Andra e Margarita, Māra e Vizma: parole e versi da conoscere
LETTONIA - Un viaggio attraverso gli occhi delle scrittrici lettoni nella letteratura contemporanea
Cristina Carpinelli Domenica, 23/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2014
In Italia le scrittrici e poetesse lettoni sono ancora sconosciute. Tuttavia, negli ultimi anni, si comincia a parlare di loro grazie al sito “Baltica” (sez. biblioteca), che ospita alcune loro opere tradotte in lingua italiana.
Tra queste scrittrici va senz’altro menzionata Andra Manfelde, la più giovane. Nata nel 1973 a Kuldīga (Lettonia), ha vinto alcuni premi letterari (l’ultimo nel 2011) e ha pubblicato diversi libri. Particolarmente bello è il romanzo “Zemnīcas bērni”/”Bambini nelle terre di Siberia” (2010), dove emerge la potenza e la linearità della scrittura di Andra. Si tratta di un racconto sugli anni della deportazione in Siberia di Krispaps e Anna e dei loro sei piccoli figli. Il 25 marzo 1949, 43mila persone (bambini, donne, anziani, intere famiglie) furono deportate dalla Lettonia in Siberia dal regime sovietico. Nello stesso anno, dalla loro casa di Kalnieši (distretto di Valtaiķa, regione di Kurzeme nella Lettonia occidentale), anche i protagonisti del racconto, Kristaps Emīls Manfelds, Anna e le loro figlie, Irena, Lidija e Malda, furono deportati in Siberia, precisamente nel distretto di Omsk (pianura della Siberia occidentale, poco lontano dalla frontiera col Kazakistan). Durante la deportazione nacquero altri tre figli: Karlis, Andris e Ilga. Fecero ritorno a casa sette anni dopo. Purtroppo non esiste una traduzione italiana del libro, tuttavia, alcuni suoi capitoli (tradotti da Paolo Pantaleo) sono disponibili nel sito “Baltica” (sez. biblioteca). Da segnalare dell’autrice anche il racconto autobiografico “Adata”/”L’ago” (2005), riadattato nel 2007 in libretto musicale per l’opera omonima rappresentata al Teatro Nazionale dell’Opera di Riga, e la raccolta di poesie “Betona svētnīcas”/”Santuari di cemento” (2008). Nel 2011 Andra Manfelde ha pubblicato “Ceļojums uz mēnesi”/“Viaggio sulla luna”, libro a metà strada fra poesia, narrazione di viaggio e romanzo, che ripercorre il giro compiuto dall’autrice fra Ventspils e Visby sull’isola svedese di Gottland, di fronte alla costa occidentale della Lettonia, dove la Manfelde vive. Un libro che conferma il suo talento poetico e narrativo.
Altra donna importante è Margarita Stāraste-Bordevīka, scrittrice e illustratrice di numerosi libri per bambini, fra i più amati in Lettonia. Nata nel 1914 a Vladimir in Russia, Margarita si considera una discendente livone di Cēsis, città della regione del Vidzeme in Lettonia. Dal 1992 al 2009 ha vissuto nei Paesi Bassi. Nella sua produzione si contano ben 20 raccolte di favole popolari. Una di queste, “Baltā trusīša ziemassvētki”/”Il Natale del coniglietto bianco”, contenuta nel libro “Ziemassvētku pasakas”/“Favole di natale” (ed. 1943) è disponibile in lingua italiana nel sito Baltica (sez. biblioteca; traduz. di Paolo Pantaleo). Le sue opere sono molto apprezzate in Europa. Il giovane regista lettone, Dace Riduze, prendendo spunto da una sua fiaba, “Zīļuks” (1969), ha prodotto un film d’animazione, che è stato proiettato al Festival Internazionale di Berlino nel 2011. Nel 1964 Margarita Stāraste-Bordevīka è entrata a far parte dell’Unione degli Artisti di Lettonia e, successivamente, sino al 1991, è stata membro dell’Unione degli Scrittori di Lettonia. Nel 1982 ha vinto il premio “Pastariņa” come migliore illustratrice del libro dell’anno e, infine, nel 1999 ha ottenuto l’Ordine delle Tre Stelle (la massima onorificenza lettone).
