Iori Catia Martedi, 27/05/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2014
Non esiste solo la violenza fisica di cui si parla sempre mai abbastanza. Esiste pure - ed è molto più subdola ma diffusissima - anche la violenza manipolatoria che nell’ambito di relazioni malate (che spesso si “trascinano” impunite anche per molto tempo), si scambia per amore quello che amore non è: perché quello che lascia i segni sulla pelle, sulle ossa oltre che nell’anima, quello che crea continuamente grandissimo dolore certamente non lo è. L’amore non è mai sopraffazione. Nell’ambito della triste e odiosa casistica di botte, occhi neri, braccia fuori uso, costole rotte, urla, alcool, droga, piatti rotti, un settore sfortunatamente non “di nicchia” è rappresentato da una manifestazione molto più subdola (e diremmo anche viscida) di violenza, che spesso non lascia segni esteriori sulla pelle della malcapitata (o del malcapitato), a volte è invisibile (o difficilmente ravvisabile) da parte dei familiari o dei conoscenti (dinanzi ai quali, per molto tempo, il nostro personaggio squallido si traveste da pecorella indifesa, anziché da lupo dotato di denti aguzzi), in un vero e proprio “festival” della falsità e della vigliaccheria. Conosco giovani ragazze ma anche donne più mature sposate da tempo che fanno fatica a distinguere la vischiosità di una relazione che dopo un lasso di tempo di amoroso non ha sostanzialmente più nulla ma che alita continuamente tensione e prepotenza. Fra le molestie morali rientrano il rifiuto dell’altro, la derisione, il disprezzo fino alla negazione della stessa esistenza, della donna che magari continua ad incassare e fare finta di niente per non rompere la relazione ma che giorno dopo giorno fa poi i conti con l’umiliazione di vedere denudati di ogni valore i suoi stessi sentimenti. Si tratta di una subdola forma di manipolazione psicologica (una sorta di plagio) che produce danni a livello psico-fisico, che possono essere ugualmente molto gravi, e in alcuni casi anche più profondi di quelli connessi alla violenza fisica. Di queste storie perlopiù si parla soltanto quando la violenza psicologica diventa (come molto spesso succede quando la vittima faticosamente pone o tenta di porre termine alla relazione malata) vero e proprio stalking. Quando tuttavia la donna non ne parla, il perverso circuito si trasforma in disistima di sé, depressione e rabbia repressa che nuoce pesantemente sia alla salute fisica che a quella mentale. Meglio stare sole allora piuttosto che doversi misurare con questi tipi di relazioni. Ci può essere prevenzione in questo particolare settore? Nell’ambito dei rapporti interpersonali la parola d’ordine deve essere “rispetto”, che di per sé è antitetico rispetto all’individualismo e alla prepotenza. Ma il primo antidoto contro la violenza psicologica è l’amore (quello sano) per sé stessi, e di conseguenza il recupero dell’autostima. Come è stato efficacemente scritto in un bel libro “non si maltratta, però, solo il prossimo. Ci manchiamo di rispetto e ci facciamo del male quotidianamente in molteplici modi. Uno di questi consiste, appunto, nel non farci rispettare”.
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