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 CORPI DIAFANI, CORPI ABUSATI - di Grazia De Mori*

CORPI DIAFANI, CORPI ABUSATI - di Grazia De Mori*

Plasticità cerebrale e corporea nei casi di abuso emotivo nell’infanzia: una riflessione clinica sulla correlazione tra manipolazione e anoressia nelle relazioni narcisistiche

Martedi, 16/06/2020 - CORPI DIAFANI, CORPI ABUSATI
di Grazia De Mori (Psicologa e Psicoterapeuta, socia di SIMP Italia e dell’Albo ICSAT /Albo Operatori di Training Autogeno)

PREMESSA
Numerose ricerche evidenziano come le persone tendano a scegliere un partner con livello simile di maturità affettiva e con affinità nelle esperienze di vita. E’ molto frequente la scelta reciproca, in una coppia altamente disfunzionale, tra una persona affetta da Disturbo narcisistico di personalità e una persona che è o che è stata affetta da Anoressia nervosa.
L’interpretazione del legamepatologico va ricercata nei maltrattamenti emotivi, spesso subitinella famiglia da entrambi i membri della coppia.
In particolare, per le donne affette da una particolare forma di anoressia correlata ad abusi infantili, emergono frequentemente storie di vittimizzazione e traumatizzazione da parte di una o di entrambe le figure parentali che favoriscono la ritraumatizzazione attraverso una nuova relazione con un partner narcisista.

L’ABUSO ALL’INFANZIA
F. Montecchi (1998) propone di parlare di “abuso all'infanzia” per indicare tutte le forme di maltrattamento dirette al bambino che attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale.
Secondo il CESVI (COOPERAZIONE E SVILUPPO – ORGANIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE), il 60/70% dei bambini/e tra i 2 e i 14 anni di età ha vissuto episodi di violenza emotiva da parte dei propri caregiver e, nei soli Paesi industrializzati, circa il 58% dei bambini/e ha subito svariate forme di disciplina violenta in casa. I maltrattamenti non risparmiano neppure i più piccoli: secondo dati raccolti in 30 Paesi, sei bambini/e su dieci tra i 12 e i 23 mesi sono soggetti a disciplina violenta e di questi almeno la metà è esposta ad abusi verbali.
Secondo WHO-European Region, in Europa circa 18 milioni di bambini/e sono vittime di abusi sessuali, 44 milioni di abusi fisici e 55 milioni di abusi psicologici.

CARATTERISTICHE DELL’ABUSO EMOTIVO INFANTILE
L’abuso emotivo, secondo la National Association of Adult Survivors of Child Abuse,è una delle forme di “abuso all’infanzia” che prevede l’utilizzo sistematico di comportamenti in grado di dominare la sfera affettiva e di influire negativamente sulle emozioni e sull’autostima, privando il bambino delle cure e della protezione di cui necessita. Secondo K. Lyons-Ruth (1999), si può parlare di “traumi nascosti” ovvero di condizioni invisibili di trascuratezza rispetto ai bisogni fondamentali del bambino di sicurezza, di riconoscimento, accompagnate da comunicazione affettiva disgregata da parte del caregiver.

In Italia, una recente ricerca svolta da L.E. Prino et al. (2018) su un campione di 312 ragazzi e ragazze fra i 18 e i 24 anni (206 femmine e 106 maschi), universitari e lavoratori del Nord Ovest, mediante ISPCAN-ICAST-R (Child Abuse Screening Tool retrospective questionnaire), ha rivelato un elevato tasso di maltrattamenti e, in particolare, il 62% di abusi emotivi. Il fenomeno dei maltrattamenti psicologici, più consistente a livello femminile, registra una frequenza superiore rispetto a quella riportata da studi precedenti (51%), effettuati con la medesima scala di valutazione (Cronbach’s alphas ranging) in altri Paesi. Il valore è più elevato anche rispetto alla percentuale mondiale (35%) e alla percentuale riportata(50-60%) nel Sud del mondo dall’OMS. E’ stato anche osservato come gli adolescenti del campione subiscano, sottovalutino e scusino tale forma di maltrattamento, ritenuta scarsamente nociva e giustificata per finalità educative.
I danni allo sviluppo cognitivo ed affettivo sono, purtroppo, sottostimati: in genere l’attenzione dei media è concentrata quasi esclusivamente su abusi sessuali e fisici, vale a dire sulle manifestazioni visibili della violenza e della crudeltà, ma scarsamente interessata a forme di prevaricazione psicologica, la cui incisività è spesso lungi dall’essere dimostrata da prove tangibili, soprattutto nelle Aule dei Tribunali.
L’abuso emotivo infantile avviene attraverso:
-Insulti e critiche
-Svalutazione
-Manipolazione
-Portare rancore verso il bambino, evitando contatti per lungo tempo (neglect)
-Far vergognare o sentire in colpa
-Rifiuto dichiarato o isolamento del bambino (neglect)
-Presentazione di una versione diversa rispetto ai fatti realmente accaduti da parte di un adulto
-Minacce

