Intervista a Dafne Carlo, la creatrice della storica maison fondata negli anni ‘60 nella Riviera di Ponente
In una delle vie principali di Sanremo c'è un negozio di alta moda: DAPHNÉ. All'ingresso ci accoglie una bella signora dai capelli candidi: Dafne Carlo, la creatrice della storica maison fondata negli anni ‘60 nella Riviera di Ponente.
La signora Dafne ha appena superato i novant'anni, ma non li dimostra assolutamente e non trattiene la voglia di raccontare la sua storia.
Ho iniziato a lavorare a 14 anni, scegliendo di fare la sarta, iniziando dalla gavetta. Ho rubato il mestiere con gli occhi, seguivo come "piccinina" le sarte più grandi e tutte le settimane portavo alla mia mentore un cestino di verdure fresche della nostra campagna per ringraziarla di quello che stavo imparando. I primi abiti che vidi e toccai furono quelli di Evita Peron quando nel 1947 venne a Bordighera.
Gli anni ‘60 sono gli anni del boom economico, è allora che decide di creare una sua casa di moda?
Ho aperto il primo Atelier nei pressi del Casinò di Sanremo, che in quegli anni era un centro di cultura e spettacolo importantissimo per la Riviera di Ponente. Nel 1950 era stato il centro del Made in Italy con il primo Festival della Moda italiana. Ho iniziato anche a raccogliere abiti d'epoca per studiarne la struttura e lo stile e trarne ispirazione per realizzare nuovi modelli e molti altri mi sono stati donati da chi apprezzava il mio lavoro e la mia attenta ricerca sartoriale. Tutt'oggi questi abiti sono oggetto di studio per appassionati e curiosi che vogliono visitare il nostro museo privato d'impresa. Questo perché credo che sia un bene che le nostre abilità e il sapere vengano tramandati alle nuove generazioni.
Come mai ha cambiato il suo nome in Daphne?
Francesizzare un nome non era solo un vezzo ma la sicurezza di lavorare, così affermava anche Irene Brin, giornalista di moda e promotrice del Made in Italy nel mondo, che è stata anche una delle mie clienti. Dal primo dopoguerra era la moda francese a imperare anche in Italia, persino i giornali di moda italiani davano più spazio ai modelli francesi che a quelli italiani, così per avere più "allure" verso le clienti il nome francese consentiva un consenso maggiore.
Quali sono state le sue clienti più famose?
Negli anni '50 mi commissionarono gli abiti per la prima alla Scala di Milano Wally Toscanini e la Contessa di Acquarone che erano solite venire in Riviera in inverno. Renata Tebaldi amava farsi fare giacchini ricamati a mano e Maria Callas, veniva insieme alla moglie del tenore Giuseppe Di Stefano, spesso in Riviera perché l'aria sana giovava alla figlia malata. E ancora la cantante Shirley Bassey per la quale feci degli abiti e dei pantaloni ricamati, bellissimi. Qualche anno dopo iniziai a vestire i cantanti del Festival di Sanremo. Passeggiavano per le vie del centro e sceglievano la sartoria che si sarebbe occupata delle proprie mise. Ho vestito Nilla Pizzi e Dalida, che nel 1967 scelse l'abito rosso, mai indossato a causa del tragico incidente a Tenco. Ho creato tante toilettes anche per le signore che andavano a vedere il Festival, clienti che apprezzavano le mie creazioni e si affezionavano, perché l'atelier è un po' come un salotto e la sarta un po’ come uno “psicologo” che ascolta confidenze e dona consigli. Negli anni ‘60 e ‘70 Grace Kelly veniva spesso a passeggiare a Sanremo e più di una volta acquistò nella boutique golfini e foulards, tant'è che le dedicammo un foulard, La Rosa Princesse Grace de Monaco, che dopo 50 anni oggi è ancora uno dei foulards più richiesti dal pubblico.
Ci può raccontare una storia particolare che le è accaduta?
Sicuramente lavorare con Loredana Bertè è stato molto particolare; esigeva di essere servita nella camera di Hotel del Miramare. Un giorno me la trovai alla porta con un paio di mutande in testa che urlava "guarda Borg come mi ha ridotto in mutande" con le sue richieste mi faceva diventare “matta” ma siamo diventate amiche ed ho conservato con piacere i bozzetti del suo abito per l'edizione del 1995 con Angeli e Angeli per cui realizzai il corsetto.
Oggi sono le sue figlie Monica e Barbara Borsotto che portano avanti i progetti, sotto l'occhio vigile di mamma Dafne. Le scelte si orientano sull’utilizzo di tessuti sostenibili, come seta biologica, cotone organico, fibra di ginestra e orange fiber, e processi di lavorazione a basso impatto ambientale per la creazione di foulards e accessori orlati e rifiniti a mano. Ma oltre questo c'è di più come ci racconta la figlia Barbara. "Spesso facciamo formazione e offriamo lavoro alle donne ospiti di case rifugio. Collaboriamo con case circondariali per progetti con impegno sociale come Scarpette Rosse contro la violenza sulle donne, abbiamo realizzato il foulard del Rispetto per la donna e per l'ambiente in collaborazione con la sezione sex offender della casa circondariale di Sanremo e il foulard dell’Inclusione sociale a sostegno delle persone disabili, realizzato dai ragazzi autistici di Monaco".
DAPHNÉ è anche Museo della Moda e del Profumo, un connubio virtuoso tra artigianato e turismo. Unico in Italia, conserva collezioni di abiti antichi e contemporanei raccolti grazie alla passione e l'accurata ricerca per il lavoro sartoriale.
Per finire, quali progetti per il futuro ha in serbo DAPHNÉ?
Siamo fermamente convinte che le piccole aziende come la nostra sono l'identità del Paese Italia, fondiamo i nostri valori con la voglia di comunicare il nostro territorio. Un'azienda tutta al femminile che porta avanti tradizione e innovazione per creare cose belle e ben fatte con attenzione alla sostenibilità e all'ambiente, il costante studio di materiali innovativi realizzati con fibre naturali, biologiche e riciclate e tecniche a basso impatto ambientale.
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