Casa delle Donne di Terni: non chiudete il luogo dei saperi. Dialogo con Maria Livia Alga
In attesa di conoscere la sorte per lo spazio femminista, l’assessore Ceccotti fornisce dettagli burocratici e l'etnologa Maria Livia Alga parla di saperi radicati, di cura, dell'importanza degli spazi politici
Venerdi, 03/03/2023 - È Marzo. Mese che, stando a quanto ci riferisce l’assessore Cristiano Ceccotti, sarà di decisioni rilevanti per la sorte della Casa delle Donne di Terni.
Ceccotti, nel suo incontro onorato con grande puntualità, ci ha spiegato quali sono le dinamiche burocratiche che sottostanno a quella che ha definito come una necessità:
“Siamo tenuti ad improntare una procedura di evidenza pubblica” ha detto.
Lo ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato. E dei numerosi dettagli tecnico - burocratici che ci ha fornito.
Condividere è allora la migliore delle cose che possiamo fare al momento, per trasferire quale sia l’alto valore sociale e interculturale di uno spazio femminista, come per esempio la Casa delle Donne di Terni.
Abbiamo parlato di questo con Maria Livia Alga, etnografa del Dipartimento di Scienze Umane all’Università di Verona, curatrice del Laboratorio di ricerca partecipata Saperi situati e autrice insieme a Rosanna Cima di "Allargare il cerchio. Pratiche per una comune umanità" (Progedit).
“La parola centrale è sapere. Le donne hanno dei saperi radicati: i saperi delle donne sono nel corpo, nell’esperienza, nel quotidiano, nella cura. Le donne hanno un grande sapere inerente la cura di sé, la cura degli altri e la cura degli spazi, siano essi privati o pubblici. La Casa delle Donne è proprio il simbolo di questa cura dello spazio pubblico. È uno spazio politico in cui i saperi agiscono, il luogo in cui le donne li mettono in circolo nello spazio pubblico. Qualcosa di irrinunciabile”. Irrinunciabile significa anche che non può essere sostituito da professionalità tout court. Il sapere che viene dalla vita, dal vissuto dalla rete di esperienza rende pulsante un tessuto di condivisione che avvolge la società proteggendola.
Dall’indifferenza, su tutto.
“Una donna che ha fatto un percorso su di sé è una donna che ha sviluppato un sapere. I saperi delle donne sono talmente preziosi che non sarà una aumentata professionalizzazione a rendere il servizio più efficiente” sottolinea Maria Livia.
La presa in carico e la gestione di una situazione critica si nutrono, tra le altre cose, di sapere esperienziale. Tendere all’esclusività della professionalizzazione dei servizi rischia di fare a meno di quell’approccio femminista patrimonio di sintonia, di mutualità. Di amore.
“Un altro punto saliente che caratterizza il valore delle Case è quello dell’intergenerazionalità, sono luoghi in cui si tramanda di generazione in generazione, in un virtuoso processo osmotico, un grande bagaglio di sapienza. E non ci sono altri spazi che eguagliano tale espressione. In un contesto peraltro in cui altre agenzie educative sono molto in difficoltà. Nei luoghi delle donne si costruiscono delle relazioni simboliche non basate sul sangue o sulla gerarchia. Questo fa civiltà, c’è poco da dire”.
E la componente interculturale: la questione del conflitto sociale, il conflitto sociale che c’è ed è diffuso e spesso, troppo spesso, di stampo razzista.
È un conflitto reale, da cui non si riesce ad uscire. L’opinione pubblica non riesce ad elaborare queste differenze.
Velo si, velo no? Islam sì, Islam no?
“Le case delle donne sono luoghi – approfondisce Maria Livia - dove queste divisioni nella società sono elaborate attraverso l’incontro nel quotidiano. Le donne in questi spazi non si incontrano necessariamente sui grandi temi della politica, si incontrano proprio nei saperi del quotidiano. C’è prospettiva, c’è amicizia politica: le donne basano la loro politica sull’amicizia e questo è davvero in grado di cambiare la società. C’è un’espressione chiave: mediazione vivente. Nelle case c’è la pratica della mediazione vivente, per posizionarmi rispetto ad una questione non mi appello a una teoria, ma costruisco relazioni vive e amicizia politica che ci consentono la reale comprensione del problema”.
Le case non creano fronti, vengono da una da una storia ben posizionata sì, quella femminista. Ma per costruire. Coltivano la sapienza quotidiana.
“Noi lo sperimentiamo tutti i giorni; - conclude Maria Livia, da vent’anni attivista del Centro Interculturale delle Donne del Comune di Verona - ci interessa costruire la mediazione vivente. Non vogliamo la città divisa. Dividersi è più facile. La questione è: a chi giova una città divisa? Perché eliminare un luogo che porta avanti la politica dell’incontro?”.
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