tornati alla “normalità che poi tale non è. E questo sempre che non si sia costretti a nuove chiusure e nuove deprivazioni. I bambini con bisogni speciali hanno subito spesso un arresto se non un regresso, dovuto all’improvvisa assenza dei necessari interventi di riabilitazione e sostegno; quelli che si trovano in casa famiglia, e che per mesi non hanno ricevuto visite dei loro genitori e parenti, hanno introiettato un senso di abbandono che non sarà semplice da superare, tanto più se non saranno attivati specifici interventi a sostegno.
Anche per gli anziani la situazione resta complessa: coloro che si trovano in strutture hanno ricominciato a ricevere solo da poche settimane e dopo mesi di interruzione sporadiche e brevi visite dei parenti. Non tutti sono stati in grado di usufruire delle relazioni utilizzando strumenti multimediali, sia per le condizioni psico-fisiche, sia per le barriere multimediali, spesso insuperabili per le generazioni più anziane non aduse all’utilizzo di devices. E ancora una volta sono i più poveri ad essere discriminati, in quanto nei ceti abbienti l’utilizzo di computer e strumenti multimediali è più diffuso tra i pensionati che hanno svolto mansioni intellettuali. Facile immaginare il senso di abbandono derivato agli anziani dall’interruzione dei rapporti anche fisici (pensiamo a quelli con i nipotini!) con i familiari e con i care given, le sindromi depressive che ne sono derivate e che a loro volta comportano compromissione dell’equilibrio psico-fisico e caduta immunitaria.
Molti migranti sono rimasti impossibilitati a recarsi nei paesi di origine dove hanno i familiari o, se rientrati, si sono trovati in enormi difficoltà a ritornare nel nostro Paese, hanno perso il lavoro e i mezzi di sostentamento anche per le loro famiglie rimaste nei Paesi di provenienza. D’altronde il lavoro lo hanno perso anche coloro che sono rimasti nel nostro Paese per il fermo delle attività produttive.
Dal suo punto di vista, ci sono interventi da porre in essere rapidamente per limitare i danni? Mi piacerebbe davvero molto avere le competenze per individuare strumenti di superamento della situazione. Ma direi - nella mia prospettiva - che vi sono tre linee direttrici di investimento che credo meritino attenzione, anche se non immediatamente produttive di reddito. 1) sono necessari investimenti nel sociale, nel sostegno delle fragilità, nel potenziamento dei servizi alla persona, che già da troppo tempo hanno subito tagli e invece in questo momento sono divenuti uno snodo insostituibile affinché la forbice sociale non si divarichi ulteriormente. 2) la giustizia deve ricominciare a funzionare a pieno ritmo: è l’architrave della società e, come diceva Piacentino, “iustitia est virtusque plurimum prodestis qui minimum possunt” (che è anche uno dei motti di CAMMINO). Un cattivo funzionamento della giustizia è discriminazione nella fruizione dei diritti fondamentali dei più fragili. 3) E’ necessario investire nella cultura della responsabilità e della solidarietà sociali.
Se c’è una cosa che dovremmo aver capito è che in queste situazioni non ci si salva da soli, che siamo una catena e che negare speranza a chi ha meno risorse vuol dire anche condannare se stessi. Si sa ormai che l’educazione è un processo che dura tutta la vita: oggi dovremmo sentirci tutti chiamati ad essere protagonisti di un “cambio di passo”, educando prima di tutto noi stessi a esserci responsabilmente come possibile parte della soluzione dei problemi. Insomma mi sembra necessario che si investa nella prospettiva di riscoperta dei fondamentali principi di solidarietà e responsabilità: è quindi necessario investire in cultura di ricostruzione che stimoli all’esserne protagonisti.
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