DISTURBO TRAUMATICO DELLO SVILUPPO (DTS)
Il danno a lungo termine degli abusi infantili è stato scientificamente dimostrato da numerose ricerche che hanno evidenziato modificazioni a livello cerebrale ed ormonale nei bambini sottoposti per lungo tempo ad abuso emotivo, tanto da determinare un quadro clinico di DTS(Disturbo Traumatico dello Sviluppo) (Developmental Trauma Disorder, DTD in Inglese), secondo la definizione dallo Psichiatra B. Van Der Kolk, categoria diagnostica ancora in corso di approvazione da parte del DSM. Secondo l’Autore, la classificazione di PTSD (Post Traumatic Stress Disorder), riconosciuta dal DSM V, circoscritta ai casi più gravi ed eccessivamente restrittiva nei criteri, non è in grado di includere il numero spropositato di bambini che subisce ogni anno maltrattamenti psicologici, fisici e sessuali nel mondo, quasi sempre non denunciati.
Secondo B. Van der Kolk, le caratteristiche da considerare per attribuire questo tipo di diagnosi sono:
Esposizione: Esposizione ad una o più forme di trauma interpersonale avverse allo sviluppo, come: abbandono, tradimento, abuso fisico, sessuale ed emotivo. In relazione a questo tipo di trauma, si potrebbero manifestare reazioni soggettive come: collera, sfiducia, paura, rassegnazione, pessimismo, vergogna.
Disregolazione: Lo sviluppo dis-regolato, in risposta a traumi, include disturbi nella sfera emotiva, comportamentali (come auto-aggressività), cognitivi (confusione e dissociazione), relazionali e di auto-attribuzione.
Attribuzioni ed aspettative negative: Credenze negative, in linea con l’esperienza del trauma interpersonale, che potrebbero riguardare la rinuncia all’aspettativa di essere protetto/a dagli altri e l’idea che la futura vittimizzazione sia inevitabile.
Danni funzionali: Danneggiamento in alcune o in tutte le aree di vita del bambino/a, compresa la scuola, le amicizie, le relazioni familiari e il rapporto con l’autorità/la legge.
Dovrebbe essere maggiormente approfondito, a livello di ricerca scientifica, lo spettro della disregolazione emotiva nei bambini esposti a violenza interpersonale ed a negligenza nell’accudimento. Solo così sarebbe possibile identificare più specificatamente la natura delle interazioni abusive o di trascuratezza ed ottenere delle prove più attendibili per tempestivi interventi terapeutici durante l’infanzia.