Anche Māra Zālīte è una scrittrice e poetessa lettone stimata nel suo paese. Nata nel 1952 a Krasnojarsk (città della Russia siberiana centrale), dove la sua famiglia era stata deportata negli anni Quaranta, Māra ha fatto ritorno in Lettonia all’età di quattro anni. Nei suoi lavori si percepisce una forte appartenenza alla comunità lettone, alla sua cultura e lingua: “La lingua lettone per me non è mai stata un semplice mezzo di comunicazione: essa porta con sé l’eternità. Il linguaggio è un piacere per me. Quando leggo della buona letteratura, e arricchisco i miei contenuti e le mie forme espressive, si perfeziona anche la mia anima”. La lingua, afferma, ancora, “è la voce del mio sangue, la mia identità”. Vissuta in un tempo in cui le era negato parlare la lingua nativa (era obbligatorio parlare in russo), Māra ha sviluppato un forte legame con la lingua lettone, che emerge nelle varie forme della sua arte letteraria: poesia, prosa, testi teatrali e per canzoni liriche, sceneggiature per musical, persino opere rock. L’opera rock del 1988 “Lāčplēsis”, non è, tuttavia, solo l’espressione di un genere popolare. Essa segna anche un momento politico importante. I temi storici e mitologici, riflessi nell’opera rock, acquistano, infatti, un particolare significato: in quel momento l’Urss sta crollando e la speranza di una Lettonia libera è prossima a divenire realtà. Qualunque sia il genere che l’autrice affronta, il legame con l’identità culturale del suo popolo è costantemente vivo. Ha attivamente partecipato ai moti di protesta per una Lettonia indipendente. La sua opera teatrale “Pilna Maras istabina”/“La camera piena di Mara”, messa in scena nel 1983, che le valse l’apprezzamento di critici, lettori e spettatori, è un lavoro rivoluzionario, dove centrali sono le figure femminili che reclamano indipendenza per se stesse e parallelamente per il proprio paese. L’opera è un grido di ribellione contro “l’energia maschile”, che ha brutalizzato la sua terra e il suo popolo e, allo stesso tempo, un richiamo all’energia femminile, che per lei significa volgere lo sguardo all’antica Madre (terra e natura), madre di tutte le madri, che deve riprendere il suo posto originario. Nei lavori di Māra, le simbologie tipiche del folklore lettone e i loro legami con gli elementi maschile e femminile sono spesso presenti. Nel femminile ricade l’idea di patria (nutrimento della figura materna), in quello maschile le idee di potere e aggressività, che si sono manifestate nelle battaglie, negli stupri e nelle violenze sull’altro/a per il potere. Questi concetti sono ben espressi in uno dei suoi saggi più conosciuti “La Croce e la Spada”, contenuto nell’opera “Pensieri incompiuti”, dove lei si addentra nella storia antica della Lettonia (13° secolo), quando questa terra era conosciuta con il nome di Livonia. Māra Zālīte ha lavorato per vari Comitati di redazione. È stata Capo-redattrice di uno dei periodici letterari più famosi nel paese “Karogs”/“Bandiera”. Attualmente è presidente dell’Associazione degli Autori Lettoni. Una sua poesia, “Di prima mattina vado per parole”, è disponibile nel sito “Baltica”.
Ultima figura di spicco è quella di Vizma Belševica, la voce poetica femminile più potente e drammatica del secondo Novecento lettone. Nata nel 1931 a Riga da una famiglia povera, ha cominciato a scrivere molto presto, diventando negli anni Sessanta uno dei principali punti di riferimento della poesia lettone. La città di Riga, dove Vizma ha trascorso gran parte della sua infanzia, fa spesso da sfondo ai suoi lavori, soprattutto nella trilogia autobiografica “Bille”. Questa trilogia, pubblicata negli anni Novanta, ripercorre la vita dell’autrice durante gli anni Trenta, il primo anno di annessione della Lettonia all’Urss (1940-41), il periodo di occupazione nazista (1941-45) e, infine, i primi anni post-guerra sotto il regime di Stalin. L’opera è oggi riconosciuta come uno dei più bei capolavori della letteratura lettone. In essa l’autrice denuncia la situazione delle nazioni oppresse in Urss. Anche nelle sue poesie c’è tutto il senso della coercizione, della parola che si fa sofferente grido di emancipazione. In epoca sovietica le sue poesie hanno subito la censura. Dal 1971 al 1974 Vizma non ha potuto pubblicare. Nella sua lunga poesia “Notazioni di Enrico di Livonia a margine delle cronache livoniane” (“Indriķa Latvieša piezīmes uz Livonijas hronikas malām”, in raccolta “Gadu gredzeni”/”Rings of Age”, 1969), in cui affiora l’immagine del cronista-lettone, obbligato a descrivere in modo piacevole i successi di un regime a lui estraneo, la poetessa, entrando in empatia con Indriķa Latvieša, esprime il suo atteggiamento nei confronti del regime sovietico quando la Lettonia faceva parte dell’Urss. Di lei possiamo dire che è stata un’autrice straordinaria, scomparsa nel 2005 ma ancora vivissima nelle case di ogni famiglia lettone. Nel 1990 è stata nominata membro onorario dell’Accademia lettone delle Scienze. Ha ricevuto due volte il premio “Spīdolas”, che è il più alto riconoscimento nella letteratura lettone. Vizma Belševica ha pure ottenuto l’Ordine delle Tre Stelle. Nel sito “Baltica” sono presenti quattro sue poesie tratte dalle raccolte “Gadu gredzeni” e “Dzeltu laiks”/”Autumn” (1987). Nel ciclo di poesie “Laika raksti”/”Time Signs”, appartenenti alla raccolta “Dzeltu laiks”, affiorano le voci di vari periodi storici, ponendo interrogativi severi sui poteri costituiti e su coloro che li subiscono nel momento presente.
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