Martedi, 10/03/2020 - Ancora oggi viviamo le mestruazioni come qualcosa da patire, angustiante, persino traumatico. Un momento fondamentale per le bambine, poi donne, si vive come un castigo. Lo stigma sociale sul corpo che sanguina condiziona il rapporto fra la donna e il suo funzionamento naturale. Le esperienze soggettive in relazione a femminilità, maternità e sesso influiscono a loro volta sul ciclo mestruale.
Fra le nuove generazioni, qualcuna ha avuto una spiegazione adeguata su quello che succede al corpo femminile, magari grazie a madri che avevano loro stesse sofferto una disinformazione ancora maggiore. Come sosteneva Marie Langer, una psicoanalista pioniera negli studi sulle donne, reagire positivamente alla prima mestruazione sarebbe un indizio positivo di accettazione del proprio sesso, un evento che andrebbe festeggiato.
Al contrario sono tuttora molte le donne che reagiscono negativamente al ciclo mestruale. Sentono vergogna per il sangue e rifiuto per gli sbalzi ormonali, emozionali e fisici. In certi casi l’odio verso sé stesse arriva addirittura alla voglia di strapparsi le ovaie per evitare contrazioni dolorose. Sono retaggi di concezioni che fino al secolo scorso si davano per scontate, come il fatto che il sangue mestruale fosse “sporco”, pieno di tossine, qualcosa da cui stare alla larga. Certe idee sono oggi rifiutate, ma perdura una svalorizzazione del ciclo femminile.
Il menarca costituisce l’inizio della medicalizzazione della vita sessuale delle donne. Ormai siamo abituate a prendere analgesici che zittiscono il dolore e anticoncezionali che regolano o bloccano il flusso. Così pratiche pensate per casi eccezionali sono diventate la normalità. I preconcetti patologizzano un processo naturale e spontaneo del corpo.
Anche i prodotti cosiddetti igienici hanno effetti negativi sul corpo delle donne. Assorbenti con additivi sintetici, tamponi non certificati, biancheria intima piena di tinture, saponi dai mille profumi: non c’è una regolamentazione sicura sulla loro tossicità e su come interagiscono con i genitali. Solo pochissime associazioni di donne hanno indagato sull’argomento e hanno trovato prove degli effetti negativi sul sistema endocrino. Ma il sistema di produzione e consumo patriarcale abusa dell’insicurezza e della vergogna di noi donne. Da un’indagine realizzata intervistando 2000 donne spagnole è emerso che il 49% di loro si è sentita violentata durante una visita ginecologica. Tutte le altre avevano comunque vissuto situazioni spiacevoli e scomode.
Il tabù mestruale, come lo chiamano gli antropologi, è ancora ben presente nella società attuale. Ancora ci sono donne che abbassano la voce o mantengono in segreto le loro mestruazioni. Eppure, fin dall’antichità le donne avevano l’abitudine di riunirsi per confrontarsi durante il periodo mestruale. A volte la Luna, con il suo ciclo, dava risposte alle domande che sembravano non averne. I Maori della Nuova Zelanda, per esempio, non distinguevano fra il ciclo lunare e quello mestruale. In molte lingue antiche le parole per luna e mestruazioni hanno la stessa radice, mentre comunità native dell’America del Nord spargevano il sangue mestruale nei campi coltivati perché lo ritenevano una fonte di fertilità. Oggi alcune di queste pratiche vengono riscoperte, come per il movimento “red tent”, tenda rossa, dove gruppi di donne si accompagnano a mestruare in sincrono.
É un tentativo di riconnettersi a ció che ha sempre costituito la forza e la sacralità della donna e che, paradossalmente ha finito per separarla e sottometterla.
Per secoli le donne con il ciclo venivano isolate, separate dalla comunità. Freud ha interpretato la paura degli uomini per le mestruazioni al terrore alla minaccia dei genitali castrati e sanguinanti: per questo le donne venivano scacciate e demonizzate. Ci sono esempi di questo tipo in culture di tutti i continenti. Per gli eschimesi, per esempio, la donna durante le mestruazioni era considerata pericolosamente contagiosa. Fra i Macuis della Guyana, le donne con il ciclo erano considerate impure. E ancora oggi, in alcuni paesi come il Nepal, si isolano le bambine che hanno le loro prime mestruazioni.
In tutto il mondo, pesano sul corpo delle donne secoli di traumi, dolore e oppressione. Il diritto sul proprio corpo è anche un diritto all’informazione e all’intimità. Mettere in discussione il tabù significa molto più che capirlo, vuole dire prendere coscienza e soggettivare la salute sessuale e riproduttiva. Significa rimettere in discussione qualsiasi pensiero o emozione riguardo la natura del corpo femminile. Ogni donna deve ripensare e demistificare quello che sa sulle sue mestruazioni. Abbiamo bisogno di abbandonare la visione medico-patologica e recuperare una visione delle mestruazioni, e di tutto il nostro corpo, più naturale e meno normalizzante. Riappropriarci della nostra naturalità ci darà più libertà.
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