DANNO NEUROBIOLOGICO, CAMBIAMENTI STRUTTURALI E FUNZIONALI ASSOCIATI AD ABUSO EMOTIVO CRONICO E NEGLECT NELL’INFANZIA
Grazie alle sofisticate tecniche di brain imaging, è ora possibile portare alla luce e rendere visibili i drammatici effetti dei fantasmi dell’infanzia che troppo volte restano rimossi e sconosciuti persino alle stesse vittime.
Problematiche legate ad un mancato accudimento (neglect), traumi o esperienze di abuso emotivo alterano i processi di integrazione tra corteccia cerebrale e sistema limbico (amigdale, ippocampo, ipotalamo) e le connessioni fra emisfero destro e sinistro. Gli effetti sul cervello possono essere ugualmente devastanti rispetto a quanto accade nelle altre forme di abuso (fisico e sessuale).
Alterata connettività funzionale
E’ stato dimostrato che maltrattamenti emotivi nell’infanzia (CEM) producono effetti sulla connettività funzionale in stato di riposo (RFSC), nell’area del sistema limbico e sui sistemi di connessione neurali. Le regioni che evidenziano anormale connettività funzionale sono quelle deputate alle operazioni di codifica e di recupero della memoria episodica e alle operazioni di self- processing (Van Der Werff, 2013)
Attivazione cronica delle amigdale conseguente allo stress: effetti a lungo termine sulla memoria e ridotto volume dell’ippocampo nei casi severi
Stress continuativi hanno effetti sui neuroni delle amigdale sia perché direttamente collegate con altre aree cerebrali coinvolte nella produzione di ormoni dello stress sia perché coinvolte nei processi di consolidamento delle informazioni apprese e di recupero dei ricordi. Purtroppo lo stress impatta negativamente, determinando da una parte l’immagazzinamento a lungo termine degli eventi che risvegliano particolari emozioni (anche negative) e, dall’altra parte, il recupero limitato delle informazioni da utilizzare nella memoria di lavoro per effetto dell’ansia. (Roozendal, 2009)
Inoltre la produzione di cortisolo e di adrenalina, secreta per mesi o anni, può comportare risposte di aumento della pressione sanguigna, mentre l’ippocampo può essere danneggiato in tali situazioni di stress cronico (Goleman, 1995).Tutte le risposte maladattive rispondono alla Regola di Hebb, secondo il quale i neuroni che si attivano insieme la prima volta, si riattiveranno sempre insieme di fronte a determinati stimoli, dato che viene conservata nel tempo la memoria dell’evento traumatico. (Hebb, 1949)
Schemi rigidi di risposte comportamentali dovuti a stress durante l’infanzia
M.A. Teicher et al. (2003) considerano le alterazioni nel neurosviluppo come un percorso di crescita adattivo/alternativo dell’individuo.
Le modificazioni neurobiologiche, avvenute in conseguenza dello stress e in sintonia con la natura dell’esperienza traumatica durante gli stadi sensibili (precoci Esperienze Infantili Avverse = ACE), sono considerate necessarie per consentire l’adattamento ad alti livelli di stress o di deprivazione nel lungo periodo: servono a mobilitare intense reazioni di attacco-fuga per sopravvivere. Purtroppo tali reazioni diventano sproporzionate in altri ambienti più benevoli, creano disadattamento ed incidono negativamente sui legami di attaccamento che la persona tenderà ad instaurare nella vita adulta.
Secondo una recente ricerca svolta da E.C. Dunn et al. (2018), il periodo più a rischio per lo sviluppo di disregolazione emotiva è la media infanzia (6-10 anni).
Alterazioni nel tracciato EEG dell’emisfero sinistro conseguenti all’abuso emotivo
In un campione di 115 pazienti di un Ospedale Psichiatrico statunitense, che accoglieva bambini e adolescenti vittime di abusi fisici, sessuali ed emotivi, furono rilevati tracciati EEG anormali, a livello dell’emisfero sinistro, nel 43% di coloro che avevano subito un abuso psicologico. Il deficit dell’emisfero sinistro era otto volte superiore rispetto a quello dell’emisfero destro nei test neuropsicologici.(Ito et al., 1993)
Inibizione della crescita del cervello e del volume cerebrale conseguente al neglect (Figura 1)




Figura 1. Sviluppo anormale del cervello conseguente al neglect (Perry. 1994, 2002). Queste immagini, attraverso CT scan, illustrano l’impatto negativo del neglect sullo sviluppo del cervello. L’immagine a destra illustra la condizione di un bimbo di 3 anni che ha avuto deprivazione sensoriale severa in seguito a neglect. Il cervello è significativamente più piccolo del normale ed evidenzia ampliamento dei ventricoli ed atrofia della circonferenza fronto/occipitale (FOC), come segnale di un anormale crescita del cervello. La atrofia corticale è riscontrabile soprattutto nelle persone che soffrono di Malattia di Alzheimer.





B.D. Perry ha anche evidenziato come le persone vittime di neglect possano essere predisposte a ricercare relazioni disfunzionali nella vita adulta, soprattutto essere orientate a diventare dipendenti da una persona oppure finire per isolarsi con il passare del tempo.

Secondo M.Mancia (1994, 2003), le esperienze di trascuratezza, di abuso emotivo e di stress non possono essere elaborate dall’emisfero sinistro, quando non sufficientemente sviluppato, e, pertanto, vengono immagazzinate in un contenuto non cognitivo che si esprime unicamente a livello di vissuti viscerali o di azioni automatiche. La memoria delle amigdale e della corteccia orbito/frontale dell’emisfero destro, collegata ad avvenimenti dolorosi, andrà a far parte della memoria implicita atemporale, pre-simbolica e pre-verbale, ossia l’inconscio non rimosso (Mancia, 1994, 2003); il sovraccarico emotivo non adeguatamente elaborato o espresso rimarrà custodito nella memoria inconscia non rimossa e potrà essere scaricato mediante un disturbo del comportamento alimentare. Poiché la corteccia prefrontale non è in grado di controllare gli impulsi che provengono dalle amigdale, i ricordi negativi inseriti nella memoria implicita, non contestualizzati dall’ippocampo, vengono continuamente risollecitati in corrispondenza di particolari stimoli interni o esterni, così la persona vive costantemente in uno stato di allerta senza conoscerne il motivo.

MANIPOLAZIONE PSICOLOGICA, COME FORMA DI ABUSO EMOTIVO INFANTILE, NELLA FAMIGLIA DI ORIGINE
La manipolazione psicologica rappresenta la forma più sottile e più pericolosa di abuso psicologico perché difficile da identificare, in quanto si tratta di una modalità comunicativa complessa, orientata a distruggere progressivamente il rapporto fra il bambino e la propria identità psicofisica nell’età evolutiva.
Attraverso l’alternanza di comportamenti manipolativi e neglect, il genitore ottiene di far comportare il figlio in modo che arrivi a negare i propri bisogni ead oltrepassare i propri confini psicologici. La bambina, in particolare, si sente vulnerabile e priva di difese, anche a causa della sottile componente seduttiva dei messaggi inviati che rende difficile l’interpretazione della natura comunicativa incongruente.
Così fra genitore e figli si instaurano forme durevoli di attaccamento perverso, resistenti a qualsiasi possibilità di rottura.

MANIPOLAZIONE PSICOLOGICA E CONSEGUENZESULL’ALIMENTAZIONE
Nel 1993, la Psicologa statunitense J. Goldberg, nella sua opera “The dark side of love”, considera le tendenze autoaggressive come una forma di reazione alla manipolazione psicologica messa in atto sistematicamente da parte di uno o di entrambi i genitori.
L’azione manipolativa genitoriale si svolge in tre tempi, in modo ripetitivo e continuativo:
-Viene suscitata intenzionalmente rabbia nel bambino/a attraverso il diniego alle richieste di ascolto e di amore che vengono frustrate;
-Viene impedita l’espressione dell’aggressività, determinata dalla frustrazione, attraverso il linguaggio verbale oppure attraverso il linguaggio non verbale (sguardi, espressioni del viso, pianto), con la paralisi di qualsiasi forma di protesta emotiva(come si narra nel Mito di Medusa).
-Vengono inevitabilmente favorite reazioni depressive e auto-aggressive, in particolare nella bambina,meno incline a protestare e a ribellarsi apertamente, mediante lo spostamento dell’ostilità, indirizzata originariamente al genitore o ai genitori, contro se stessa e contro il proprio corpo.
La “invalidazione emotiva”è il vero focus del problema: chi subisce abuso emotivo percepisce la propria condizione psicologica minimizzata o trattata con indifferenza e, pertanto, è anche vittima di neglect.
All’azione manipolativa si aggiunge il tentativo del genitore di condividere con il figlio/la figlia una condizione di gioia che egli/ella non possiede oppure di negare il fatto che il bambino/la bambina possa sentirsi ferita o umiliata. Viene a mancare la capacità di comprendere il senso dello stile comunicativo (ad esempio, il bambino/a non arriva a capire che il modo di esprimersi del caregiver dipende da specifici problemi psicologici che lo affliggono).
La conseguenza inevitabile, come effetto dei segnali incongruenti del genitore manipolatore, è che la vittima impari a non prestare fiducia alle proprie reazioni agli eventi, a non identificare o a non etichettare i propri stati emotivi sulla base della propria esperienza interiore (pensieri, vissuti corporei fisiologici e propriocettivi), ma sia costretta a cercare nell’ambiente un suggerimento (ad es, nelle espressioni facciali del genitore), per fornire una risposta appropriata.
Recenti studi di B. Van der Kolk (2013), R.A. Lanius (2010) e G. Liotti (2011) confermano il fatto che la dissociazione dalle emozioni personali, non integrabili all’interno della vita psichica, potrebbe estendersi allo schema e all’immagine corporea, alla capacità di riflettere sugli stati mentali propri e altrui. Pertanto la dissociazione rappresenta“una fuga quando non esiste via di fuga”.
Le dinamiche familiari improntate all’abuso emotivo possono avere esiti profondamente diversi nelle relazioni sentimentali durante la vita adulta:
-il figlio/figlia Narcisista potrà identificarsi nella figura genitoriale maltrattante e restituire al partner/alla partner il trattamento subito (identificazione con l’aggressore), attraverso un ruolo attivo di manipolatore/manipolatrice, in grado di eliminare la percezione del proprio Io debole, compensare un passato doloroso ed evitare di coinvolgersi nei propri vissuti emotivi.
-Il figlio/figlia Vittima, invece, potrà subire la manipolazione del/della Narcisista senza riuscire a capire di essere stato/a oggetto di manipolazione, senza poter smontare il meccanismo, proprio come accaduto durante l’infanzia con un genitore, con gravi rischi di agire comportamenti autoaggressivi per la tendenza ad utilizzare il meccanismo difensivo della “coazione a ripetere”.
La inclinazione a farsi del male, anche come conseguenza dell’ “invalidazione emotiva” e del divieto parentale ad esprimere apertamente le emozioni, può quindi assumere le caratteristiche della risposta anoressica, particolarmente in alcune bambine, ed innescare una forma di progressiva autodistruzione del corpo, fino a farlo diventare diafano.
La anoressica ha paura di essere metaforicamente inghiottita (per questo, non riesce ad inghiottire) e non sa come difendersi.
Secondo una recente ricerca svolta dal Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova (Ceschin et al.,2008), su un campione di 612 soggetti con DCA (Disturbo del Comportamento Alimentare),le pazienti con Anoressia nervosa di tipo restrittivo percepiscono mediamente i genitori predisposti ad un alto accudimento e ad una bassa protezione.

A.M. Speranza, nella sua ricerca, mette in evidenza come alcuni eventi traumatici possano aver caratterizzato la vita delle pazienti con disturbi alimentari: il 7,7% aveva subito più di un evento traumatico, mentre in una percentuale abbastanza significativa del campione studiato (5,6%) venivano riportate esperienze di abuso, molestie, maltrattamenti.

E’ evidente come numerosi casi di anoressia dovrebbero essere diagnosticati non solo come DCA, ma anche come precoce DTS (Disturbo Traumatico dello Sviluppo).

ANORESSIA NERVOSA E DTS
E’ stata indagata l’importanza dell’abuso emotivo e del neglect nei disturbi dell’alimentazione (Vajda, 2013). Secondo A. Espina (2003) e J. Hayaki (2009), il rifiuto del cibo nell’anoressia nervosa è il primo comportamento di evitamento che svolge una funzione difensiva contro il ricordo di esperienze emotive negative; si tratta di un sistema atto ad allontanare, bloccare o rimuovere le inaccettabili memorie cariche di sofferenza.
Il corpo negato all’interno della famiglia perde progressivamente il contatto con le proprie sensazioni: l’anoressica impara ad anestetizzare il corpo, sopprimendo il bisogno di nutrimento. Distruggere il corpo diventa un modo per distruggere qualcosa che fa sentire inadeguati e rifiutati, per scomparire sempre più.
Il corpo serve ad inscenare la condizione emotiva ed esistenziale, a sfondo depressivo, della anoressica. Un corpo diafano, fragile come cristallo che possa esprimere la sofferenza profonda e suscitare negli altri almeno uno sguardo compassionevole.
Attraverso la diafanizzazione del corpo, l’anoressica si rende trasparente e lascia emergere solamente l’Altro, il genitore, come Altro dominante, lasciando che questi diventi sempre più protagonista grandioso della scena familiare. Questa modalità rappresenta una forma di difesa rispetto ai maltrattamenti psicologici, in quanto la bambina ricerca l’invisibilità per evitare di essere sottoposta a manipolazione. Si tratta di una risposta di tipo evoluzionistico che consiste nel trasformare se stessa in un “bersaglio” minuscolo e, conseguentemente, meno visibile e che però ha lo svantaggio di ridurre la bambina ad uno stato di “immobilità” (freezing).
Il sintomo anoressico può essere, quindi, simultaneamente utilizzato come difesa interpersonale, come strategia di coping per reprimere il ricordo del trauma, ossia inscrivendo il trauma nel corpo, e come strategia di risoluzione della problematica relazionale. Da questa variegata condizione viene a crearsi uno stato di progressiva dipendenza affettiva e psicologica, dovuta alla passività e al freezing.
All’interno del contesto familiare l’anoressica ricava un unico vantaggio: garantirsi una sopravvivenza accettabile senza dare disturbo, per essere dimenticata,per essere lasciata stare (la magrezza è un appello ai genitori attraverso il corpo: “LET ME BE”, lasciatemi stare), con lo svantaggio inevitabile di perpetuare la propria condizione di sudditanza e di sottomissione nelle relazioni familiari e nelle storie d’amore successive. Infatti solo poche ragazze riescono ad orientarsi precocemente verso un partner affettuoso e protettivo.
Poiché si tratta di un “trauma interpersonale”, la probabilità che permanga o si ripeta anche in nuovi e diversi contesti (ritraumatizzazione), in particolare nelle relazioni sentimentali con partner disfunzionali, è veramente elevata e deve essere seriamente tenuta in considerazione.

FORZA DI ATTRAZIONE NELLA COPPIA NARCISISTA/ANORESSICA
La fascinazione nei confronti di un partner narcisista, da parte della anoressica, è legata alle condizioni di abuso psicologico subito nell’infanzia, la cui forza di attrazione risiede proprio nella somiglianza del partner al genitore emotivamente maltrattante, a causa della parziale comprensione delle dinamiche patologiche nelle quali la donna si è trovata invischiata. Invece il narcisista, il quale, a sua volta ha subito lo stesso trattamento in famiglia da una delle figure genitoriali, può restituire alla partner la frustrazione del bisogno di amore alla quale egli stesso è stato sottoposto, svolgendo, come azione di rivincita, un ruolo attivo che elimini la percezione del proprio Io debole.
Inoltre l’uomo vuole vedere incarnato nel corpo magro della compagna il proprio ideale di bellezza femminile, al quale attribuisce molta importanza.
Così nella nuova relazione disfunzionale, la donna tenderà a creare un’immagine estetica di se stessa il più possibile perfetta, per ottenere tutto quello che le è mancato precedentemente, cioè calore ed empatia. Tali necessità psicologiche della partner, per il narcisista a caccia di imperfezioni, sono debolezze da frustrare e da considerare come aspetti vulnerabili sui quali infierire per mantenere un potere, per primeggiare e dimostrare la propria incontrastabile superiorità nella coppia.
La reazione più comune alla frustrazione di un bisogno è l’aggressività che sarà diretta dalla vittima contro se stessa. Così il capro espiatorio diventa ancora una volta il corpo, bersaglio di tendenze autodistruttive che riattivano l’anoressia, già sperimentata durante l’infanzia nella relazione parentale. Inizia (o meglio ricomincia) la progressiva restrizione di cibo che procede di pari passo con l’inevitabile peggioramento della relazione la quale tende ad assomigliare sempre più al rapporto instaurato con uno oppure con entrambi i genitori nell’infanzia.
E’ da sottolineare la presenza di tratti narcisistici, dei quali soffre anche l’anoressica,che si esprimono prevalentemente nella altissima soglia di tolleranza del clima di maltrattamento psicologico, considerata, dalla stessa,una abilità superiore rispetto a quella di molte altre persone, e nella ostinata tendenza a rimanere nel rapporto di coppia ad ogni costo, giustificata dalla convinzione di meritarsi un amore incondizionato che, prima o poi, le verrà sicuramente elargito dal partner.
Secondo J. Goldberg, “Quando il sé psichico - dal quale derivano pensieri e sentimenti, impulsi e desideri - è sacrificato, la mente è potenzialmente anestetizzata e i pensieri e i sentimenti sono rimossi dalla coscienza, la difesa narcisistica ha il vantaggio di proteggere qualsiasi persona amata dalla propria rabbia, ma ha il terribile svantaggio di creare un capro espiatorio (il corpo) fuori dalla propria consapevolezza”.
Spesso la duplice immagine di partner affettivo/persecutore è scissa: è difficile riuscire ad integrare le due facce della stessa medaglia. L’anoressica si trova a dover affrontare il paradosso di appagare le proprie esigenze compresenti e antitetiche di vicinanza e di evitamento, in quanto il partner è percepito simultaneamente sia come porto ospitale sia come fonte di pericolo: se la donna si allontana dalla sorgente minacciosa sente immediatamente il desiderio di tornare verso la base apparentemente sicura. Hesse e Main (2006)hanno coniato l’espressione "paura senza soluzione" per descrivere questo paradosso.
Il rapporto viene mantenuto soprattutto quando, a dispetto delle credenze, evidenzia le caratteristiche della non reciprocità perché l’anoressica ha conosciuto l’amore solo in questa dimensione e si è abituata progressivamente a guardare il mondo con gli occhi della persona dalla quale viene manipolata, rinunciando alla propria visione autonoma della vita.
Da qui la necessità di trattare terapeuticamente la partner anoressica di un narcisista, formulando la diagnosi di DTS/PTSD anche mentre la relazione è in atto, non solo dopo la rottura del rapporto, perché si tratta di una condizione traumatica antecedente al rapporto che viene rimessa in scena (ritraumatizzazione).
Tale condizione di dipendenza è spesso recidivante: finita una storia sentimentale, l’anoressica tende a ricadere nella scelta di un nuovo partner con caratteristiche narcisistiche (ritraumatizzazione ripetuta), così viene a determinarsi una condizione di abuso emotivo cronico.

TRIGGER ED ABUSO EMOTIVO CRONICO
Nella attuale concezione della psicopatologia post-traumatica si sottolinea il fatto che le memorie degli eventi avversi non vengono integrate per un difetto di registrazione e per la loro separazione dal flusso abituale della coscienza, come difesa dal trauma e come conseguenza del trauma stesso. Questa condizione determina una difficoltà nel recupero dei ricordi, dato che le immagini immagazzinate si trovano al margine della coscienza. Tuttavia alcuni stimoli interni o esterni possono determinare il ritorno improvviso di ansia e di “frames” emotivamente difficili da sopportare. La loro evocazione avviene automaticamente ed è fuori controllo.
“Trigger” è il grilletto metaforico che scatta di fronte a determinati stimoli in grado di agire come fattori scatenanti e di risollevare un ricordo traumatico e un dolore già provati durante l’infanzia. Il narcisista stesso funziona come agente per il“trigger”, andando a risvegliare nell’anoressica tracce dell’abuso emotivo infantile, attraverso vere e proprie modalità di “effrazione psichica”.
L’effetto è dirompente perché la sofferenza lontana si unisce a quella provata nel presente, anche a causa della memoria stato-dipendente: la memoria traumatica non viene completamente recuperata e l’anoressica si limita ad agire, attraverso i sintomi, il dolore anziché a mentalizzarlo, a re-inscenare continuamente, mediante il disgusto per il cibo, il corpo diafano dell’infanzia abusata.

PSICOTERAPIA DELL’ABUSO EMOTIVO CRONICO E DELL’ANORESSIA NERVOSA
Il “trigger” evocatore di ricordi traumatici, in realtà,potrebbe rappresentare un efficace indicatore in grado di orientare la cura verso la strada da percorrere per conoscere, per sapere cosa è veramente accaduto.
Occorre trattare le anoressiche che hanno o che hanno avuto relazioni con partner narcisisti come pazienti ritraumatizzate (e non solo traumatizzate) e, mediante il lavoro terapeutico, ricostruire la base dell’affettività che è mancata, mirando ad una sicurezza relazionale che potrà aiutare a ricercare, in futuro, un altro genere di partner. Per ottenere esiti positivi occorre smontare il meccanismo della manipolazione, analizzando gli stili comunicativi che hanno contraddistinto dapprima le relazioni con le figure parentali e, successivamente, i rapporti con gli uomini.
Molte pazienti traumatizzate hanno una grande paura di riappropriarsi del corpo, in quanto la memoria del trauma, inscritta nel corpo stesso, è parte integrante dell’anoressia: togliere i sintomi significa abbandonare una difesa che ha sempre garantito dei confini fra se stesse e gli altri e favorito la sopravvivenza.
Infine la paura di perdere la relazione con il narcisista, paradossalmente considerata vitale, determina in molti casi l’abbandono precoce della psicoterapia, spesso sotto l’influenza del partner stesso che usa l’arma dell’abbandono per ricattare la anoressica ed ostacolarne il temuto processo di empowerment relazionale.

PSICOTERAPIE AD INDIRIZZO PSICOANALITICO
Grazie alla presenza dello psicoanalista, si innesca un processo che progressivamente favorisce l’evocazione di numerosi ricordi del passato sotto forma di fotogrammi, come una ferita infetta che si riapre. Si può utilizzare quanto riemerso(angosce, emozioni) a fini curativi, mediante l’attribuzione di un senso e di un significato diversi rispetto a quanto sta accadendo, per rafforzare il desiderio di uscita dall’empasse della manipolazione.
Secondo S. Ferenczi, solo l’approccio legato al concetto di “Maternage” risulta efficace per riparare le ferite. L’Autore chiama “Orpha” l’Archetipo che, nei casi di abuso, sostiene la vittima, creando il sintomo per evitare la follia o, nei casi estremi, la morte. Orpha rappresenta la figura soccorritrice dei bimbi abusati. “Nell’estremo bisogno, scrive Ferenczi, nasce in noi un angelo custode che utilizza le nostre forze fisiche in modo migliore di quanto siamo in grado di fare noi nella vita ordinaria” (Ferenczi 1932). “…”È formato da frammenti della personalità psichica, da frammenti dell’affetto di autoconservazione” (ibid., 1932).
Tale immagine protettiva si materializza, successivamente, nella cura attraverso la figura dello Psicoanalista che cercherà, durante le sedute, di bilanciare il mondo intersoggettivo/interpersonale fra se stesso e la paziente, separando il trauma reale dalle fantasie patologiche.
Mediante il lavoro terapeutico occorre ricostruire la base dell’affettività, aiutando la persona a riparare le ferite lasciate dall’abuso con la ricerca di rapporti emotivamente teneri e caldi nella quotidianità e di luoghi pacificati di riposo e di ristoro, per gustare la bellezza dell’esperienza psicologica e fisica di esistere.
La Psicoterapia, in questa ottica, assume le caratteristiche di riscatto personale: occorre riscrivere nuove regole, nuovi stili esistenziali nel futuro che verrà. J. Goldberg afferma che una efficace psicoterapia dovrebbe favorire la costruzione di un “sistema immunitario psicologico” da potenziare, per cercare di evitare la possibile fascinazione rispetto ad un nuovo narcisista.

PSICOTERAPIE AD INDIRIZZO COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Secondo la recente Psicotraumatologia, per rendere efficace il lavoro terapeutico, occorre che il livello emotivo, il livello cognitivo e il livello sensoriale-corporeo lavorino in modo integrato, allo scopo di favorire, grazie alla plasticità, la stabilizzazione di nuovi circuiti neurali poiché i precedenti, determinati dal trauma infantile, sono disfunzionali e vengono costantemente riattivati nella relazione con il narcisista.
L’approccio cognitivo-comportamentale di Waller (2007) considera come focus del trattamento dei DCA l’accettabilità delle emozioni personali e la possibilità di superare le difficoltà attraverso un rafforzamento dell’Io e un miglioramento dell’alimentazione, del peso e della immagine corporea.
Tale approccio comprende elementi di psico educazione, esposizione in immaginazione o mediante narrativa scritta, ristrutturazione di insiemi di schemi disfunzionali di risposta di fronte a determinati stimoli, riformulazione dei pensieri e delle emozioni.
Schema Therapy e Imaginery Rescripting
Nello Schema Therapy di J. Young (2004), indicato anche per i DCA, viene approfondita l’analisi di schemi maladattivi precoci (Mode), intesi come insieme di ricordi pensieri, emozioni e sensazioni,appresi durante l’infanzia a contatto con Genitori maltrattanti.
Nel caso della paziente anoressica,che da bambina ha subito abuso emotivo, ad ogni schema disfunzionale corrisponde una specifica credenza:

SCHEMI DISFUNZIONALI CREDENZE
Abbandono                                      Le persona con questo schema è convinta che gli individui significativi se ne andranno, volontariamente o per morte.
Deprivazione emotiva                    La persona che ha questo schema pensa che nessuna le voglia bene e che il suo bisogno di essere amata non verrà mai soddisfatto.
Dipendenza                                     La persona pensa di non essere in grado di affrontare da sola le difficoltà e i problemi senza un considerevole supporto da parte degli altri.
Sottomissione                                La persona tende ad anteporre i bisogni altrui ai propri bisogni per paura di essere punita qualora non si adegui all’Altro.
Nella vita adulta, di fronte a determinati stimoli, si riproducono automaticamente i medesimi schemi disfunzionali che innescano, in base alle credenze, determinati stili di coping. L’obiettivo della Schema Therapy , quindi,sarà quello di correggere e di trasformare uno schema maladattivo in uno schema più adeguato, con l’intento di facilitare anche l‘apprendimento di nuove strategie di adattamento e di stili di coping più funzionali. La Imaginery Rescripting comporta la rivisitazione dei ricordi traumatici ad occhi chiusi con l’aiuto del terapeuta, al fine di modificare il finale degli eventi (da negativo a positivo) ed ottenere una ristrutturazione cognitiva dei pensieri e delle emozioni (come la rivalutazione delle credenze relative alla percezione di pericolo).

Terapia narrativa(NET)
La NET (Narrative Exposure Therapy) (Elbert e Schauer, 2002), é un trattamento breve basato sulla teoria della rappresentazione dei ricordi traumatici, con un focus sulla concettualizzazione di elementi associati al circuito della paura di matrice sensoriale ed affettiva.
La terapia narrativa è basata sul processamento delle memorie traumatiche attraverso l’approccio dello storytelling, per controllare le proprie emozioni ed attribuire un nuovo significato agli eventi penosi. La paziente è incoraggiata a raccontare, immaginando la narrazione come un insieme di capitoli con un inizio e con una fine. L’analogia con l’autobiografia è sottolineata per far capire all’anoressica come il trauma rappresenti unicamente una parte dei numerosi momenti della vita di una persona e come sia possibile immaginare di vivere diversamente il tempo che resta perché il futuro non deve per forza assomigliare al passato.

PSICOTERAPIE CORPOREE A SFONDO IMMAGINATIVO
Le psicoterapie corporee, basate sul rilassamento psicofisico, servono all’anoressica per imparare a gestire l’ansia, a rimettere in gioco le emozioni e il contatto con le proprie parti emotive. Occorre ricostruire una mappa interna del corpo, recuperando il funzionamento neurofisiologico che esisteva prima del trauma, perché il cervello non dimentica le funzioni che ha svolto un tempo, neppure dopo tanti anni.

Training Autogeno e visualizzazioni guidate
Il Training Autogeno di J. Schultz (1932) funziona come tecnica di riduzione di ansia e stress, utile ad alleviare i sintomi del DTSe a supportare la paziente nell’acquisizione di maggiore capacità di controllo sulla reattività fisiologica di fronte a stimoli interni o esterni.
Mediante le visualizzazioni guidate, in stato di rilassamento autogeno,è possibile indurre uno stato di benessere profondo che aiuta la paziente a staccarsi da esperienze negative, alla ricerca di territori inesplorati del proprio mondo interiore.
Sono molto indicate le immagini dell’acqua e dei paesaggi dell’anima come luoghi di silenzio e di pace dove ritrovare finalmente la propria dimensione e recuperare bisogni lontani da soddisfare, sentimenti ed energie nuove da destinare unicamente a se stessa ed alla propria guarigione

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